Colombo: realismo scientifico, nessuno «inventa» l’essere umano, di Enrico
Negrotti, Avvenire, 3 novembre 2011
La decisione della Corte di giustizia
europea di Lussemburgo è scientificamente inoppugnabile, e ribadisce anche il
principio che le scoperte naturali non possono essere oggetto di brevetto. E ci
ricorda – come già l’Unesco a proposito del genoma umano – che le cellule umane
non sono state «inventate» da nessuno, fanno parte di ciascuno di noi.
Non dovrebbero lamentarsi gli scienziati,
perché non vengono impedite le loro ricerche, quanto piuttosto i biotecnologi
industriali, che vorrebbero trarre profitti da queste scoperte. È l’opinione di
don Roberto Colombo, docente di Neurobiologia e genetica umana dell’Università
Cattolica, che valuta positivamente la sentenza con cui la Corte a fine
ottobre, facendo riferimento alla Direttiva europea 44/98 sulla brevettabilità delle
invenzioni biotecnologiche, ha ribadito che le cellule provenienti da un
embrione non possono essere coperte dalla tutela forte di un brevetto
industriale.
Mi pare interessante rilevare –
osserva Colombo –che la Corte, anziché definire staticamente che cosa è
l’embrione, abbia preferito fare riferimento al suo sviluppo: l’embrione da
tutelare è tutto ciò che sviluppandosi può dare origine a un essere umano».
Questo spiega perché la Corte abbia compreso non solo l’ovocita appena
fecondato, ma anche l’ovocita in cui sia stato trasferito il nucleo di un’altra
cellula e l’ovocita non fecondato che sia spinto a dividersi e svilupparsi per
partenogenesi. «Si tratta di osservazioni coerenti con il dato biologico –
aggiunge Colombo – .
L’accento viene posto sul fatto che
l’ovocita fecondato, o talora anche quello diversamente manipolato, ha la
possibilità di dare origine a un essere umano, a un individuo vivente. Come è
noto a ogni scienziato, la fecondazione è l’inizio del processo di sviluppo, non
è qualcosa che lo precede: è il primo stadio dello sviluppo stesso. L’embrione
è l’inizio della vita umana individuale, e non c’è soluzione di continuità tra
l’inizio dello sviluppo e lo sviluppo stesso».
Si tratta di osservazioni
semplici ma spesso trascurate: «L’errore che talora si commette è di pensare l’embrione
a prescindere dal suo processo di sviluppo, definendolo senza considerare il
suo "continuum". Invece in questo caso la Corte ha considerato
l’embrione a partire da ciò che sta già divenendo, quello di cui esso è parte:
un uomo che già vive». Per quanto abbia sorpreso qualcuno, quindi, «la sentenza
ha dalla sua un notevole realismo scientifico. Pur senza utilizzare categorie
proprie della scienza – aggiunge – ne assume la prospettiva. È una sentenza
molto logica, ragionevole: non pone distinzioni laddove non vi è ragione
scientifica per porne».
La sentenza della Corte europea è
interessante anche per un altro aspetto. «La Direttiva europea 44/98 parla di
brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche – sottolinea Colombo –. Ma
l’embrione e le sue cellule sono scoperte e non invenzioni. Nessuno ha
costruito in laboratorio l’embrione o le cellule staminali embrionali. Se
vogliamo, potremmo dire che l’"inventore" dell’embrione è l’embrione
stesso, che si sviluppa secondo un proprio "progetto"». Ma c’è
dell’altro: «Permettere un brevetto su una scoperta significherebbe sottrarre
una parte della realtà naturale alla conoscibilità da parte degli altri scienziati.
La sentenza quindi va contro gli scienziati in quanto tali, caso mai limita gli
interessi delle industrie che vorrebbero trarre profitti dalle loro scoperte.
Del resto l’Unesco aveva già dichiarato che il genoma umano non può essere
oggetto di brevettabilità. Non è stato inventato da nessuno, non appartiene a
nessun ricercatore e a nessun gruppo industriale. Parlando di embrioni,
brevettare significherebbe mettere l’essere umano all’inizio del suo sviluppo nelle
mani di qualcuno che vorrebbe “possederlo”. Il brevetto può riguardare un
materiale, un processo o un prodotto: la Corte ha ricordato che l’embrione non
è mera materia, non è un processo biotecnologico e ancor meno l’esito di un
simile processo. Una sentenza esemplare – conclude Roberto Colombo – per
escludere la brevettabilità di ogni processo naturale, ancor più se riguarda l’uomo
stesso».
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