venerdì 4 novembre 2011


Colombo: realismo scientifico, nessuno «inventa» l’essere umano, di Enrico Negrotti, Avvenire, 3 novembre 2011

La decisione della Corte di giustizia europea di Lussemburgo è scientificamente inoppugnabile, e ribadisce anche il principio che le scoperte naturali non possono essere oggetto di brevetto. E ci ricorda – come già l’Unesco a proposito del genoma umano – che le cellule umane non sono state «inventate» da nessuno, fanno parte di ciascuno di noi.
Non dovrebbero lamentarsi gli scienziati, perché non vengono impedite le loro ricerche, quanto piuttosto i biotecnologi industriali, che vorrebbero trarre profitti da queste scoperte. È l’opinione di don Roberto Colombo, docente di Neurobiologia e genetica umana dell’Università Cattolica, che valuta positivamente la sentenza con cui la Corte a fine ottobre, facendo riferimento alla Direttiva europea 44/98 sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, ha ribadito che le cellule provenienti da un embrione non possono essere coperte dalla tutela forte di un brevetto industriale.
Mi pare interessante rilevare – osserva Colombo –che la Corte, anziché definire staticamente che cosa è l’embrione, abbia preferito fare riferimento al suo sviluppo: l’embrione da tutelare è tutto ciò che sviluppandosi può dare origine a un essere umano». Questo spiega perché la Corte abbia compreso non solo l’ovocita appena fecondato, ma anche l’ovocita in cui sia stato trasferito il nucleo di un’altra cellula e l’ovocita non fecondato che sia spinto a dividersi e svilupparsi per partenogenesi. «Si tratta di osservazioni coerenti con il dato biologico – aggiunge Colombo – .
L’accento viene posto sul fatto che l’ovocita fecondato, o talora anche quello diversamente manipolato, ha la possibilità di dare origine a un essere umano, a un individuo vivente. Come è noto a ogni scienziato, la fecondazione è l’inizio del processo di sviluppo, non è qualcosa che lo precede: è il primo stadio dello sviluppo stesso. L’embrione è l’inizio della vita umana individuale, e non c’è soluzione di continuità tra l’inizio dello sviluppo e lo sviluppo stesso».
Si tratta di osservazioni semplici ma spesso trascurate: «L’errore che talora si commette è di pensare l’embrione a prescindere dal suo processo di sviluppo, definendolo senza considerare il suo "continuum". Invece in questo caso la Corte ha considerato l’embrione a partire da ciò che sta già divenendo, quello di cui esso è parte: un uomo che già vive». Per quanto abbia sorpreso qualcuno, quindi, «la sentenza ha dalla sua un notevole realismo scientifico. Pur senza utilizzare categorie proprie della scienza – aggiunge – ne assume la prospettiva. È una sentenza molto logica, ragionevole: non pone distinzioni laddove non vi è ragione scientifica per porne».
La sentenza della Corte europea è interessante anche per un altro aspetto. «La Direttiva europea 44/98 parla di brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche – sottolinea Colombo –. Ma l’embrione e le sue cellule sono scoperte e non invenzioni. Nessuno ha costruito in laboratorio l’embrione o le cellule staminali embrionali. Se vogliamo, potremmo dire che l’"inventore" dell’embrione è l’embrione stesso, che si sviluppa secondo un proprio "progetto"». Ma c’è dell’altro: «Permettere un brevetto su una scoperta significherebbe sottrarre una parte della realtà naturale alla conoscibilità da parte degli altri scienziati. La sentenza quindi va contro gli scienziati in quanto tali, caso mai limita gli interessi delle industrie che vorrebbero trarre profitti dalle loro scoperte. Del resto l’Unesco aveva già dichiarato che il genoma umano non può essere oggetto di brevettabilità. Non è stato inventato da nessuno, non appartiene a nessun ricercatore e a nessun gruppo industriale. Parlando di embrioni, brevettare significherebbe mettere l’essere umano all’inizio del suo sviluppo nelle mani di qualcuno che vorrebbe “possederlo”. Il brevetto può riguardare un materiale, un processo o un prodotto: la Corte ha ricordato che l’embrione non è mera materia, non è un processo biotecnologico e ancor meno l’esito di un simile processo. Una sentenza esemplare – conclude Roberto Colombo – per escludere la brevettabilità di ogni processo naturale, ancor più se riguarda l’uomo stesso». 

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