Davanti al desiderio copiato - Oddone Camerana, 12.9.2012,
L’Osservatore Romano, http://www.news.va
Dire che vediamo noi stessi negli
altri, o che il sé e l’altro sono inestricabilmente combinati, o che è grazie
al collante esistente tra sé e l’altro che riusciamo a capire ciò a cui l’altro
sta pensando o che sta per fare, sono espressioni che non sembrano, a tutta
prima, affermare cose nuove in materia di intersoggettività.Senonché lo sono se
si tiene conto che non stiamo parlando di concetti o di ipotesi, ma di cellule
cerebrali, più precisamente dei “neuroni a specchio”, i “personaggi” che da
qualche anno calcano la scena delle neuroscienze da protagonisti, sostituendosi
in questo, e per ciò che riguarda le possibilità d’incontro tra i viventi, alle
vecchie categorie della sociologia e della psicologia.
Sapevamo già che, mossi da
spiriti camaleontici, abbiamo l’istinto di imitarci reciprocamente, di
sincronizzare i nostri corpi e le nostre azioni e perfino il modo di parlare
gli uni con gli altri. E non ci era sconosciuto il fatto che l’imitazione e il
piacersi tendono ad andare di pari passo e che attraverso la mimica siamo in
grado di provare ciò che provano le altre persone. L’imitazione e la sincronia,
alla base della conversazione e della chiacchiera, sono, infatti, il collante
che ci lega. Ciò che non sapevamo — ma non è più così grazie alle scoperte del
gruppo dei neurofisiologi di Parma coordinati da Giacomo Rizzolatti e da
quando, il testo di Marco Iacoboni I
neuroni a specchio (Torino, Bollati Boringhieri, 2008) è in circolazione — ciò
che non sapevamo è che si tratta di cellule,
di organismi oggetto di osservazione, analisi e valutazione da parte del
neuroimaging (tomografia assiale computerizzata, risonanza magnetica, tomografia
a emissione di positroni, elettroencefalografia e altre tecniche a
disposizione). A proposito del linguaggio umano qualcuno ha fatto notare che
«se il linguaggio è stato dato all’uomo per nascondere i pensieri, allora
l’intento dei gesti è quello di svelarli». È un bel modo per commentare l’origine
gestuale del linguaggio, ma anche per richiamare la centralità dell’imitazione
nel linguaggio stesso e nel nostro caso dei neuroni a specchio. Un particolare,
questo, che se vale per tutto il mondo animale è ancora più vero per gli umani.
«L’uomo — precisa Aristotele in Poetica, 4 — si differenzia dagli altri animali
in quanto è più adatto all’imitazione». E in proposito, per capire i pensieri
di qualcuno in un dato momento un personaggio di Poe faceva presente come
cercasse di assumerne l’espressione del viso. In altre parole si trattava
dell’empatia, della facoltà di immedesimarsi nel prossimo, di fare dell’altro
un altro sé.
Stabilito che l’imitazione sta
dunque al centro della rete dei neuroni a specchio rappresentando così la
colonna portante dei comportamenti, può succedere che essa si trasformi nel suo
punto di debolezza. Cosa che avviene per esempio nell’autismo, quando la
macchina del sistema neuronale descritto s’inceppa, quando la capacità di
risuonare emotivamente con gli altri non si mette in moto, quando le aree del
cervello che dovrebbero entrare in sintonia si manifestano deficitarie.
Tralasciando la descrizione delle modalità di cura previste in questo caso dai
neurologi, anch’esse centrate in ogni modo sull’imitazione, si fa notare come
noia e depressione si presentino come stati d’animo in cui la possibilità di
ricorrere alla risorsa imitativa è resa
inerte. Ma come regolarsi di fronte ai casi di “violenza mediatica”, quando
cioè i comportamenti criminosi sono il risultato di imitazione di comportamenti
criminosi trasmessi dai media? A questo punto il problema che sorge riguarda
l’area del libero arbitrio, area che sarebbe compromessa dalla potenza
dell’imitazione. Una faccenda che non appartiene più solo alle neuroscienze ma
alla visione deterministica del comportamento umano e fa dire a uno degli
studiosi citati da Iacoboni: «Quando le persone sono libere di fare a modo
loro, in genere si imitano a vicenda». Se non siamo liberi, come ancora si
pensa, ma predeterminati come ci induce a pensare l’invadenza dei neuroni a
specchio sollecitati dall’imitazione, ne va di mezzo la libertà, e il potere
legislativo e quello dei tribunali penali devono rivedere il loro ruolo.soc
Problemi ardui, al cui esame
possono dare un contributo, aggiungo io, due tipi di valutazioni: quella
offerta dal funzionamento della pubblicità, l’advertising commerciale, e gli
studi di René Girard. È merito della pubblicità di averci fatto capire come molte
delle scelte che facciamo siano il risultato di considerazioni che, fuori di
ogni consapevolezza, non siamo in grado di giustificare altro che tirando in
ballo il bisogno di soddisfare esigenze di appartenenza e di identificazione.
«Piace alla gente che piace», raccomandava a sostegno di un prodotto un vecchio
slogan commerciale, verbalizzando senza volerlo la potenza dell’imitazione nel
determinare un acquisto. Quanto a Girard, la sua ormai nota ipotesi sul
desiderio copiato, cioè imitato, ricavata dallo studio dei testi della
letteratura universale letti come manuali di antropologia, potrebbe servire a
indurre a dirottare l’imitazione estirpandola dalla china verso la violenza
imitativa, volgendola all’imitazione del Padre, come si legge nelle pagine dell’Imitazione
di Cristo.
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