L'eugenetica maledetta - La disciplina è figlia del darwinismo, ha
influenzato scrittori, antropologi e politiche di welfare. Un saggio ne
ripercorre la storia, ODDONE CAMERANA, 12/09/2012 - http://www3.lastampa.it
Fin dal titolo il nuovo libro di
Carlo Alberto Defanti Eugenetica: un tabù contemporaneo. Storia di un’idea
controversa (Codice edizioni Torino 2012, 23 euro), evoca l’emarginazione cui è
stata sottoposta l’eugenetica storica sul piano conoscitivo. Purgatorio dovuto
al fatto di aver identificato riduttivamente quest’idea con la sua
manifestazione più clamorosa, il razzismo nazista della prima metà del
Novecento. Identificazione che le è costato il prolungato silenzio critico e
storico da cui detta idea ha cominciato a uscire solo di recente.
L’aver rinchiuso l’eugenetica nel
baule delle vergogne, dimenticando le manifestazioni più problematiche di
quell’idea, ha rischiato di favorire chi ha cercato in seguito di seguirne le
tracce sotto le mentite spoglie della genetica. Fenomeno, questo, evidente nei
titoli di alcuni testi citati da Defanti: quello del sociologo americano Tony
Duster Backdoor to Eugenics («La porta posteriore dell’eugenetica») 1990 e un
articolo di Diane Paul Is Human Genetics Disguised Eugenetics («la genetica
sugli umani è eugenetica camuffata?»). Ma al di là del pericolo descritto,
rischio che riguarda l’attualità, sta di fatto che da un punto di vista più
generale la lettura della cultura dell’Ottocento e del primo Novecento da cui
l’idea eugenetica è stata rimossa perché indegna è una lettura purtroppo
impoverita. Per sbagliata e perversa che sia stata, l’idea eugenetica ha
comunque mosso una cospicua parte del pensiero otto-novecentesco uscito dal
cappotto di Darwin. Lo sconvolgimento prodotto dal naturalista inglese è stato,
per ciò che riguarda la perduta centralità dell’uomo rispetto alla natura, pari
allo shock prodotto da Copernico per ciò che ha riguardato a suo tempo la
perduta centralità del pianeta terra rispetto all’universo. In soccorso
dell’uomo privato del suo ruolo tradizionale, smarrito a seguito del fatto di
essere stato gettato nel coacervo dell’evoluzione naturale che lo riguardava
insieme al resto del creato animale e vegetale, si sono espressi i più celebri
nomi dell’eugenetica storica.
In questa luce i testi di
scienziati, antropologi, filosofi come A. B. Morel e O. Spengler per limitarci
ai pessimisti, o quelli di F. Galton, H. Spencer e G. Vacher de Lapouge e
financo i romanzi di E. Zola e H. G. Wells, acquistano peso per la visione
eugenetica in cui sono immersi. Il sospetto suscitato dalla teoria
evoluzionistica darwiniana che la fase della selezione naturale si fosse
conclusa, unito al timore che i meccanismi di protezione dei più deboli
potessero sostituirsi alla selezione stessa, inceppando così il motore
evolutivo, furono sufficienti ad attivare il darwinismo sociale, potente motore
dell’eugenetica. Tra il ricovero in istituti come La Piccola Casa della Divina
Provvidenza del Cottolengo dei disabili e il programma eugenetico delle «vite
indegne di essere vissute» da eliminare, occorreva trovare una mediazione che
facesse dimenticare il patto faustiano tra scienza medica e regime totalitario,
la prima bisognosa di autorità e potere per affermarsi, il secondo pronto a
offrirlo in cambio di legittimità scientifica.
Ciò detto per quanto riguarda il
ruolo determinante dell’eugenetica storica, resta da far presente come non
vadano dimenticati i campi di azione in cui quest’ultima fece sentire la sua
influenza sebbene in maniera indiretta o in tono minore di quanto non avvenne
per il razzismo. Senza il contributo dell’eugenetica storica, infatti,
l’intervento dello Stato nell’igiene pubblica, nella sanità e nel welfare non
avrebbero preso la dimensione assunta nel corso del tempo. Lo stesso dicasi per
ciò che riguarda l’impulso dato alla biologia, alla scienza e alla tecnica, in
genere al progresso di cui l’industria e la proletarizzazione delle masse
urbanizzate non tardarono a mostrare i volti della degenerazione e della
decadenza, gli incubi rappresentati dagli scrittori naturalisti come Zola e
Dickens per fare due nomi tra i più noti. Di qui la nostalgia per la perduta
purezza delle razze sentita da Gobineau, il senso del tramonto dell’Occidente
descritto da Spengler, l’auspicata riforma della Giustizia per fronteggiare
l’emersione degli atavismi criminali delineati da Lombroso, il sorgere del
bisogno di separare la sessualità dalla procreazione, la voluttà e il piacere
dalla riproduzione, come richiesto da Vacher de Lapouge e l’accanirsi del
confronto tra natura e cultura, tra qualità innate (ereditate) e ambiente in
senso lato.
Se il pericolo di rimuovere
l’idea eugenetica vale per il passato nei modi sopra descritti, in diversa
misura vale anche per oggi sebbene in presenza di un contesto sociale,
scientifico e culturale completamente mutato. Se infatti l’affermarsi dei
diritti individuali, umani, soggettivi dei disabili e delle garanzie come
quella del consenso medico informato da una parte e la realtà dei passi da
giganti compiuti dalla biomedicina, dalla genetica dall’altra, sono insieme una
rassicurazione che gli orrori razziali trascorsi prodotti dall’eugenetica sono
solo un ricordo, questo non toglie che l’idea eugenetica sia del tutto
sconfitta. La pratica del counseling genetico, per fare un esempio, può
nascondere forme di imposizione demografiche legate alla concessione di licenze
matrimoniali vantaggiose. La possibilità della manipolazione della vita resta
pertanto una minaccia che il business procreativo è in grado di coprire dietro
promesse di qualità della vita. La massima confuciana secondo la quale la vita
non inizia prima della nascita lascia molte strade aperte alla biopolitica.
Nessun commento:
Posta un commento