LA SCIENZA E IL DIRITTO DEVONO PARLARE LA STESSA LINGUA - Giorgio Lambertenghi Deliliers, La Repubblica
– Milano, 3 settembre, 2012, La Repubblica - Milano
E' notizia recente che il giudice
del tribunale di Venezia ha ordinato di continuare le infusioni di cellule
staminali sulla bambina di due anni affetta da atrofia muscolare, considerando
la cura come "compassionevole". Nello scorso maggio l'Alfa, ente adibito
ad autorizzare l'uso di farmaci che abbiano requisiti di efficacia e sicurezza,
aveva imposto lo stop della terapia all'ospedale civile di Brescia. Il
provvedimento, che sta suscitando vivaci reazioni da parte degli scienziati,
ricorda altre vicende che in passato avevano richiesto interventi diretti del
governo, pressato da una certa parte dell'opinione pubblica che spesso confonde
la libertà assoluta di curarsi come uno desidera, con il diritto ad una cura
approvata dal ministero della Salute in quanto efficace e non dannosa.
L'ordine di procedere con le
infusioni di staminali rischia di stravolgere quegli aspetti etici e
deontologici della sperimentazione clinica ormai consolidati, e di rimettere in
discussione le regole che governano i rapporti tra ricercatori e legislatori.
Le pubblicazioni scientifiche internazionali più accreditate sulle cellule
staminali hanno sottolineato che non esistono prove sulla loro efficacia
curativa, tranne per alcune malattie del sangue, dell'occhio e della pelle.
In questi casi si utilizzano
staminali che per loro natura sono già orientate a fabbricare sangue, pelle o
cornea. Invece, per altre gravi condizioni patologiche, come le malattie
muscolari e neurodegenerative, l'obiettivo è di utilizzare staminali (ad esempio
del sangue) manipolate in laboratorio, così da indurle a trasformarsi in
cellule di tipo diverso, in grado di rigenerare, una volta iniettate nel corpo,
il tessuto malato (ad esempio cervello o muscolo). E un'ipotesi di ricerca
affascinante, che tuttavia per essere trasferita sul piano clinico necessita di
prove solide, non solo di efficacia ma anche di sicurezza. Sono infatti recenti
le segnalazioni di tumori insorti in pazienti trattati con staminali che, a
seguito della manipolazione in laboratorio, hanno subito alterazioni e
mutazioni a carico del loro dna, responsabili delle tragiche conseguenze.
La vicenda suggerisce altre
considerazioni. Oggi il paziente pretende la guarigione sulla scorta di falsi
annunci e dichiarazioni, che spesso hanno anche un obiettivo commerciale. E' un
rischio insito nella eccessiva scientizzazione della medicina, per cui tutto
ciò che è tecnicamente possibile fare, è giusto farlo perché serve a qualcosa.
Inoltre, l'enfasi sull'autonomia del malato, che lo ha reso praticamente
titolare di scelte terapeutiche scientificamente non ancora validate, può
avere, come sta avvenendo, risvolti di carattere giudiziario sul medico e/o
sull'ospedale, quando rifiutano determinati interventi che non hanno alcuna
garanzia di successo.
Da qui la necessità urgente di
sostenere con fermezza il ruolo decisionale degli Enti regolatori (come l'Aifa)
incaricati di redigere i criteri di qualità, sicurezza ed efficacia per
autorizzare le procedure di trattamento ed infusione delle cellule staminali nelle
diverse patologie. Ciò servirebbe anche a facilitare il delicato compito dei
Comitati etici ospedalieri, spesso discordi nella valutazione delle
sperimentazioni cliniche. E' auspicabile che prossimamente di fronte a casi
analoghi, scienza e diritto parlino lo stesso linguaggio, al fine di evitare,
come hanno scritto Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini (vedi il "Sole 24
ore" di domenica 26 Agosto), che un giudice decreti che "un malato
deve continuare ad essere trattato con qualcosa che non si sa cosa sia, come
funzioni e quali effetti produca".
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