PERCHÈ NON SIAMO IL NOSTRO CERVELLO (VI) - Etichette: alberto, carrara,
cervello, corpo, coscienza, esternalismo, mente, neuroetica, Alberto Carrara, venerdì
14 settembre 2012, http://acarrara.blogspot.it/
Dopo aver ripreso ad esporre la
prima parte, continuo oggi altre considerazioni utili in ambito neuroetico
relative al secondo capitolo (seconda parte) del libro del filosofo Alva Nöe
Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza
(Raffaello Cortina, Milano 2010) intitolato: VITA COSCIENTE.
... (continua)
L’ottica o prospettiva
alternativa che Alva Nöe propone e che egli stesso chiama «reciproco
coinvolgimento collaborativo» [1], potrebbe essere considerata una “prospettiva
relazionale”: «noi siamo coinvolti l’uno con l’altro. È il nostro coabitare
insieme che assicura la nostra viva coscienza per ciascun altro...» [2].
La tesi che l’autore difende nel
capitolo è la seguente: «la questione se una persona sia di fatto cosciente o
meno è sempre una questione morale, prima ancora che una questione riguardante
la nostra giustificazione a credere... Anche solo il sollevare la questione se
una persona sia o no in possesso di una mente significa porre in questione la
relazione con quella persona» [3].
Come compendio di tale nesso
MORALITÀ-SCETTICISMO, l’autore tratteggia la trama del film di Ridley Scott:
Blade Runner.
Emerge la prospettiva alternativa
della biologia: nessun essere vivente è semplicamente un meccanismo, nemmeno il
più semplice batterio! La biologia considera l’organismo vivente secondo un
atteggiamento non meccanicistico, bensì relazionale, considerandone i rapporti
con l’ambiente circostante. Allora ecco la tesi dell’autore ulteriormente
sviscerata: «diamo per certo che gli organismi abbiano una mentalità (almeno)
primitiva. Il problema della mente coincide con il problema della vita. Quello
che la biologia indaga è l’essere vivente, ma là dove riconosciamo la vita
abbiamo anche tutto quello che ci occorre per riconoscere la presenza di una
mente» [4].
Non so a voi, ma a me suona al De
Anima del grande Aristotele!
L’argomento è questo: «non si
possono avere entramebe le cose. Non si può riconoscere l’esistenza
dell’organismo e al tempo stesso considerarlo mero luogo di processi o
meccanismi fisico-chimici. Una volta riconosciuto che l’organismo è unità, e
non un processo, si è nella condizione di riconoscere anche la sua primitiva
natura di agente, il suo essere portatore di interessi, bisogni e punti di
vista. Ovvero, si è nella condizione di riconoscere la sua perlomeno incipiente
mindfulness. Il problema della coscienza non è latro che il problema della
vita» [5].
Alva Nöe ribadisce in conclusione
il monito dell’intero volume: «non si dovrebbe pensare alla coscienza come a
qualcosa che accade dentro di noi. La mente del batterio non coincide con il
modo in cui esso è internamente organizzato. Riguarda piuttosto il modo in cui
esso attivamente si pone in relazione e si integra con il suo ambiente» [6].
Ecco che l’autore mette in luce
la sua posizione filosofica all’interno delle correnti di filosofia della mente
che si denominano “esternalismi in relazione al mentale” [7]: «Per studiare la
coscienza degli animali non dobbiamo pensare esclusivamente al loro cervello.
Per riprendere le parole del neuroscienziato Francisco Varela e del filosofo
Evan Thompson, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al modo in cui il
cervello, il corpo e il mondo insieme sono alla base della vita cosciente» [8].
Allora, «la vita è il limite
inferiore della coscienza... il legame tra vita e coscienza è decisivo» [9]! E
la questione della coscienza è messa sostanzialmente in relazione
all’agentività degli organismi viventi senza peraltro negare che la mente che
un organismo possiede dipende dal tipo di vita di tale organismo.
Per superare gli ostacoli e le
difficoltà che i diversi riduzionismi neuroscientifici pongono alla “questione
antropologica” e al senso pieno di ciò che significhi essere uomo, Alva Nöe conclude questo secondo capitolo
affermando che: «Così, per studiare la vita occorre prendere in considerazione
l’intero organismo nel suo ambiente naturale. Le neuroscienze funzionano, e lo
stesso vale per la chimica e la fisica. Ma visto da tali prospettive interne e
di livello inferiore, l’oggetto della nostra ricerca perde di risoluzione»
[10].
Assumere pertanto una prospettiva
“aperta” che consideri (e includa) fattori esterni al cervello permette di non
sfuocare quell’immagine che è l’uomo stesso.
[1] Cf. Alva Nöe, Perchè non
siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Cortina, Milano
2010, 36.
[2] Ibid., 35-36.
[3] Ibid., 37.
[4] Ibid., 43.
[5] Ibid., 43-44.
[6] Ibid., 44.
[7] A questo proposito, consiglio
l’utile lettura del libro di: M. C. (Maria Cristina) Amoretti, La mente fuori
dal corpo. Prospettive esternaliste in relazione al mentale, FrancoAngeli,
Milano 2011.
[8] Cf. Alva Nöe, Perchè non
siamo..., 45.
[9] Ibid., 48.
[10] Ibid., 48.
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