Scola: «La vita va sempre difesa No all'accanimento terapeutico» - Sabrina
Cottone - Mer, 12/09/2012 - http://www.ilgiornale.it
Così l'arcivescovo, Angelo Scola,
si è lasciato interrogare dai pazienti, dai medici, dagli infermieri
dell'Istituto nazionale dei tumori di via Venezian. Gente come Nino, che dopo
un anno e mezzo di cure racconta di aver capito che «la malattia non è contro
di me, è un'opportunità che mi è stata data per sviluppare al meglio la mia
vita». O il medico che chiede «quali valori» portare con sé nel mondo della
sanità.Il luogo porta con sé anche il tema della fine della vita. L'arcivescovo
ne parla in modo diffuso. «L'accanimento terapeutico va sempre escluso anche se
la vita va difesa fino all'ultimo. Sono due cose che si conciliano, rispettando
il valore supremo che la vita ha e aspettando che il paziente trovi la sua
morte personale. E una volta che la vita è voluta, difesa e affermata fino in
fondo, la volontà del paziente, del medico e dei familiari non può non entrare
in gioco» ribadisce Scola, sintetizzando in questo modo la dottrina della Chiesa
sull'argomento, che dice no all'eutanasia come all'accanimento terapeutico.Ogni
paziente, con la sua famiglia e il suo medico, è un caso a sé e «le cure
palliative come accompagnamento al passaggio al Padre sono molto preziose». E
per spiegare la sua idea di «morte personale» Scola cita la preghiera del poeta
Rainer Maria Rilke: «Dà, Signore, a ciascuno la sua morte. La morte che fiorì
da quella vita, in cui ciascuno amò, pensò, sofferse».Una traduzione concreta.
«Qui sono nate le cure palliative, un accompagnamento al termine della vita che
ha reso praticamente nulla la richiesta di eutanasia in questo ospedale»
ricorda Marco Pierotti, direttore scientifico della Fondazione Irccs Istituto
dei tumori. Il presidente, Giuseppe De Leo, parla del «pieno rispetto della
volontà dell'ammalato durante tutto il percorso della malattia». E il direttore
generale, Gerolamo Corno, di «un istituto che mantiene la sua originaria
vocazione di ospedale inteso come luogo di scienza e ospitalità».In sala sulla
sua carrozzella c'è Gianni Bonadonna, oncologo di fama internazionale. Colpito
da un ictus, il celebre medico ha combattuto anche con diversi libri sul
coraggio di ricominciare. Ma non a tutti è facile trovare il giusto equilibrio
tra la lotta per la vita e l'accettazione della morte. Il cardinale cita gli
studi americani sull'immortalità e non pone «limiti al progresso scientifico».
E però «la fiducia talora eccessiva nella possibilità di superare la malattia
non genera di per sé la felicità, anzi si accompagna a una tendenza alla
depressione».Non è la durata a rendere felice una vita, ma il senso: «Più la
prova è difficile da affrontare e più ci vuole una ragione». Così anche le cure
palliative contribuiscono a restituire senso all'«esperienza della morte che
resta laida e brutta anche dopo che Gesù l'ha sconfitta». Con un ammonimento a
non strumentalizzare per battaglie di posizione il dibattito sulla fine della
vita: «Intorno al problema della perimortalità è facile che nasca l'ideologia,
sbagliata perché favorisce una visione parziale».Si parla di ricerca e dei
pochi fondi a disposizione. Scola si augura che si diffonda nel Paese «una
cultura politica nuova». Poi è lui a porre una questione: «Chi fa la gerarchia
degli ambiti di ricerca e con che criteri?».Poi il cardinale ha visitato in
privato il reparto di pediatria oncologica, che ospita bambini dai due anni
fino a ragazzi delle superiori. Si è preso tempo per fermarsi nella sala giochi
dell'istituto a parlare con loro e si è dedicato a una partita di biliardino
con due ragazze e un bambino. Alla fine i piccoli pazienti gli hanno regalato
un poster su cui ciascuno di loro aveva disegnato la propria immagine.
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