27 maggio 2012, Il dibattito (parziale) sui ginecologi obiettori - Diritti
sporcati di Francesco D'Agostino, http://www.avvenire.it
Due cose, tra le tante, mi hanno
colpito nella lunga intervista contro i ginecologi che fanno obiezione di
coscienza all’aborto che la ginecologa Giovanna Scassellati ha concesso ad
Adriano Sofri, su Repubblica del 24 maggio. In primo luogo l’accenno alla
«parte sporca dell’ostetricia, il lavoro sociale, quello che coinvolge le
emozioni». Il riferimento alle pratiche di interruzione volontaria di
gravidanza è palese. In secondo luogo (ma strettamente collegato al precedente)
l’osservazione che mentre «la maternità ti fa diventare amica della donna che
assisti, per sempre», con l’assistenza all’aborto, invece, succede il
contrario.
«Con l’aborto non ti fai clienti:
succede che non abbiano più voglia di vederti, dopo». Tralasciamo quanto di
ambiguo potrebbe esserci nel riferimento al 'farsi clienti': sicuramente
Scassellati, dicendo quello che ha detto, non intendeva certo riferirsi
all’aspetto puramente lucrativo della sua professione. Credo piuttosto che essa
volesse alludere al fatto che la donna che abortisce volontariamente porta
sempre dentro di sé la ferita, e in molti casi – perché no? – la vergogna,
della decisione assunta, ancorché liberamente: ferita e vergogna proiettate
inevitabilmente anche sul volto del ginecologo cui ci si è rivolti per essere
aiutate ad abortire e che si è assunto il compito di farsi carico di questa
pratica, della «parte sporca dell’ostetricia».
Non è questo il luogo per
valutazioni morali sull’aborto, che vanno certamente fatte, ma in altro
contesto e partendo da altri riferimenti rispetto a quello da cui ho preso le
mosse. Quello che mi dà da pensare è quanto sia difficile ricondurre le parole
di Giovanna Scassellati all’ideologia oggi dominante quando si parla di
interruzione volontaria della gravidanza. L’aborto volontario è ritenuto da
molti un «diritto della donna» (e da alcuni addirittura un diritto riproduttivo
«insindacabile»). Come sia possibile ipotizzare un diritto, quando la sua realizzazione
effettuale che ci porta a parlare della «parte sporca dell’ostetricia»,
fuoriesce dalle mie capacità di comprensione. Ancor più: come si possa
qualificare alla stregua di un diritto una pratica che cerca di essere
radicalmente rimossa da coloro che l’hanno praticata, cioè dalle donne che sono
ricorse all’aborto volontario, mi appare ancora più enigmatico.
Per le donne che chiedono
l’aborto volontario parliamo, se si vuole, di duro e violento condizionamento
sociale, o di stato di necessità o di situazioni tragiche e laceranti; ma non
parliamo di «diritto». La titolarità di un diritto, di un autentico diritto,
non dovrebbe mai avere alcunché a che fare con la «sporcizia». Né meno che mai
dovrebbe avere un senso il far di tutto per rimuovere la memoria di aver
esercitato un diritto «insindacabile». Di qui una domanda semplicissima: perché
i ginecologi che non si dichiarano obiettori, come appunto Scassellati, ma che
nello stesso tempo avvertono con lucidità le difficoltà che ho appena citato e
che giustamente considerano l’aborto «un enorme problema personale e sociale e
culturale», non si fanno promotori a loro volta di forti e attive campagne di
prevenzione, di campagne rivolte non tanto a rendere arduo l’esercizio di
questo asserito 'diritto', ma solo ad aiutare quelle donne che sarebbero
dispostissime ad accogliere un figlio, se avessero un minimo di supporto
individuale o sociale?
Perché i medici abortisti non
riconoscono che il rilascio dei certificati che autorizzano l’interruzione
volontaria di gravidanza ha il più delle volte un freddo carattere burocratico?
Perché non aderiscono – senza per questo divenire obiettori – ai progetti di
aiuto alla vita, che, anche se in un numero limitato di casi, aiutano davvero
molte madri ad accettare la gestazione e a portarla a termine? Perché attivano
campagne contro i medici che fanno obiezione all’aborto, accusandoli di
malafede, e non riconoscono che il fatto stesso che la stragrande maggioranza
dei ginecologi italiani (il 71%) faccia obiezione non può essere riduttivamente
spiegato parlando di ipocrisia e di carrierismo? L’aborto non è soltanto un
lacerante problema bioetico, è una piaga sociale aperta. Le piaghe, però, si
risanano mettendo olio e non sale sulle ferite.
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