Verità, e
relativismo, la sfida impossibile di Emanuele Severino - Corriere della Sera,
25 maggio 2012, http://www.partitodemocratico.it/
Filosofia. Perché il tramonto dei grandi sistemi di pensiero
coincide con il tempo in cui la tecnica prende in mano le sorti del mondo.
Non può esistere l`Essere assoluto e la «conoscenza come
congettura» è solo un`ipotesi. Il relativismo, si dice, nega che l`uomo riesca
a conoscere ima verità assoluta e irrefutabile. Se ci si ferma a questa
definizione, tutta la cultura del nostro tempo, innanzitutto quella filosofica,
è relativista. Ma allora va anche detto che quella negazione della verità era
già sostenuta 2.50o anni fa, e in grande stile, dalla sofistica. Dopo tutto
questo tempo saremmo ritornati al punto di partenza per quanto grande fosse il
suo stile? No; perché a quella definizione non ci si può fermare. Anche perché
già il pensiero greco sapeva che chi afferma che non esiste alcuna verità
assoluta afferma egli stesso che nemmeno questa sua affermazione è una verità
assoluta. (Le cose non sono però così pacifiche, perché un negatore della
verità potrebbe replicare che egli intende proprio negare e insieme affermare
la verità, perché no? -visto che se gli si obbiettasse che in questo modo egli
nega il «principio di non contraddizione» potrebbe daccapo rispondere che quel
principio, così semplicemente affermato, è un dogma; e bisognerebbe allora
darsi da fare per mostrargli che non lo è).
Il relativismo degli ultimi due secoli è tutt`altra cosa.
Nega tutto l`antirelativismo che c`è stato nel frattempo. Si crede che il
relativismo possa appoggiarsi anche a Pascal, per il quale la verità assoluta
non potrà mai esser trovata perché «tutto muta col tempo». Ma Pascal non giunge
a dire che, proprio perché tutto muta col tempo, non può esistere nemmeno un
Dio eterno e assoluto. Lo dirà Nietzsche (per il quale Pascal era un genio
rovinato dal cristianesimo). Pascal non giunge a tanto, perché per lui quel
«tutto che muta» è, propriamente, il mondo. Nietzsche arriva a tanto perché,
fondandosi sulla persuasione che nel mondo tutto muta, mostra l`impossibilità
dell`esistenza di un qualsiasi Essere eterno e assoluto.
Ma tale persuasione non è solo di Pascal e di Nietzsche: è
di tutta la cultura e la civiltà dell` Occidente - e, ormai, del Pianeta. Sin
dall`inizio l`avanguardia dell`Occidente la filosofia greca - è persuasa che il
mutamento del mondo sia una verità incontrovertibile (e che il mutamento sia un
passare delle cose dal non essere all`essere e viceversa, cioè abbia un
carattere essenzialmente più radicale del modo in cui esso era stato
precedentemente inteso dall`uomo). O gli odierni relativisti ritengono, contro
i Pascal sui quali essi si appoggiano, che il mutamento del mondo sia il
contenuto di una «conoscenza fallibile, congetturale» (per usare una nota
espressione di Popper)? E la «ricerca della verità», che i relativisti
preferiscono al suo «possesso», tale ricerca, dico, non è forse una forma
rilevante di mutamento del mondo? E l`esistenza di tale ricerca è forse, per i
relativisti, il contenuto di una conoscenza fallibile e congetturale? No di
certo. (O vedano loro che cosa intendono sostenere).
Sennonché sono soltanto Nietzsche e pochi altri a saper
mostrare perché, dal fatto che nel mondo tutto muta, è necessario concludere
che non esiste alcuna verità assoluta e irrefutabile oltre a quella che
consiste nell`affermazione di quel fatto, e che non esiste alcun Essere eterno
e assoluto oltre agli esseri che mutano nel tempo. (In altra sede si tratterà
di capire in che consista quel perché). Nietzsche e pochi altri - abitando
quello che son solito chiamare il sottosuolo essenziale del pensiero del nostro
tempo san fare cioè quel che i relativisti d`oggigiorno non sanno fare; e non
lo sanno anche perché, per lo più e più o meno consapevolmente, evitano di
riconoscere che anche per loro è una verità irrefutabile e assoluta che nel
mondo tutte le cose mutano col tempo.
Antirelativisti sono coloro che lungo la tradizione
dell`Occidente condividono sì la persuasione che il mutamento delle cose del
mondo è una verità irrefutabile; ma, a differenza dei relativisti, ritengono
che verità irrefutabile sia anche l`esistenza di un Essere eterno e assoluto al
di là o all`interno del mondo. Sono gli amici della «metafisica». Ma nel
sottosuolo essenziale del nostro tempo appare l`impossibilità della
metafisica. D`altra parte, ai
relativisti che stanno fuori del sottosuolo, alla superficie, gli
antirelativisti e i metafisici obbiettano quel che già abbiamo sentito, cioè
che se tutta la nostra conoscenza è fallibile e congetturale, allora lo è anche
l`affermazione che tutta la nostra conoscenza è fallibile e congetturale. Per
trarsi d`impaccio, i relativisti più spregiudicati di superficie hanno finito
col riconoscere che anche il loro relativismo è fallibile e congetturale.
(Sembrerebbe il culmine dell`atteggiamento critico - ma
allora non si vede perché si dovrebbe dar loro ascolto. Inoltre, anche in
superficie, si tratta spesso di esclamazioni inconsapevoli della complessità
della questione rispetto a cui sembrano spregiudicate). Il filosofo liberale
americano Richard Rorty lo ha riconosciuto. In Italia lo aveva riconosciuto, e
anche molto meglio, il filosofo Ugo Spirito, che però aveva il difetto di non
essere americano e di essere fascista, come il suo maestro Giovanni Gentile -
che invece, insieme a Nietzsche, è uno dei pochi abitatori di quel sottosuolo e
ha quindi molto da insegnare a tutti i Popper. Comunque, se il relativista
riconosce che tutto quel ch`egli sostiene è esso stesso una conoscenza
fallibile e congetturale, pronta ad «abbandonare i propri valori» teorici e
morali «se altri si rivelano più credibili», ascolto con interesse
(condividendo anche i suoi buoni sentimenti) e ritengo che abbia ragione a
credere di dire cose fallibili (che poi son cose false, dato che il relativista
di ogni tipo non può credere che in futuro le sue opinioni abbiano a rivelarsi
verità incontrovertibili).
Ma aggiungo che anche questa sua autocritica è apparente.
Domando: chi si dichiara pronto ad abbandonare i propri valori se altri si
rivelano più credibili è uno che dubita di esser così pronto? È uno che dice:
«Forse son pronto ad abbandonarli se ne vedo di più credibili?» È uno che dice:
«Forse son pronto, perché non escludo che anche se ne vedessi di più credibili
non abbandonerei mai i miei?». Se si son capite le domande, la risposta non può
che essere negativa. Anche questo relativista, cioè, non mette in dubbio, è sicuro del fatto suo:
più o meno consapevolmente, considera come irrefutabile, indiscutibile e dunque
assolutamente vero il proprio trovarsi nello stato in cui egli è disposto ad
abbandonare le proprie convinzioni se ne vede di migliori. Infatti l`uomo non
apre bocca se dubita di quel che dice. E se dice: «Dubito di quel che dico»,
egli non dubita di dubitare. (Che è cosa del tutto diversa dal cogito
cartesiano, perché se l`uomo apre bocca solo se non dubita, la maggior parte
delle volte che l`apre dice però cose false; mentre le considerazioni di
Cartesio sul cogito intendono pervenire alla suprema verità incontrovertibile).
A Popper che afferma il carattere fallibile e congetturale
di tutta la nostra conoscenza va dunque replicato che, d`altra parte, l`uomo -
dunque anche Popper e tutti i relativisti di questo mondo -.è sempre convinto,
più o meno consapevolmente, di conoscere verità assolute e incontrovertibili
(anche se sbaglia quasi sempre). Come ne sono convinti anche quei logici che
avrebbero mostrato (e anzi dimostrato!) «che non ci è possibile dimostrare
vera, assolutamente vera, nessuna teoria». Come ne sono convinti anche i
relativisti alla Popper e alla Hans Kelsen, che sostengono un`implicazione
necessaria, cioè assolutamente vera, tra relativismo, libertà, democrazia. E
allora? Allora, nella folla sterminata di coloro che -- senza saperlo e anzi
spesso negandolo - sono convinti di conoscere verità assolute, si trovano anche
gli uomini dell`Occidente, per i quali la verità assoluta e incontrovertibile
dominante è che le cose del mondo mutano col tempo; e son giunti a mostrare
(nel sottosuolo del nostro tempo) la necessità che tutte le cose mutino,
nascano e muoiano, quindi a mostrare che non esiste alcuna verità immutabile se
non quella che afferma il divenire e il travolgimento di ogni cosa e di ogni
verità.
Restano travolte anche la politica e la morale che, lungo la
tradizione antirelativistica dell`Occidente, consistevano nell`adeguare la vita
dello Stato e dei singoli individui alla verità immutabile ed eterna. Quelle
erano la politica e la morale convinte di parlare «con verità». Se oggi
qualcuno auspica una politica capace di parlare «con verità», deve tener
presente che quella della verità è, si è intravisto, una faccenda parecchio
complessa. Per questo, molti mesi fa, in un mio articolo sul «Corriere», avevo
domandato a Ernesto Galli della Loggia, che cosa in- tendesse con la parola
«verità», avendo egli appunto auspicato una politica capace di parlare «con
verità». Glielo avevo chiesto anche perché, quando oggi i cattolici e la Chiesa
- ad esempio - usano questa espressione, intendono un politica e una morale
che, contro il relativismo, siano legate alla verità incontrovertibile e
assoluta della metafisica iradizionale (aperta alla rivelazione di Gesù). E
dunque intendono una democrazia che non sia, come invece lo è la democrazia
procedurale, una «libertà senza verità».
La risposta di Galli della Loggia è stata fuori luogo,
perché mi ha detto - c`era ancora il` precedente governo - che una politica che
parla con verità è quella che non nasconde ma dice in che stato miserando si
trova il nostro Paese. Un problema che certo ci tocca da vicino, ma che (a
parte il fatto che non riguarda la verità, ma la «sincerità», giacché se non
c`è verità senza sincerità, si possono invece dire con sincerità cose false) è
pur sempre subordinato alla gran questione del rapporto tra relativismo e
antirelativismo -visto che l`accentuata corruzione della politica e della
morale è una conseguenza dello stato dí transizione in cui il mondo si trova:
tra la tradizione, dove anche i corrotti si riconoscevano pur sempre sottoposti
al giudizio della verità, e il tempo futuro.
Il tempo in cui - con l`inevitabile tramonto di ogni verità
metafisica e di ogni eterno Signore del mondo - quella forma suprema dell`agire
umano che è la tecnica viene autorizzata a prendere in mano, essa, le sorti del
mondo.
La tecnica che sa ascoltare il sottosuolo, dico, non la
«vera» o «buona politica». (Un processo, questo, in cui consiste il senso
autentico dell`«antipolitica». Ne parleremo un`altra volta).
Politica e morale. Un tempo consistevano nell`adeguare la
vita dello Stato e dei singoli individui a valori immutabili ed eterni.
La lezione di Nietzsche. Si fonda sulla persuasione che nel
mondo tutto muta, e di conseguenza nega qualsiasi Entità eterna
Il metodo contestato. La fallibilità della scienza secondo
Karl Popper
Secondo Popper l`esperienza non solo non è in grado di
verificare le teorie scientifiche, ma neppure dì renderle più probabili.
Le teorie scientifiche sono asserzioni universali e dunque
possono essere solo falsificate dall`esperienza.
L`espressione «tutti i corvi sono neri» non può essere,
verificata dall`osservazione di qualunque numero, per
quanto grande, di corvi neri, ma può essere falsificata
dall`osservazione di un singolo corvo non-nero.
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