Il limite all'eterologa è saldo - Una pronuncia chiarissima di Giuseppe
Anzani, 24 maggio 2012, http://www.avvenire.it
Se lungo la linea elettrica che
alimenta una lampadina ci sono sei interruttori, per tenerla accesa devono
lasciar passare tutti la corrente; mentre basta azionarne uno solo, uno
qualunque e la lampada si spegne. Se una
legge è denunciata perché sta accesa in violazione di sei norme costituzionali
che la falciano, basta accertare il contrasto con una sola di quelle, per
spegnere (abrogare) la legge.
Contro l’art. 4 della legge
40/2004, cioè contro il divieto della fecondazione eterologa, tre tribunali
italiani hanno sollevato questione di legittimità per presunta violazione di
sei regole: un gruppo di cinque norme "nostre", pescate all’interno
della Costituzione, agli art. 2, 3, 29, 31, 32 più - per ultima - una regola
della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (art. 8 e 14), che era servita
a una sezione della Corte di Strasburgo per condannare l’Austria a causa della
sua particolare legge sul divieto di eterologa.
Avevano ragionato così: se l’art.
117 della nostra Costituzione assoggetta la potestà legislativa ai «vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»,
tenendo sotto gli occhi quella sentenza di Strasburgo c’era da dubitare che
nostra legge 40 fosse rispettosa dei vincoli europei. Ma frattanto proprio
quella sentenza è stata riformata dalla Grande Chambre della stessa Corte
europea, che ne ha capovolto il verdetto. E dunque il ragionamento costruito su
quella prima, ribaltata, decisione non regge più. Se c’è un problema, va
ripensato daccapo, proprio alla luce di quanto il supremo giudice europeo, in
veste plenaria e definitiva, ha detto interpretando l’ordinamento europeo, e di
cui il giudice dello Stato membro deve prendere corretta cognizione. È questo
il senso - mi pare evidente - della restituzione degli atti ai giudici
remittenti, da parte della nostra Corte Costituzionale. E sono molti i
commentatori che, più o meno contenti, l’hanno capito.
Ma c’è un contenuto implicito in
questa restituzione, che è dedicata al solo sesto "interruttore"
possibile: ed è l’esclusione dei primi cinque. Perché se anche uno solo degli
articoli "nostri" richiamati - 2, 3, 29, 31, 32 - fosse stato
ritenuto violato, la Corte avrebbe dichiarato incostituzionale la legge
denunciata, senza perder tempo a rispedire al mittente la questione
"europea", superflua. È dunque improprio dire e scrivere che la
Consulta «non ha deciso», o peggio annotare che «non ha dichiarato che la legge
40 è legittima» (una pronuncia di tal fatta non può nemmeno esistere). Qualcosa
ha deciso, invece. Per implicito ma con estrema chiarezza, ha deciso che la
legge non si spegne passando per gli interruttori 2, 3, 29, 31, 32, non
confligge con essi. Per il nostro
ordinamento interno va bene così com’è. Resta da vedere se confligge davvero
con i vincoli d’Europa, ma per fondare
in modo appropriato quel discorso, - dice la Consulta - i giudici remittenti
devono andarsi a leggere la sentenza della Grande Chambre e ragionarci su.
Anche questo rimando ai giudici
ha una ragione tecnica, è un "atto
dovuto". La Consulta non entra e non può entrare da sé, a priori, a
vagliare un problema che risulta ora non più impostato in modo congruo (perché
i giudici dei tre tribunali italiani hanno chiamato a supporto una sentenza
europea cancellata, ribaltata), ma ha bisogno, per occuparsene, che prima sia
appunto impostato bene, cioè riveduto alla luce di quanto deciso in Europa in
seconda e ultima istanza. E siccome quella decisione (del 3 novembre 2011) ci
sta sotto gli occhi, una lettura intellettualmente onesta, per quello che dice
e non per quello che piace o dispiace o che par giusto o sbagliato al lettore,
dovrebbe por fine al problema.
Interpretare la Convenzione
europea dei Diritti dell’Uomo spetta alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo,
e non ad altri. A noi la rilettura riporta alla mente, piuttosto, fra i
"diritti umani" su cui si pone tanta giusta enfasi, qualcosa di cui
molti commentatori non sembrano accorgersi, i diritti umani della persona
chiamata alla vita, l’identità che le spetta come "uno di noi".
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