Bioetica: le follie della neutralità, di Gianfranco Amato, 23 maggio
2012, http://www.corrispondenzaromana.it/
Un ottimo esempio di come la political
correctness possa raggiungere il parossismo lo fornisce, questa volta, la
Svezia, nazione che nel 2010 è stata riconosciuta dal Forum Economico Mondiale
come il Paese in cui viene meglio garantita l’uguaglianza di genere tra tutti
gli stati della Terra.
Non accontentandosi di quel
primato, oggi gli svedesi aspirano ad un altro record, passando dal concetto di
uguaglianza a quello di neutralità di genere. Non devono più essere tollerate
distinzioni tra i sessi. In virtù di tale principio, dopo aver manipolato la
natura, attraverso le operazioni chirurgiche cui si sottopongono i transgender,
ora gli svedesi intendono manipolare anche la grammatica. Sì, proprio così.
L’ultima novità, infatti, è che nella lingua svedese saranno ufficialmente
abrogati i pronomi personali maschili e femminili, per cui, “han” (lui) e “hon”
(lei) lasceranno il posto ad un indefinito “hen”. Lo ha comunicato l’autorevole
e seriosa Nationalencyklopedin.
Questo bizzarro processo di
neutralità sessuale, in realtà, è già in atto da tempo nel Paese scandinavo. Si
sta procedendo, ad esempio, all’omologazione dei nomi propri (sono già 170 i
nomi unisex legalmente riconosciuti in Svezia); i negozi di abiti per bimbi e
adolescenti hanno già da tempo eliminato i reparti per ragazzi e ragazze,
introducendo un’uniformizzazione nel vestiario. Stesso discorso per i
giocattoli: in uno dei più recenti cataloghi del settore, ad esempio, è stato
mostrato un bambino che spinge una carrozzina rosa, ed una bambina che guida un
trattore giallo.
Nello sport ha iniziato la
federazione svedese di bowling ad eliminare la distinzione di squadre e gare
maschili e femminili, per rendere l’attività agonistica più “gender-neutral”.
Pare stia andando anche in porto la proposta, avanzata dai politici socialdemocratici,
di eliminare le toilette separate, «per non obbligare le persone a distinguersi
tra uomini e donne».
Tornando alla lingua, esiste già
in Svezia un libro per bambini intitolato Kivi och Monsterhund, totalmente
ispirato alla grammatica neutrale, in cui l’autore Jesper Lundqvist, tra le
numerose novità ha introdotto anche quella di sostituire le parole con cui i
bimbi svedesi da sempre hanno chiamato i genitori (mammor e pappor), con i
termini «mappor» e «pammor». Tradotta in italiano l’operazione suonerebbe
“mapà” e “pamma”. E’ triste, in realtà, assistere al modo cinico e
violentemente ideologico con cui gli adulti, per proprie fisime ossessive,
tentano di interferire nello sviluppo naturale dei bambini.
Chi pensasse che questa surreale
vicenda della neutralità di genere rappresenti un’estroversa bizzarria svedese,
si sbaglia. La tendenza, in realtà, è già presente in altri Paesi occidentali,
e si sta diffondendo con preoccupante rapidità. Agli inizi di quest’anno, ad
esempio, Mr. Tam Baillie, che ricopre la carica di Scottish Parliament’s
Commissioner for Children and Young People, ovvero del soggetto istituzionale
incaricato di vigilare sui diritti ed il benessere dei giovani in Scozia, si è
formalmente espresso nel senso che ai ragazzi dovrebbe essere consentita la
possibilità di indossare la divisa femminile, per evitare atteggiamenti
«ingiustamente discriminatori nei confronti degli alunni dall’orientamento
sessuale variabile».
Lo scorso autunno il governo
australiano ha annunciato la possibilità di indicare con una X il proprio
sesso, per tutti i cittadini che non desiderano essere inquadrati nelle
categorie di uomini e donne. Dallo scorso dicembre nel Regno Unito i passaporti
dei cittadini britannici non indicano più la paternità e la maternità secondo
gli schemi classici (madre e padre) ma attraverso la dizione di «Genitore 1» e
«Genitore 2», al fine di evitare forme di discriminazione nei confronti delle
coppie omosessuali con figli.
In Germania persino il celebre
Ampelmännchen, l’omino del semaforo per i pedoni utilizzato nei territori della
ex DDR, è stato sostituito da una sagoma neutra, perché rappresentava una
figura maschile con indosso un cappello da uomo.
Tutto ciò apparirebbe comicamente
risibile, se in gioco non ci fosse il rischio di una pericolosa deriva dal
punto di vista antropologico. Qualche tempo fa a simili notizie pochi avrebbero
davvero creduto. Oggi, nel migliore dei casi, anche in Italia ci si limita ad
un sorriso. Domani, probabilmente, non riderà più nessuno. (Gianfranco Amato)
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