FAMIGLIA/ Perché l'Italia non impara da Francia e Germania? Di Luca
Pesenti, giovedì 31 maggio 2012, http://www.ilsussidiario.net
La recente pubblicazione del
Rapporto annuale Istat ha certificato - come abbiamo già scritto su Il queste
pagine - la perdurante condizione di indebolimento sociale ed economico delle
famiglie italiane. Cresce la povertà assoluta, si inverte il trend relativamente
alle tipologie famigliari (stanno meglio di prima gli anziani, stanno sempre
peggio le famiglie numerose e quelle con un solo genitore), si blocca
l’ascensore sociale, si complicano le condizioni di sviluppo per i più giovani.
È possibile ovviamente aggiungere
altri tasselli al quadro già di per sé non entusiasmante. Presentando il volume
“Familiarmente. Le qualità dei legami familiari” (ed. Vita e Pensiero), nato da
un pool di studiosi dell’Università Cattolica sotto l’egida del Centro di Ateneo
Studi e Ricerche sulla famiglia, l’economista Luigi Campiglio ha rincarato la
dose, mostrando una serie di dati freschi di calcolo. Il reddito lordo
disponibile delle famiglie italiane è precipitato nell’arco di un decennio,
perdendo per strada circa 6.000 euro. Contestualmente è crollata anche la
capacità di risparmiare: se nel 1995 le famiglie riuscivano a mettere da parte
il 20% di quello che guadagnavano, oggi non riescono ad andare oltre il 9%.
Nello stesso periodo, le famiglie francesi e tedesche hanno continuato a
risparmiare in modo costante tra il 15% e il 17% del loro reddito. Ed è
ovviamente cresciuta la quota di famiglie che devono intaccare i loro risparmi,
se è vero che dal 1998 a oggi è cresciuta dal 14% al 16% la quota di famiglie
che non hanno un reddito sufficiente a pagarsi lo stretto indispensabile.
Il confronto con i cugini
francesi e tedeschi ci pare particolarmente significativo e per certi versi
impietoso, documentando in modo inesorabile le ricadute ultime sulla vita
comune di tendenze macroeconomiche piuttosto chiare. Se fino al 2007 l’Italia
ha tenuto il passo, la crisi ha determinato un drammatico peggioramento delle
condizioni generali, certificate dall’impressionante divario del Pil: se si
osserva l’andamento dal 2001 al 2010, il Pil italiano è cresciuto di appena lo
0,6%, quello tedesco dell’8,6% e quello francese addirittura dell’11,1%.
In virtù di uno sviluppo
economico che non si è mai interrotto, Francia e Germania hanno potuto
proseguire sulla strada di una tradizione di politiche famigliari molto
generose, ed è evidentemente anche questo che spiega la maggior stabilità
economica delle famiglie di quei paesi. Oltre a poter far conto su un sistema
fiscale basato sullo strumento del quoziente famigliare, il modello francese può
vantare uno schema di intervento per famiglie a basso reddito (il Revenu de
solidarité active), finalizzato a favorire il reinserimento lavorativo e
sociale. In modo analogo, la Germania può vantare un sistema fiscale fortemente
orientato alla famiglia (comprensivo di una franchigia molto ampia calcolata in
ragione della numerosità del nucleo) cui si affiancano una serie di misure di
sostegno al reddito per le persone in difficoltà economica o lavorativa.
Il risultato finale di questi
interventi è sintetizzato nel dato della riduzione del rischio di povertà dopo
l’intervento della mano pubblica: se in Francia e Germania questo rischio si
dimezza grazie alla redistribuzione statale (abbassandosi rispettivamente di 12
e 10 punti percentuali), in Italia diminuisce soltanto di 5 punti, certificando
in questo modo la peggiore efficienza redistributiva tra tutti i paesi europei.
Cosa serve dunque all’Italia per
cambiare passo e per aiutare le famiglie a tirarsi fuori dai guai? I dati
appena descritti ci dicono che non esiste una ricetta univoca e soprattutto
facile a realizzarsi. Non sarà infatti sufficiente neppure un significativo
aumento del Pil (cosa che non appare imminente) per poter garantire una svolta
nelle politiche di welfare famigliare del nostro Paese. Occorrerebbero infatti
contestualmente tre elementi di novità: un abbassamento significativo della
pressione fiscale; una almeno parziale ricalibratura della tassazione
spostandola dagli individui alle famiglie; un riaggiustamento della spesa
pubblica, che liberi risorse da altre voci di spesa per convogliarle su schemi
di reddito minimo a misura di famiglia.
Tre obiettivi di grande portata
che purtroppo non sembrano essere nell’agenda della politica del nostro Paese.
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