28/5/2012 - Fecondazione, cosa divide l'Italia dall'Europa di VLADIMIRO
ZAGREBELSKY, http://www.lastampa.it/
Il sintetico comunicato stampa
con cui la Corte costituzionale ha dato notizia della restituzione degli atti
ai giudici che hanno sollevato questione di costituzionalità del divieto di
fecondazione assistita di tipo eterologo (con gameti di persona estranea alla
coppia), intendeva certo corrispondere all’attesa ansiosa dei molti che sono
oggetto di quel divieto e che speravano che esso fosse levato. Accanto a
costoro, ma con speranza opposta, stavano gli altri, che ritengono fondamentale
mantenere in Italia quel divieto. E le dichiarazioni rese dagli uni e dagli altri,
oltre che le posizioni espresse dai commentatori, hanno spesso riempito di
contenuti opposti quelle poche righe di comunicato, interpretando la decisione
della Corte alla luce delle proprie speranze.
Ma a ben vedere la decisione
interlocutoria della Corte è affatto neutra e non lancia segnali circa il suo
orientamento sul merito della questione. Ed è persino possibile che un
orientamento non si sia ancora formato e maturi solo quando le eccezioni di
costituzionalità della legge 40 del 2004 verranno riproposte e riprese in
esame. L’unica cosa che si può ora dire è che la Corte non ha deciso. Si può
aggiungere che avrebbe potuto farlo, in un senso o nell’altro, ma non è
contrario alla prassi il fatto di restituire gli atti ai giudici remittenti
quando nel frattempo si sia verificato un fatto nuovo e potenzialmente
rilevante.
Nel caso specifico il fatto nuovo
è formalmente di grande rilievo. Tutti i giudici che avevano posto alla Corte
costituzionale il quesito di costituzionalità del divieto di quel particolare
tipo di fecondazione medicalmente assistita, si erano riferiti anche al tenore
di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, richiamandola a
sostegno della tesi della incostituzionalità. Ma la sentenza citata non era
ancora divenuta definitiva e nel frattempo è stata riformata dalla Grande
Camera della Corte. Venuto meno il punto d’appoggio di uno degli argomenti
sviluppati dai giudici remittenti, si può comprendere che la Corte
costituzionale attenda la riconsiderazione del quadro di riferimento per
pronunciarsi sul fondamento delle eccezioni di costituzionalità.
Il fatto nuovo è però solo
formalmente rilevante. Nella sostanza invece credo che lo sia ben poco. Le due
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardano la condizione di
due coppie che, secondo la legge austriaca, non possono ricorrere in patria
all’inseminazione eterologa, unico modo per esse di procreare. La legge
austriaca applicata a quei ricorrenti non è identica a quella italiana, che
prevede un generale divieto di fecondazione eterologa. Non solo, ma la
differenza di valutazione che ha portato la Corte europea prima a pronunciarsi
nel senso che il divieto ledeva il diritto dei ricorrenti al rispetto della
loro vita privata e familiare e poi, con la successiva sentenza definitiva, a
negare invece che l’Austria avesse violato quel diritto, riguarda il cosiddetto
«margine di apprezzamento nazionale» nella protezione dei diritti fondamentali
della persona. Un margine che la prima sentenza aveva ritenuto oltrepassato nel
caso concreto e che invece la Grande Camera ha giudicato compatibile con il
sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le particolarità dei
diversi casi concreti sono quindi di speciale importanza.
Naturalmente la questione del
margine di discrezionalità lasciato ai singoli Stati nella scelta delle
modalità di protezione dei diritti e delle libertà che essi hanno
«riconosciuto» ratificando la Convenzione europea, è tutt’altro che
irrilevante. Per un suo allargamento anzi premono gli Stati per svincolarsi
quanto più possibile dal controllo che in sede europea svolge la Corte. Ma ciò
che in proposito ha detto la Corte europea nel caso austriaco, non può avere
meccanica trasposizione nella situazione italiana. Toccherà invece alla Corte
costituzionale valutare se, con riferimento alle norme costituzionali italiane,
il complessivo sistema della legge n.40, con i valori e le esigenze che essa
esprime, sia equilibrato e proporzionato nella limitazione del diritto
individuale al rispetto delle scelte di vita privata e famigliare che si
proiettano nelle scelte procreative (quanto alle restrizioni possibili la
Convenzione europea richiede che esse siano «necessarie di una società
democratica»).
Ciò che invece vincola la Corte
costituzionale è il principio di diritto affermato dalla Corte europea, quando
ha detto che rientrano nell’ambito della vita privata e familiare protetta
dalla Convenzione le decisioni di diventare o non diventare genitori. Si tratta
di affermazione che la Corte ha fatto nella prima, come nella seconda e
definitiva sua sentenza nel caso austriaco (richiamando anche suoi precedenti
in casi relativi all’Irlanda e al Regno Unito). Nello stesso senso si era
pronunciata la Corte costituzionale austriaca e il principio non era stato
negato dal governo austriaco nello svolgimento della procedura davanti alla Corte
europea. E’ difficile immaginare che la Corte costituzionale italiana vada in
altra e contraria direzione su questo punto.
Dunque la Corte costituzionale
esaminerà la questione del divieto imposto dalla legge italiana in rapporto ai
diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e anche in relazione alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima ha già detto la Corte
costituzionale va intesa «come interpretata dalla Corte europea». E a questo
proposito - se non altro per non esporre l’Italia al rischio di una sentenza di
violazione della Corte europea - la Corte costituzionale terrà certo conto dei
criteri seguiti in sede europea nella gestione del difficile criterio del
margine di apprezzamento nazionale. Nel definire i limiti della discrezionalità
nazionale, la Corte europea fa sempre riferimento al «consenso europeo», per
come esso emerge dalle legislazioni e dalle prassi dei quarantasette Paesi del
Consiglio d’Europa. Più chiaro l’orientamento europeo, più ristretto l’ambito
della discrezionalità dei singoli Stati nel separarsene, e viceversa. Non solo,
ma la Corte europea sottolinea sempre che la sua giurisprudenza è evolutiva e
cerca di seguire le dinamiche culturali e sociali che emergono dagli Stati
europei. Nel caso austriaco la Corte europea, invitando gli Stati europei a un
costante aggiornamento, ha riconosciuto che è evidente una tendenza europea nel
senso di autorizzare pratiche di fecondazione eterologa. Un orientamento che
non è smentito da differenze riguardo ai limiti alla possibilità di conoscere
l’identità del donatore e talora alla diversa considerazione della donazione di
sperma maschile o di ovuli femminili. Oggi un divieto come quello posto dalla
legge italiana è presente solo in Lituania e Turchia. In questo quadro europeo
dovrebbero essere molto forti le esigenze nazionali italiane, per separarsi
dall’orientamento che assolutamente prevale in Europa. Tanto più che quel tipo
di fecondazione è facilmente disponibile in tanti Paesi a noi vicini e quindi
utilizzabile, sol che se ne abbiano le possibilità economiche e pratiche. Il
divieto, che si giustificherebbe per la «non naturalità» del procedimento e per
l’inusuale rapporto che si instaurerebbe tra il nato e coloro che hanno
contribuito a generarlo, resta quindi sterile questione di principio. Essa è
imposta da chi la condivide a coppie che già soffrono della infertilità e che
vorrebbero realizzare il loro legittimo desiderio di divenir genitori
usufruendo, come è garantito dal Patto internazionale dei diritti economici e
sociali delle Nazioni Unite, della possibilità di «godere dei benefici del
progresso scientifico e delle sue applicazioni».
Nessun commento:
Posta un commento