IL POTERE DEI VIDEOGIOCHI - Giuseppe Romano spiega come verrà
affrontato il tema al Fiuggi Family Festival di Fabrizio Piciarelli
ZI12052214 - 22/05/2012
Permalink:
http://www.zenit.org/article-30776?l=italian
ROMA, martedì, 22 maggio 2012
(ZENIT.org) - Abbiamo incontrato il Professor Giuseppe Romano *, uno dei
massimi esperti di videogiochi in Italia, per intraprendere insieme un viaggio
all’interno di questo mondo, affascinante ed in continua evoluzione, ma anche
pieno di rischi ed incognite.
L’intento è quello di
approfondire un tema così delicato e sempre più presente all’interno delle
nostre famiglie, per cercare di capire cosa spinge milioni di ragazzi e adulti
a passare più ore al giorno davanti ad una console. Cosa c’è di così avvincente
e seducente e quali sono i possibili pericoli? Possiamo considerare i videogame
come una nuova opportunità di crescita o costituiscono una vera e propria
minaccia per i nostri figli?
***
Professor Romano, sempre più
bambini passano il loro tempo in casa da soli davanti ai videogame, a scapito
dei giochi reali come una partita a pallone con gli amici o una passeggiata al
parco. E' un fenomeno ormai innegabile e sotto gli occhi di tutti. E' solo una
moda e un trend commerciale del momento o siamo di fronte ad una rivoluzione
sociale e culturale destinata a cambiare radicalmente non solo il nostro modo
di passare il tempo libero, ma anche di socializzare e di rapportarci agli
altri?
Romano: La risposta non può che
iniziare dal mettere in crisi un presupposto della domanda: quello cioè che gli
altri siano giochi “reali” e i videogiochi invece no.
Che cosa sono allora i
videogiochi? Coinvolgono persone reali, occupano tempo reale e per di più fanno
entrare in scenari immaginati da uomini. Se non fossero reali, in tal caso
nemmeno un romanzo o un film sarebbero reali. E nemmeno una partita di calcio,
dal momento che si tratta di un gioco che mette in scena regole fittizie e
arbitrarie.
L’era digitale ha cambiato
certamente alcuni nostri canali di comunicazione e di esperienza, e molti di
essi passano attraverso i computer. Alcuni riguardano il gioco, altri
coinvolgono il lavoro o la socialità. Prima di domandarci se ci fanno bene o
male, conviene chiederci come ci cambiano la vita. Perché sono reali, altroché.
Senza voler demonizzare il mondo
dei videogame e i genitori che li comprano ai propri figli, quali sono i rischi
effettivi a cui si va incontro, soprattutto a livello di salute. Alcune recenti
ricerche affermando che un uso eccessivo della console può comportare gravi
disturbi neurologici, soprattutto nei bambini o scatenare crisi epilettiche nei
soggetti a rischio. L'abuso inoltre può portare oltre alla dipendenza, anche
alla depressione. Siamo di fronte a dei veri e propri "mangiacervelli"
o forse le critiche sono esagerate?
Romano: Anche su questo punto la
risposta non può essere superficiale. Certamente un uso eccessivo dei
videogiochi arreca disturbo alla salute: fisico, certo – sono state riscontrate
numerose patologie possibili, da quelle oculari a gravi forme di artrosi alle
mani –, ma anche sociale. Aspetto, questo, ancora più grave e che dovrebbe
indurre taluni ricercatori a fare un passo indietro, per esplorare tra le
possibili cause di patologie la più seria, che è l’abbandono. Per un bambino o
un ragazzo che si sente solo, che trova attorno poco spazio e poco interesse
per sé, l’evasione in “altri mondi” è il più semplice dei rimedi, la più
immediata delle risposte. Da questo punto di vista i videogame sono ottimali, poiché
procurano un’immersione visiva, uditiva, narrativa e perfino tattile che
davvero trasporta altrove.
Ma, come dicevo, il problema è a
monte. La parola chiave è “uso equilibrato”, e la famiglia costituisce l’unica
sede in cui si apprende l’equilibrio. Senza equilibrio qualsiasi attività è
dannosa e può arrecare danni fisici, emotivi e sociale: persino succhiare
mentine, figurarsi i videogiochi.
Esistono in tal senso degli
Osservatori in Italia che fanno studi su tali questioni e che possono essere di
aiuto e orientamento ai genitori?
Romano: Pochi. Il sistema europeo
di valutazione PEGI (www.pegi.info), che suddivide i titoli per fasce d’età e
spiega con simboli sulle copertine il genere di situazioni che si incontra nel
gioco (violenza, alcol, sesso, ecc.) è importante perché i produttori di
videogame si sono impegnati a rispettare alcuni princìpi e sono i primi a
desiderarlo (pena sanzioni). Però questo sistema, se dà indicazioni spesso
accurate su ciò che va evitato, non può sostituirsi alla testa dei genitori né
tantomeno giudica la qualità culturale delle proposte. Il consiglio è, salvo
indicazioni attendibili sul contrario, di tenere presenti le indicazioni circa
l’età.
Vengo solo ora al punto saliente
della domanda perché in effetti ci sono pochissime indicazioni concepite per i
genitori nel mondo dei videogame in Italia. Chi scrive tiene un blog su
www.famigliacristiana.it, che si intitola Family Game e si occupa proprio di
questi aspetti. Un’altra occasione in cui si è affrontato il mondo dei videogame
sotto il profilo familiare ed educativo è il Fiuggi Family Festival
(www.fiuggifamilyfestival.org) che da anni organizza momenti di riflessione, ma
anche laboratori di interazione, per far accostare famiglia e videogiochi nel
migliore dei modi.
La mia esperienza è che troppo
spesso la censura è, ancor più che preventiva, pregiudiziale, nel senso che la
diffidenza e lo spavento degli adulti rispetto a questo tipo di opere (che
magari non hanno mai guardato da vicino) porta a rifiutarle in blocco. Così come
l’indifferenza o un entusiasmo acritico, ancor più frequenti, portano a
un’accettazione scriteriata dei videogame e di internet: sono certamente troppi
gli adolescenti e i bambini che infatti navigano senza confini di alcun tipo.
Atteggiamenti entrambi sbagliati, posto che una famiglia italiana su due
“ospita” videogame e che comunque tutti i bambini giocano, a casa di questo o
di quello o anche per strada.
Ma in fondo perché attirano tanto
i videogiochi, non solo ai bambini ma anche agli adulti? Gli adulti che li
fruiscono sono adultescenti?
Romano: I videogame sono,
semplicemente, una nuova categoria dell’espressività umana. Così come la tv, il
cinema, i romanzi o le discoteche, sono ambienti personali e sociali in cui
alcuni uomini interagiscono con altri tramite idee, fantasie, immagini e
relazioni.
Esattamente come accade in tutti
gli altri casi, i videogame possono essere ben fatti o mal fatti, interessanti
o noiosi, di alto o di basso livello. Possono veicolare contenuti educativi o
distruttivi. Possono essere adatti ad adulti o a bambini. Nei casi in cui si
realizza il meglio di queste alternative, abbiamo un’opera interessante,
affascinante, importante.
Il videogame è un’opera digitale,
multimediale e interattiva. Comunica cioè in una maniera peculiare e innovativa
rispetto alle precedenti arti, e in quanto tale possiede un linguaggio
sofisticato e capace di comunicare realtà umane grandi e piccine. Poi, come
accade con i libri, esistono opere impegnative o di intrattenimento, fascicoli
smilzi o mastodonti in più tomi.
Il linguaggio dell’interattività
è fra di noi e ci ha conquistati tutti con la forza delle consuetudini.
Impossibile non valersene: la Rete globale ormai comprende tutto ciò in cui ci
imbattiamo, in qualunque attività siamo coinvolti. Tanto più è d’obbligo
ricordare che la Rete non è la somma dei macchinari, bensì la somma delle
persone e delle relazioni che intrattengono. Nello sforzo di essere e di
restare umani giocano il loro ruolo anche i videogame.
* Giuseppe Romano, giornalista, è
partner di UniOne - Architetture di comunicazione srl, società di consulenza
per la comunicazione d’impresa.
Insegna Lettura e creazione di
testi interattivi nel corso di laurea specialistica in Comunicazione mediale
nell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano).
È vicedirettore artistico del
Fiuggi Family Festival (www.fiuggifamilyfestival.org), dedicato al rapporto tra
la famiglia e cinema, tv ecc.
È presidente dell’associazione
Digital Kids, dedicata alla dimensione educativa dei nuovi linguaggi, in
famiglia e a scuola (www.digkids.wordpress.com).
È stato consulente per la
multimedialità della Struttura Tematica Programmi per Ragazzi della Rai.
Per Edizioni Lavoro (Roma 2004)
ha pubblicato La città che non c'è (L'internet frontiera di uomini), uno studio
sulle implicazioni sociali e comunicazionali della Rete digitale.
Con Stefania Garassini ha
pubblicato per Raffaello Cortina Editore (Milano 2001) il volume Digital Kids.
Guida ai migliori siti web, cd-rom e videogiochi per bambini e ragazzi, frutto
di una ricerca condotta per conto della Regione Lombardia.
Nel 1996, per Arnoldo Mondadori
Editore, ha ideato e diretto l’opera in due cd-rom Varcare la soglia della
Speranza, adattamento multimediale e interattivo del libro di Giovanni Paolo
II, tradotto nelle principali lingue.
L’intervista a Giuseppe Romano è
stata pubblicata da Family and media. La seconda parteverrà pubblicata domani,
mercoledì 23 maggio 2012.
ZI12052302 - 23/05/2012
Permalink:
http://www.zenit.org/article-30780?l=italian
IL POTERE DEI VIDEOGIOCHI (SECONDA PARTE) - Giuseppe Romano spiega come
verrà affrontato il tema al Fiuggi Family Festival di Fabrizio Piciarelli
ROMA, mercoledì, 23 maggio 2012
(ZENIT.org) - La prima parte dell'intervista al prof. Giuseppe Romano,
giornalista ed esperto di comunicazione, è stata pubblicata ieri, martedì 22
maggio.
Esistono, quando non c'è abuso,
degli aspetti positivi nell'uso dei videogiochi?
Romano: Possono essere un modo
giusto per creare nuove dinamiche tra genitori e figli e contribuire alla loro
crescita?
Se i genitori svolgono il loro
difficile ma stupendo ruolo, che consiste nello stare al fianco dei figli,
anche i videogame potranno essere strumenti di vita familiare. Si può giocare
insieme – ci sono giochi pensati apposta, ormai su tutte le console – ma
secondo me ancor più conta che ci si interessi in modo reale agli interessi dei
figli, anche quando si tratta di un videogioco apparentemente innocuo o banale.
“Interessarsi” del resto è il termine che secondo me compendia la pratica
dell’affetto e dell’amore, sempre, ma specialmente in quella relazione
intergenerazionale che è la paternità, la maternità e la filiazione.
Oltre a questo, la recente
diffusione dei tablet, tavolette elettroniche che si comandano col tocco delle
dita e che ospitano contenuti da leggere e con cui interagire, ha dischiuso la
soglia di applicazioni nel mondo della scuola e dell’educazione, che si promettono
suggestive. Per legge, dall’anno venturo nessun libro di testo scolastico potrà
mancare di una componente interattiva: stiamo a vedere…
Come la mettiamo con la
rappresentazione della violenza nei videogiochi; possono essere pericolosi
secondo lei, creare dei disturbi o istigare reazioni violente? Che criteri
dovrebbero seguire i game-designers affinchè la "violenza ludica" non
venga assorbita dal fruitore?
Romano: In parte ho già risposto
alla domanda: spesso i problemi cominciano prima dei videogiochi e questi non
fanno che rispecchiarli. Un bambino rabbioso e violento si tufferà in un
videogioco “violento” per trovare un obiettivo per la sua disposizione d’animo.
In parte così facendo la sfogherà, in parte potrebbe anche amplificarla.
In effetti, però, sulla violenza
bisogna intendersi. Tutti noi spesso facciamo di ogni erba un fascio, e
bolliamo con l’etichetta di violenza realtà che in effetti sono assai più
complesse. Il rischio è di condannare, di fatto, amplia parte della nostra
cultura: da Shakespeare alla Divina Commedia, alla Bibbia e perfino al Vangelo.
Il Signore degli Anelli è un’opera violenta? Certo, si combatte, non mancano
aggressioni e squartamenti. Però a mio parere questa lettura induce ad amare e
a difendere pace e giustizia.
La particolarità dei videogame
consiste nell’immedesimazione: si gioca in prima persona. Sicché, sì, può
esserci grande violenza nel far impersonare ruoli inaccettabili a chi non ha il
distacco critico e la maturità per assumere una consapevolezza ironica. Per
questo sconsiglio grandemente di lasciar giocare a bambini e ragazzi un gioco
comeGrand Theft Auto, dove si assume la personalità e la carriera di un
malvivente. Ma ancor più diffido di giochi come I Sims, dove le relazioni umane
vengono “dolcemente” ma seriamente banalizzate.
Quali sono le spie rosse per un
genitore che vede un figlio passare molte ore al giorno davanti ai
videogiocchi? Quando bisogna allarmarsi e quando invece no?
Romano: Quali sono le spie rosse
per un genitore che non vede rientrare un figlio la sera, o che gli vede in
mano pubblicazioni deliranti? Ovvio. Le stesse spie rosse dovrebbero però
accendersi per un figlio che legge giorno e notte e non incontra mai nessuno.
Tra i ruoli dei genitori c’è
l’amministrazione del tempo dei figli. Alcuni videogiochi, è bene saperlo,
coinvolgono al punto da far passare decine e decine di ore a chi ne è
appassionato. Sono mondi ricchi, complessi, affollati. In questa ricchezza si
annida anche il problema del “quanto”. Occorre frequentarli un po’ per volta,
un giorno dopo l’altro, entro confini di tempo e di priorità ben precisi: è la
maniera di far apprezzare i lati positivi senza eccessi.
Qualche ora davanti allo schermo,
in sé, non è un pericolo. Ma è davvero educativo imparare a smettere tanto
quanto a cominciare.
Come riconoscere un gioco di
qualità, al di là delle certificazioni, recensioni o classifiche di vendita?
Romano: Qualche consiglio, il
passaparola, recensioni attendibili. In mancanza di questi, come minimo va
rispettata l’indicazione dell’età consigliata che compare sulla copertina.
Più ampiamente, quasi tutti i
videogame oggi sono “di qualità” sotto il profilo industriale e commerciale:
sono produzioni costose a cui si dedicano professionisti competenti e a volte
geniali. In Italia il fatturato annuo dei videogame è il doppio di quello
dell’home video, ha superato quello della musica e guarda non tanto da lontano
quello dei libri.
Questo non vuol dire certo che
tutti i videogame siano consigliabili, ma ciò che senz’altro non si deve fare è
sottovalutarli.
Un' ultima domanda. C'è un
improvvisa esplosione della tecnologia
3D al cinema, come ad esempio in Avatar. Sarà la nuova frontiera anche per i
videogame e con quali effetti e conseguenze, tenendo conto che la tecnologia 3D è sicuramente molto più
invasiva delle precedenti?
Romano: Il 3d nei videogame c’è
da tempo. Anche nel cinema, di fatto, dal momento che è stato introdotto fin
dal 1920.
La ragione per cui ora è in voga,
oltre al perfezionamento della tecnologia cinematografica, è che si prospettano
apparecchi televisivi adatti a rivedere (e a rivendere) film di questo tipo.
Accade anche con molti videogiochi, in qualche caso richiede tecnologie
aggiuntive (e costose), in altri è più immediato, come nella console portatile
3DS di Nintendo, che non richiede occhiali.
In quasi tutti i casi oggi la
visione è faticosa proprio a causa degli occhiali, ma presto potrebbe diventare
facile e “trasparente”.
Al di là del fatto tecnologico,
occorre distinguere: se si tratta solo di effetti speciali, ci si abitua come a
tutto. Se invece il 3d viene sfruttato come risorsa espressiva e di linguaggio
(Avatar, Hugo Cabret), è un’arma in più per raccontare e per coinvolgere non
solo gli occhi.
L’intervista a Giuseppe Romano è
stata pubblicata da Family and media
Nessun commento:
Posta un commento