Liberticida attacco agli obiettori di Marco Tarquinio, 24 maggio 2012, http://www.avvenire.it
Gentile direttore, le scrivo per
esprimere tutta la mia amarezza. Le cronache di questi ultimi giorni e "newsletter"
per noi medici mi hanno reso consapevole del fatto che associazioni che si
rifanno all’area del Partito radicale stanno chiedendo che nei concorsi venga
riservata una quota ai medici ginecologi non obiettori, mentre esponenti del Pd
hanno chiesto di evitare che nei presidi sanitari ci sia più del 50% di medici
obiettori. Addirittura un magistrato presentato come «esperto di diritto di
famiglia» è arrivato a suggerire la possibilità di denunciare una struttura
sanitaria per «omissione di atti d’ufficio» e «interruzione di pubblico
servizio» nel caso in cui una donna non possa abortire in quello stesso
presidio a motivo del fatto che «non ci sono medici non obiettori». Sono
d’accordo nel perseguire chi fa la scelta dell’obiezione di coscienza solo per
"comodità" e poi, magari, nel privato non è affatto obiettore (come
alcuni casi di cronaca in passato hanno dimostrato), ma credo che questa sia
un’eccezione; come eccezione è il poliziotto che delinque o l’avvocato che
patteggia di nascosto con l’avversario o qualsiasi altro professionista che fa
esattamente l’opposto di quanto la sua professione richiede. Perché invece non
ci si chiede come mai ci sono tanti obiettori? Invece di pensare che i
ginecologi siano obiettori perché non vogliono "lavorare", perché non
si pensa che forse l’aborto è un "intervento" che i ginecologi non
amano fare per altri motivi? Mettere addirittura la corsia preferenziale nei
concorsi per i non obiettori mi sembra veramente un colpo basso alla libertà di
coscienza delle persone. Quanto potrebbe dirsi "civile" una società
del genere?
Miriam Valentini
È vero, cara dottoressa
Valentini. Sempre più medici – ginecologi e anestesisti – obiettano davanti
all’aborto: non se la sentono di uccidere il bambino ancora non nato, sebbene
una legge dello Stato abbia depenalizzato ormai da anni anche nella nostra
Italia questa pratica dolorosissima e, comunque, terribile per le donne che
decidono di ricorrere a essa. Condivido totalmente il suo amarissimo
ragionamento e il suo allarme, che del resto in tante e diverse occasioni – a
partire dalla cronaca – s’è articolato sulle pagine di Avvenire. Ma soprattutto
condivido lo spirito della sua vibrante domanda finale. I paladini di
"libertà" che si fanno arbitrio gettano definitivamente la maschera
(o, meglio, quel che ne resta) e si rivelano per quel che sono: vorrebbero
negare persino la libertà di coscienza, e premono per ottenere regole
liberticide, tese a discriminare e penalizzare i medici che rifiutano di farsi
somministratori di morte. È sempre più chiaro che si pone una grande questione
di civiltà e di umanità. Per Emma Bonino la «coscienza» sembra sia nient’altro
che un virus maligno, visto che è arrivata a polemizzare contro l’obiezione di
coscienza, definendola con orrore una «epidemia contagiosa» da debellare.
Tristissimo, e orribile, è un simile pensiero. Per ciò che dice, e per ciò che
prefigura. Altro che colpo basso, cara dottoressa, una società nella quale si
negasse lavoro a un medico che fedele all’antichissimo giuramento di Ippocrate
rifiuta in scienza e coscienza di uccidere una vita nascente (e, magari, di
questo passo, un malato grave o un disabile gravissimo…), sarebbe una società
governata dalle inique regole di una inumana tirannia.
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