Se si usa molto il cervello si conserva davvero la memoria più a lungo
- La massa si riduce del 5% ogni 10 anni a partire dai 60 anni. Circa il 10%
delle persone dopo i 70 anni ha ricordi perfetti - Danilo di Diodoro, 28 maggio
2012, http://www.corriere.it
MILANO - Con una massa cerebrale
che si riduce più o meno del cinque per cento ogni dieci anni a partire dal
compimento dei sessanta, è normale che la memoria possa perdere qualche colpo,
e allora non si trovano più le chiavi, si perde il cellulare, non si ricorda il
nome di qualche conoscente o il suo numero di telefono. In effetti, sebbene
forse oggi si tenda a essere un po’ più ottimisti sul destino dei neuroni degli
ultrasessantenni, a un certo punto della vita tutti si rendono conto del fatto
che la memoria non è più quella di una volta. A soffrire è la memoria di
lavoro, ossia la capacità di tenere a mente le informazioni che servono per
svolgere il compito al quale in quel momento si è occupati. Ma comincia a
incepparsi anche la memoria episodica, quella memoria a lungo termine di eventi
personali che possono essere localizzati in un preciso spazio e in un preciso
tempo, per esempio il pranzo in famiglia di domenica scorsa. Anche se invece
gli eventi più lontani nella propria storia autobiografica tendono a permanere
più saldamente, forse anche perché mentre si fissavano erano investiti di una
elevata carica emotiva tipica dell’età giovanile.
LA RISERVA - Di questi
cambiamenti ai quali va incontro la memoria con il passare degli anni parla una
recente revisione pubblicata sulla rivista Trends in Cognitive Sciences ad
opera di un gruppo di ricercatori guidati da Lars Nyberg dell’Università di
Umea, in Svezia. La buona notizia è che però non tutti coloro che si inoltrano
nell’età avanzata assistono a un decadimento della propria capacità di
ricordare. Diversi studi hanno dimostrato che circa il 10 per cento degli
ultrasettantenni conserva performance cognitive, memoria compresa, pressoché
immodificate. Certamente alla base di questo privilegio c’è una genetica
favorevole, ma conta anche la cosiddetta "riserva cerebrale", che in
sostanza dipende dal livello che si era raggiunto precedentemente. Più si è
fatto lavorare il cervello durante la propria vita, minore il rischio di andare
incontro a una ridotta funzionalità cognitiva dovuta alla senescenza, perché in
un certo senso si parte da un livello più alto, insomma, come in un serbatoio,
si ha più riserva. Lo hanno dimostrato anche gli studi realizzati con la
Risonanza Magnetica Funzionale, che indicano come gli ultrasessantenni con più
elevate performance cognitive siano capaci di aumentare al bisogno l’attività
nelle aree cerebrali che servono per l’esecuzione di un compito, compreso
quello mnemonico.
IPPOCAMPO - Dice il professor
Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia all’Università La Sapienza di Roma,
e autore dei libri L’arte di ricordare e Cervello (Bollati Boringhieri 2012):
«La memoria ha una specie di crocevia che è l’ippocampo, un nucleo nervoso
situato al di sotto della corteccia, vero e proprio snodo della memoria. Quando
facciamo un’esperienza nuova, l’ippocampo la trasmette al talamo e alla
corteccia dove viene depositata in reti neurali, archiviata per categorie. Similmente,
se richiamiamo una memoria, si compie un cammino inverso grazie all’ippocampo.
L’ippocampo non è però la sede della memoria ma una struttura essenziale per
registrare e richiamare i ricordi. Con l’invecchiamento, l'ippocampo perde
neuroni e così anche la corteccia, il che può portare a una minore efficienza
nella registrazione delle nuove esperienze. I ricordi del passato, invece, non
sono colpiti dai processi degenerativi, a meno che questi non siano gravi come
avviene nel morbo di Alzheimer. A questo punto, però, bisogna tener conto che
esistono differenze tra le memorie: quelle procedurali (ad esempio allacciarsi
le scarpe, andare in bicicletta, compiere atti ripetitivi) sono molto robuste e
difficilmente si disgregano col passare degli anni. Tra l’altro, sono le prime
a comparire nel corso dello sviluppo. Le memorie dichiarative (si basano sul
linguaggio, come lo specificare qual è il proprio indirizzo di casa o
ricordarsi qual è la capitale di uno Stato europeo) sono invece più fragili:
compaiono più tardivamente nel corso dello sviluppo infantile e sono anche più
soggette a deficit. In gran parte queste memorie dipendono dall’efficienza di
circuiti nervosi di cui fanno parte neuroni che si trasmettono l’informazione
grazie a un mediatore nervoso, l’acetilcolina: sono questi neuroni ad essere
più danneggiati nel corso dell'invecchiamento patologico, ad esempio
nell’Alzheimer. In genere, le memorie relative ai nomi e ai cognomi delle
persone "zoppicano" a partire dai 50-60 anni: è un fatto normale che,
se non esistono altri problemi, non deve preoccupare».
CONSIGLI - Ma esistono strategie
che davvero siano in grado di fortificare o preservare la memoria? Ecco alcuni
consigli del professor Alberto Oliverio: «Più ci si impegna a mantenere una
buona forma generale, anche attraverso un’attività fisica quotidiana, più il
cervello risulta essere ben ossigenato e funzionante. Questa certamente è una
delle azioni fondamentali che si possono fare per il buon funzionamento della
memoria. Specialmente per le persone non più giovani, una buona memoria si
conserva anche riducendo il rischio di arteriosclerosi, limitando il consumo di
grassi, soprattutto di origine animale, mangiando frutta e verdura, cereali e
legumi. Anche il controllo della pressione arteriosa ha un effetto protettivo
nei confronti della memoria, preservando il cervello da possibili micro-infarti
che all’inizio possono passare inosservati, ma che a lungo termine fanno
sentire il loro effetto alterando la struttura cerebrale». «Stimolare il cervello
con vari interessi è un ottimo modo per tenere attive tutte le sue funzioni,
quella mnemonica compresa - prosegue l’esperto -. È soprattutto utile leggere
con attenzione prendendo appunti o segnando a margine di libri e giornali i
punti chiave, per poter meglio memorizzare il senso di quello che si legge. Ma
servono anche l’ascolto attento della musica o fare le parole crociate o il
sudoku».
FARMACI - «Non esistono invece
farmaci della memoria - puntualizza Oliverio -, e questo vale tanto per gli
anziani che per i giovani che devono affrontare gli esami a scuola. Inoltre non
risulta particolarmente stimolante il passivo apprendimento a memoria, senza
una spiccata partecipazione emotiva o intellettuale. Se studiate una poesia,
provate a farlo con una lettura espressiva ad alta voce, che coinvolga quindi
più sensi e soprattutto la sfera affettiva. La stessa regola vale per lo
studio, ad esempio, di un capitolo di storia o di scienze: non basta ripetere
svogliatamente, per ricordare meglio bisogna interpretare profondamente quello
che si studia, porsi domande, fare confronti, individuare scalette logiche,
tracciare analogie. Solo in questo modo quello che viene studiato è posto al
riparo dalla naturale selezione operata dal cervello, che tende ad abbandonare
le nozioni catalogate come poco significative o inutili».
Nessun commento:
Posta un commento