La chiave per una vera integrazione, S.E. Cardinale Angelo Scola, 19
maggio 2012, http://www.ilsole24ore.com
Accurate indagini statistiche
riferiscono che già nel 2009 le famiglie residenti nel nostro Paese con almeno
un componente straniero erano più di due milioni e quelle interamente composte
da stranieri erano più di un milione e mezzo. Dati rilevanti, che sottolineano
come, anche in Italia, i complessi rapporti tra eventi migratori e realtà
familiari meritino ormai di essere approfonditi con attenzione. Di un tema
tanto ampio e articolato, non riuscirò naturalmente a cogliere e a proporre in
queste poche righe se non alcune sfaccettature, utili però - a mio avviso - per
cominciare almeno a suscitare una qualche riflessione.
Una prima constatazione si impone
con evidenza: nella maggior parte dei casi alle spalle di un singolo adulto che
emigra c'è, e rimane, una famiglia. La scelta di chi parte interpella e sfida
profondamente la rete di relazioni umane in cui la persona è stata fino a quel
momento fisicamente inserita. Ciascuno dei suoi cari può infatti posizionarsi
diversamente, anche in maniera critica, rispetto all'evento. In altre
situazioni è la famiglia stessa, con decisione unanime, ad affidare a uno dei
suoi membri il compito di andare, fare fortuna e poi tornare. O ad incaricarlo
di preparare nel nuovo Paese le condizioni per una successiva migrazione più
ampia, magari soltanto di moglie e figli, o di altri più numerosi parenti. Non
sono rari nemmeno i casi in cui la decisione di espatriare prende origine dal
desiderio di allontanarsi da una situazione familiare compromessa, di
riscattarsi da vincoli oppressivi, oppure addirittura da un'esplicita
espulsione dalla propria rete familiare. Questi sintetici esempi dicono bene
come dietro ad ogni progetto migratorio ci possa essere una famiglia che fa il
tifo, che trema, o che al contrario è indifferente o avversa, con importanti e
prevedibili conseguenze. Sentirsi sostenuti e incoraggiati dai propri cari
aiuterà, infatti, a muovere con maggiore tranquillità e sicurezza i primi passi
in un paese straniero. Al contrario un'esperienza personale negativa nell'ambito
delle relazioni affettive più strette potrebbe non facilitare subito
un'integrazione serena. Anche dopo l'iniziale tentativo di insediamento, le
relazioni familiari originarie continuano per lo più ad orientare attivamente
la storia di chi è partito. La tecnologia attuale, consentendo scambi anche
quotidiani attraverso il telefono o la rete con la maggior parte delle nazioni
del mondo, facilita e rinforza questo fenomeno.
Analizzando la storia delle
migrazioni, i risultati di indagini qualificate ci portano a constatare che,
quando a trasferirsi sono le famiglie unite e non i singoli individui,
l'integrazione è facilitata. Per quanto la qualità dell'accoglienza incontrata
nel paese straniero possa essere determinante, già la stessa organizzazione
familiare, con la sua capacità di avvicinare le differenze, di accogliere le
novità dei mutati ambiti di vita e di integrarle con i preesistenti sistemi di
valori, rappresenta un passo decisivo verso questa meta. Essa facilita
l'avviarsi delle forme di mediazione su cui si fondano i processi
d'inculturazione e realizza le premesse indispensabili per una convivenza
pacifica, su uno stesso limitato territorio, d'individui di diversa provenienza
etnica. Se dunque si contribuisse a conciliare e a rendere il più possibile
coerenti i progetti migratori con le esigenze fondamentali dei nuclei
familiari, indubbi vantaggi ricadrebbero sull'intero tessuto civile.
Anche gli effettivi rapporti tra
le famiglie immigrate e i contesti sociali dei paesi d'accoglienza non devono
essere valutati in maniera troppo semplicistica. Prendiamo in considerazione,
al proposito, una variabile importante, costituita dalle religioni di
appartenenza. Indagini del 2009-2010 ci dicono che tra i migranti che hanno
raggiunto il nostro Paese, la componente musulmana rappresenta il 28,2%, quella
cattolica il 25,7% e quella ortodossa il 24,6%. Ebbene, è vero che le famiglie
provenienti da culture e società non occidentali possono continuare a subire il
fascino dei valori di riferimento delle loro comunità d'origine e restare
soggette a una forte pressione dei loro codici e delle loro tradizionali regole
di vita. È altrettanto certo però che esse sono spesso in grado di modellare
attivamente queste influenze e decidere, entro un certo margine, come poterle
inserire all'interno dell'universo di valori che caratterizza la loro nuova
esistenza quotidiana. Le dinamiche di interazione vanno quindi colte nella loro
complessità: le famiglie possono diventare ponti fondamentali tra i migranti e
le culture che li accolgono, oppure ridursi a fortezze impermeabili a qualsiasi
tipo di dialogo.
Accenno infine soltanto a due
ulteriori sfide, impegnative ed urgenti, con cui il nostro Paese dovrà presto
misurarsi: il ricomporsi dei nuclei familiari dei migranti e l'ingresso nella
società italiana delle loro giovani generazioni. L'auspicio, anche in questo
caso, non può che essere quello di evitare soluzioni frettolose e sommarie.
Elaborando interventi e misure di sostegno adeguati, la famiglia, riconosciuta
come risorsa, dovrà essere valorizzata quale soggetto attivo di vita buona.
Nessun commento:
Posta un commento