Spagna - Quanti guai nelle fabbriche dei bambini, di Michela Coricelli,
23 maggio 2012
Il 3% dei bambini nati in Spagna sono
frutto di un trattamento di fecondazione assistita. Ogni anno se ne realizzano
86.000: solo il 30% nelle strutture pubbliche, mentre il restante 70% avviene
nei centri privati. Il business è florido, anche grazie al cosiddetto
"turismo riproduttivo". Sono migliaia le coppie europee che ogni anno
si rivolgono alle cliniche iberiche, da Barcellona a Valencia. E migliaia sono
gli euro che questi istituti incassano. Per le vie delle città spagnole,
incrociare un passeggino doppio (o addirittura triplo) è sempre più frequente:
il 25% dei trattamenti finiscono in parti gemellari. Una coppia su sei, nel paese
iberico, non riesce ad avere figli. Ma nella nazione europea in cui sembra
ancora in auge il vecchio slogan sessantottino "proibido proibir", i
paletti legislativi in questo campo sono pochi e sulle difficoltà collegate
all’infertilità è fiorito un incredibile indotto. A fronte dei "soli"
37 centri della sanità pubblica che realizzano questi trattamenti, ne esistono
180 privati, che offrono i loro servizi a single e coppie spagnole e straniere.
Mettere a confronto la legislazione iberica
con il resto delle normative europee è facile. Ovodonazione, donazione di
spermatozoi, donazione di embrioni, fecondazione assistita per donne single,
selezione genetica preimpianto: in Spagna è praticamente permesso tutto (o
quasi), a differenza di quanto avviene in molti altri paesi Ue. In una delle pagine
web dei tanti centri privati si legge testualmente: «L’attuale legislazione
spagnola (in riferimento all’ultima riforma del 2006, ndr) vi permette di
portare avanti dei trattamenti di riproduzione che non possono essere
realizzati in molti altri paesi». Più esplicito non si può: non potete farlo a
casa vostra? Venite da noi.
Tutto facile, dunque, nel "paradiso
dell’eterologa"? Non proprio. Questioni morali ed etiche a parte, restano
le difficoltà, le insicurezze giuridiche e le situazioni irrisolte proprie di
un campo spinosissimo. In un libro sulla «bioetica e la legge di riproduzione
umana assistita» pubblicato un paio di anni fa come una sorta di manuale, sono
stati elencati casi reali (incredibilmente reali), che potrebbero fornire
spunti interessanti, soprattutto a chi guarda la Spagna come un esempio da
seguire. Una donna sposata ha chiesto un trattamento di inseminazione
artificiale, ma con il seme dell’amante: legittimo? Al centro di fecondazione
assistita si presentano non due, ma tre persone (una donna e due uomini): vogliono
un figlio, come deve comportarsi il medico? Dopo una fecondazione assistita
realizzata con la moglie, un uomo chiede che gli spermatozoi in eccesso vengano
usati per l’inseminazione di un’altra donna: poligamia? C’è poi il caso dell’utero
in affitto, proibito in Spagna, ma non altrove: che succede se una coppia
omosessuale torna a casa con un bambino (concepito ad esempio in India) e chiede
che venga registrato all’anagrafe come figlio dei due uomini? Situazione
ingarbugliate: storie piene di sofferenza, in particolare per chi non ha potuto
scegliere nulla perché non è ancora nato. Intanto la crisi ha moltiplicato le "donazioni"
di ovociti e gameti. Un vero guaio, visto che in Spagna non esiste un registro
ufficiale per verificare che non si superi il limite legale di sei bambini
generati dagli stessi donanti.
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