Sette scienziati contro Richard Dawkins e l’onnipotenza della scienza, 26
maggio, 2012, http://www.uccronline.it
Nel mondo esiste ancora qualcuno
(si veda foto a sx) che ritiene che la scienza sia in competizione con la
religione (e la filosofia), addirittura una alternativa ovviamente più
efficiente a fornire risposte. “Più scienza e meno religione”, dicono i devoti
dei secoli bui dell’Illuminismo (sempre foto a sx). La fallacia di tale
argomentazione consiste nel concepire la fede in Dio come una sorta di
“tappabuco” al non (ancora) comprensibile, alle lacune della conoscenza, come
frutto dell’ignoranza umana. Ma nessuno crede a questo dio, non certamente i
cristiani.
Anzi, come ha spiegato John
Lennox, docente di fisica e matematico presso l’Università di Oxford: «per il
cristianesimo, e solo per esso, Dio non è certo una spiegazione alternativa alla
scienza e perciò non può puramente essere inteso come “Dio delle lacune”. Al
contrario, Dio è la ragione di ogni spiegazione». Il suo collega di Oxford, il
filosofo Richard Swinburne ha approfondito: «io non sto presupponendo un “Dio
delle lacune”, un dio al puro scopo di spiegare le cose che la scienza ancora
non ha spiegato. Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la
scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per
spiegare perché la scienza spiega» (da “Fede e scienza”, Armenia 2009, pag.
56-57). Segnalare i limiti della scienza
non significa dunque avvallare “l’ipotesi di Dio” (non c’è concorrenza), ma
soltanto far crollare il “credo” scientista-riduzionista, acquisito dai
cosiddetti “New Atheist” per giustificare la loro irreligiosità.
La limitatezza dell’indagine
scientifica è proprio il filo rosso che ha collegato la maggior parte delle
interviste recentemente realizzate dalla rivista “New Statesman” a scienziati
ed epistemologi. Iniziamo citando Richard Dawkins, il gran sacerdote
dell’ateismo scientifico internazionale, proprio per sottolineare le enormi
differenze dagli altri: «sappiamo che,
se vi è una domanda circa l’universo a cui la scienza non potrà mai rispondere,
allora non potrà farlo nessun altra disciplina», ha affermato rispondendo.
Dawkins qui intende con “universo” ogni cosa esistente, quindi anche l’uomo e
le sue domande, i suoi “perché ultimi” e le sue aspirazioni. Infatti lo
ribadisce dopo: «La scienza è la nostra migliore speranza per rispondere alle
domande profonde dell’esistenza [...]. C’è qualcosa che la scienza non deve
cercare di spiegare? No, non c’è».
Paul Davies, fisico, celebre
divulgatore e direttore del programma “SETI”, è più serio e riflessivo e ha
risposto: «La mia sensazione è che il metodo scientifico ha il potere di
rappresentare e collegare fra loro i fenomeni dell’universo, compresa la sua
origine, utilizzando le leggi della natura. Ma ciò lascia inspiegata
l’esistenza delle leggi». «Gli scienziati», continua Davies, «normalmente
accettano le leggi come “dato” [...]. Così forse le leggi fondamentali della
natura saranno sempre off-limits per la scienza».
Martin Ress, astronomo e presidente della Royal Society, discostandosi
ovviamente da Dawkins, sembra concordare con Davies: «la nostra intelligenza
non può allungarsi fino agli aspetti più profondi della realtà [...]. Ci sono
dei limiti intrinseci al potere predittivo della scienza».
Peter J. Bussey, fisico delle
particelle presso l’University of Glasgow, ha affrontato così la questione: «ci
sono aree in cui la fisica non può dare risposte, come le considerazioni
metafisiche: domande sulla fisica. Ancora più importante, la fisica non può
trattare la nostra coscienza e la nostra natura di persone umane. La natura della
coscienza è al di là del metodo e dell’apparato concettuale della fisica. Le
teorie fisiche più intelligenti non servono a nulla qui, la fisica ha un
mandato limitato e non è impostata per affrontare ciò che realmente significa
essere umani. Procuste filosofie che cercano di ridurre l’umanità verso il
basso per inserirla in un letto di fisica, sono una pericolosa illusione e
devono essere evitate».
Precious Lunga, epidemiologo, è
sulla stessa linea: «ci sono domande che si trovano al di là del mondo materiale
e sono meglio affrontate dalla filosofia in quanto non riconducibili al metodo
scientifico, e di conseguenza non vale nemmeno la pena cercare di spiegarle
attraverso la scienza».
Denis Alexander, direttore del
“Faraday Institute for Science and Religion” presso il St Edmund’s College
(Cambridge), ha offerto la risposta più interessante: «La scienza per
definizione è in grado di fornire, almeno in linea di principio, complete
spiegazioni nomologiche per quegli articoli che si trovano all’interno del suo
dominio. Ma la maggior parte delle cose che richiedono una spiegazione si trova
al di fuori della competenza della scienza, comprese le spiegazioni
assiologiche (perché lo stupro è sbagliato, perché penso che questa pittura sia
bella…)». Ha quindi continuato, ribattendo a Dawkins: «non c’è nulla che la
scienza non dovrebbe cercare di spiegare, a condizione però che quel che vuole
spiegare sia all’interno del suo dominio. Purtroppo, non tutti gli scienziati
fanno questa distinzione, portando ad una perdita di tempo e denaro pubblico,
oltre all’imbarazzo verso la comunità scientifica». Ovviamente non sta parlando
del -seppur imbarazzante- Piergiorgio Odifreddi, dato che non è né scienziato,
né è considerato dalla comunità scientifica. Il biologo ha poi sottolineato
anche la distinzione tra «scienza e scientismo, cioè l’idea che la spiegazione
scientifica sia l’unica che conta».
Richard Swinburne, professore
emerito di filosofia presso l’Università di Oxford ha confermato quanto detto in altre
occasioni: «la scienza non potrà mai spiegare perché ci sono leggi di natura
che coprono il comportamento di tutti i fenomeni fisici. Questo perché la
spiegazione scientifica del funzionamento delle leggi di un livello inferiore
contiene la causa del funzionamento delle leggi ad un livello superiore in
certe condizioni fisiche». Con acutezza ha affrontato anche la controversa
questione del Multiverso: «ci sono innumerevoli multiversi logicamente
possibili, disciplinati da leggi diverse e con differenti caratteristiche
generali che non produrrebbero mai un universo in cui ci sia un pianeta dove
gli esseri umani potrebbero evolversi. Quindi, se vi è un multiverso, ciò che
la scienza non potrà mai spiegare è perché tale multiverso è di natura tale da
produrre un universo “finemente regolato” per la produzione di esseri umani».
Derek Burke, biochimico e attuale
vice-rettore dell’University of East Anglia, ha offerto il suo contributo :
«come cristiano credo che ci sia uno scopo ultimo nel tentativo di spiegare
l’intero mondo naturale. Sappiamo tutti che la scienza opera rispondendo al
“come funziona?”. Ma se si chiede anche il “perché funziona?”, “che scopo ha la
mia vita?”, questo è il genere di domande a cui la fede religiosa pretende di
rispondere e a cui non può dare risposta la scienza e non lo farà mai, perché
non è configurata per fare questo. Quindi abbiamo due tipi di domande, e due
tipi di risposte, che si completano a vicenda. Abbiamo bisogno di etica e
abbiamo bisogno di valori, e questi vengono dal di fuori della scienza. La
scienza non è sufficiente».
Nessun commento:
Posta un commento