Scienziati e filosofi, la verità è una - La lezione dei classici Non ha
senso considerare Lucrezio solo un letterato, nei suoi versi c' è la diagnosi
del morbo di Alzheimer La divisione dei saperi è solo una deriva moderna e
letale di Ceronetti Guido, 21 maggio 2012 - Corriere della Sera
Tempo fa, su queste colonne,
Dario Fertilio trattava di un convegno (a Torino e a Ivrea) in cui gli
intervenuti si trovavano d' accordo per superare la separazione tra cultura
scientifica e cultura-cultura (umanistica, in specie la greco-latina). Sarei d'
accordo anch' io: le Due Culture sono immaginarie, la Conoscenza è una, e
conoscere, dice Qohélet (1, 18) implica e incrementa il dolore; e il dolore ha
bisogno di scienza e di filosofia per essere superato; dunque di un sapere
unico. Gli autori antichi, trattando di cose fisiche in vari De rerum naturae,
sarebbero rimasti trasecolati a sentir parlare di Due Culture. Il loro scopo
non era la cultura, parola che di vuoto ne contiene parecchio, ma la verità, e
la verità è una e indivisibile. Lucrezio fa un poema senza il mito, e il suo
poema tutto fisico e astrofisico seduce come una musica, è un monumento di
bellezza sonora che fa da lampada nel buio dell' ignoranza - blocco di tenebra
in cui nasciamo, viviamo e siamo. Lucrezio riteneva di fare scienza esponendo
la dottrina di Epicuro per un fine di salvezza. Ma uno scienziato contemporaneo
mi collocherebbe Lucrezio nel guardaroba della «cultura classica», altro
fantasma da soffiare via se vogliamo restare veri. In un paio di versi del suo
terzo libro (828-29) io leggo una diagnosi del morbo di Alzheimer che si può
tradurre così: E mettici (tra i mali mentali) «le crisi di furore proprie del
nostro animo e l' oblio di tutte le cose, e aggiunga ancora che ci risucchiano
le nere onde del coma (lo stato vegetativo: "lethargi")». Perché ci
possa essere una sola cultura bisogna che questa sia inclusiva, autonoma,
totalizzante. Se c' è una linea moderna di demarcazione non deve essere accolta
come un luogo comune. Unità sì, ma l' orma è bifronte. C' è una faccia d' ombra.
Stesso volto e due facce. Quella in ombra non è innocente: promuove talvolta il
crimine, può farsi complice del male. Dalle sue matematizzazioni pure (via
Panisperna) è emerso il fungo di Alamogordo, poi quello terrificante di
Hiroshima. Poco è mancato che un sommo fisico (Heisenberg) offrisse a Hitler l'
arma atomica. La medicina è tantalica, stenta ad afferrare i frutti della
salute fisica, ma i piedi li ha tuffati nella morte. Verso il crimine le sue
frontiere sono aperte e mobili; la sua totale dipendenza dall' industria del
farmaco raduna ombre su ombre. I medici che in Germania prescrivevano la
Talidomide, sapevano che cosa si facevano? Un illustre medico e docente,
Edoardo Boncinelli, è da poco uscito con questo titolo perentorio: La scienza
non ha bisogno di Dio. Non lo contesto, ma come filosofo so che l' uomo ha
bisogno di Dio, dalle nascite anteriori alle ulteriori apparenti morti, e che
le mura intorno ai nostri passi sono quelle circolari dove si muovono in
cerchio i detenuti di Newgate. Le aperture di Darwin sono una meravigliosa e
sterminata finestra e hanno accresciuto, ci direbbe Spinoza nel suo linguaggio
ingannevolmente matematico, la conoscenza della «res extensa» di Dio. Darwin è
un faro per Boncinelli: io mi arrischio a dire che Dio ha bisogno di Darwin,
per rivelarsi nell' orca e nell' iguana, o nelle urla della scimmia umana senza
principio. Vediamo ancora. Il vecchio statista Ariel Sharon è in coma
vegetativo dal 4 gennaio 2006. In Israele i medici, che io sappia, sono liberi
di porre un termine a una simile fine-che-non ha fine. A quanto si dice, la
famiglia, in mancanza di disposizioni dell' infelice, non autorizzerebbe la
Parca a tagliare il filo. La povera Eluana, da noi, rimase in tale stato per
poco meno di diciotto anni. I casi non sono pochi, oggi, nel mondo. Se il coma
si protrae oltre sei mesi, un anno, giuridicamente, e soprattutto, umanamente,
lo status del paziente si tramuta in quello di vittima di un crimine. Se la
scienza si fa guidare dalla possibilità tecnologica (dal puro potere tecnico
amorale) è bomba di Hiroshima. Cor ultimum moriens: così sentenzia la scienza,
ma l' espianto a cuore battente è onnipotenza tecnica che ha volto di crimine.
Certo, casi simili non hanno bisogno di Dio, di un referente morale di tipo
Ragione Pratica kantiana: ma allora chi c' è che li ispira? Solo un Demiurgo
malvagio, nemico della specie umana! Non va dimenticato che la cultura egemone,
la tecno-scientifica, si origina da un immenso tesoro aureo di pensiero
assassinato, e da lei divorato come la piccola Cappuccetto Rosso dei Grimm. Il
suo fondamento è magico-alchemico e miracolistico, e prima o poi riemergerà
dalla pancia del lupo. Se si vuole affrontarlo senza orripilazioni, questo è un
bel tema da meditare e discutere - perché procedere da orbi decisi a restare
tali è l' alternativa. Se l' elemento unificatore di queste Due Culture è la
memorizzazione informatica di tutto (c' è da sospettarlo) siamo fuori dalla
verità, perché scaricare virtualmente è riempire all' infinito discariche reali
e incineratori tossici, e dissocia la mente. Segnalo un' ambiguità: è stato un
bel punto per la verità la dimostrazione che la Sindone come immagine di Cristo
morto è falsa (è molto più vero Mantegna!); nello stesso tempo la verità
scoperta ha cancellato, o reso più accanito, il sogno, e senza il sogno la vita
va in perdizione. L' elettronica filologica arriva a questo: ci informa di
quante volte sono ripetute nella Bibbia le parole Bene e Male. Grazie tante. Mi
dice qualcosa sul Bene? Mi dice qualcosa sul Male? Sapere quante volte il verbo
«sfàgo» è ripetuto nei Tragici greci, sul tragico nella vicenda umana mi dice
qualcosa? Ma se tocchiamo il tesoro intangibile della conoscenza greco-latina
ci perdiamo con un piede sulle rotte del sogno, e con l' altro sulle mulattiere
senza discesa, di illimitata conquista e riscoperta, della verità speculativa.
Un bene autentico è a prezzo di fatica. RIPRODUZIONE RISERVATA
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