"Era un percorso obliquo, le leggi le fa il Parlamento", 23/05/2012, http://www3.lastampa.it
Francesco D’Agostino, presidente dei giuristi cattolici
GIACOMO GALEAZZI
Professor Francesco D’Agostino, lei è presidente dei giuristi cattolici, fondatore del Comitato nazionale di bioetica, membro del dicastero vaticano della Famiglia e della Pontifica Accademia per la vita. Cosa cambia?
«Per ora nulla. Agganciarsi al ricorso dell’Austria è stato un boomerang. Intanto da noi la fecondazione eterologa resta vietata e servirà tempo prima che la questione venga posta nei nuovi termini richiesti. Chi ha fatto ricorso credeva di avere un’autostrada davanti a sé ma sbagliava. Mi pare evidente che il divieto dell’eterologa garantisca il nascituro, impedendo situazioni obiettivamente traumatiche (dovute alla fecondazione eterologa) in cui si raddoppia la figura del padre o addirittura in cui si triplica quella della madre. La legge 40 è coerente con il principio di parità di trattamento ed eguaglianza stabilito dalla nostra Costituzione».
E’ sorpreso?
«No. Era già successo qualcosa di analogo per il crocefisso in classe. Chi nasce ha diritto a riconoscere i propri genitori, la legge 40 è una legittima decisione di un Parlamento. Non c’è contrasto di valori tra la corte di Strasburgo e la Consulta. Adesso sarà più difficile sostenere che impedire per legge alle coppie sterili di ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa rappresenti una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
E’ una scelta di mediazione?
«Sì. La Consulta ora prende tempo. Poteva decidere in maniera netta per il sì o per il no ma ha deciso di non farlo. In Austria come in Italia il no alla fecondazione in vitro non lede il diritto di una coppia a formare una famiglia né la discrimina. Non è un’interpretazione definitiva, ma penso sia chiaro che ciascun paese può decidere liberamente, come per il sistema elettorale. Chi si è rivolto alla Consulta credeva di avere un asso nella manica e cioè la sentenza della Corte di Strasburgo che in primo grado aveva condannato l’Austria a risarcire il danno ad una coppia e ad eliminare il divieto di fecondazione eterologa contenuto in una legge analoga a quella italiana. Poi, però, in appello è stato ribaltato tutto. Appunto, in maniera analoga alla vicenda-crocefisso. E’ all’opera un movimento libertario che vorrebbe cancellare tutti i limiti della legge 40 ma il consenso popolare è scarso».
Da cosa lo desume?
«Il referendum contro la legge 40 è naufragato vistosamente. Le leggi si riformano in Parlamento e non attraverso vie oblique. La Corte costituzionale riconosce che su questioni etiche fondamentali la sovranità spetta al Parlamento. La legge 40 tutela tutti i soggetti coinvolti nelle pratiche di fecondazione assistita (compreso il concepito), assicura il carattere terapeutico della medicina e proibisce ogni selezione e pratica eugenetica. E’ giusto che la Consulta rispetti l’autonomia del Parlamento in ambito etico e politico. Se lo avesse ritenuto opportuno, il Parlamento avrebbe potuto dire sì all’eterologa. Votare la legge 40 è stata una libera e legittima scelta etico-politica. Il rispetto della Costituzione non viene messo in discussione».
«Per ora nulla. Agganciarsi al ricorso dell’Austria è stato un boomerang. Intanto da noi la fecondazione eterologa resta vietata e servirà tempo prima che la questione venga posta nei nuovi termini richiesti. Chi ha fatto ricorso credeva di avere un’autostrada davanti a sé ma sbagliava. Mi pare evidente che il divieto dell’eterologa garantisca il nascituro, impedendo situazioni obiettivamente traumatiche (dovute alla fecondazione eterologa) in cui si raddoppia la figura del padre o addirittura in cui si triplica quella della madre. La legge 40 è coerente con il principio di parità di trattamento ed eguaglianza stabilito dalla nostra Costituzione».
E’ sorpreso?
«No. Era già successo qualcosa di analogo per il crocefisso in classe. Chi nasce ha diritto a riconoscere i propri genitori, la legge 40 è una legittima decisione di un Parlamento. Non c’è contrasto di valori tra la corte di Strasburgo e la Consulta. Adesso sarà più difficile sostenere che impedire per legge alle coppie sterili di ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa rappresenti una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
E’ una scelta di mediazione?
«Sì. La Consulta ora prende tempo. Poteva decidere in maniera netta per il sì o per il no ma ha deciso di non farlo. In Austria come in Italia il no alla fecondazione in vitro non lede il diritto di una coppia a formare una famiglia né la discrimina. Non è un’interpretazione definitiva, ma penso sia chiaro che ciascun paese può decidere liberamente, come per il sistema elettorale. Chi si è rivolto alla Consulta credeva di avere un asso nella manica e cioè la sentenza della Corte di Strasburgo che in primo grado aveva condannato l’Austria a risarcire il danno ad una coppia e ad eliminare il divieto di fecondazione eterologa contenuto in una legge analoga a quella italiana. Poi, però, in appello è stato ribaltato tutto. Appunto, in maniera analoga alla vicenda-crocefisso. E’ all’opera un movimento libertario che vorrebbe cancellare tutti i limiti della legge 40 ma il consenso popolare è scarso».
Da cosa lo desume?
«Il referendum contro la legge 40 è naufragato vistosamente. Le leggi si riformano in Parlamento e non attraverso vie oblique. La Corte costituzionale riconosce che su questioni etiche fondamentali la sovranità spetta al Parlamento. La legge 40 tutela tutti i soggetti coinvolti nelle pratiche di fecondazione assistita (compreso il concepito), assicura il carattere terapeutico della medicina e proibisce ogni selezione e pratica eugenetica. E’ giusto che la Consulta rispetti l’autonomia del Parlamento in ambito etico e politico. Se lo avesse ritenuto opportuno, il Parlamento avrebbe potuto dire sì all’eterologa. Votare la legge 40 è stata una libera e legittima scelta etico-politica. Il rispetto della Costituzione non viene messo in discussione».
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