18/05/2012 – TEOLOGIA - Se i cristiani non hanno bisogno dell'anima di Franca
D'Agostini, http://www3.lastampa.it/
Nancey Murphy è tra i relatori
della giornata conclusiva del convegno "Materia, vita, spirito. Teologia e
scienze naturali a confronto", promosso dal Centro Evangelico di Cultura
Arturo Pascal e dal Centro Studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson, oggi a partire
dalle ore 10 presso il Salone della Casa Valdese di Torino (c. Vittorio
Emanuele II, 23). Intervengono inoltre Corrado Sinigaglia e Andrea Lavazza,
modera Franca D’Agostini. Nel pomeriggio tavola rotonda con Claudio Ciancio,
Edoardo Boncinelli, Roberto Bondì, Sergio Rostagno, Angelo Vianello e Alberto
De Toni
TORINO
Uno dei molti paradossi
sull’identità personale che sono circolati negli ultimi anni è il caso
dell’anziano e dottissimo professore il quale propone a un suo studente,
giovane e aitante ma di scarsa intelligenza, di scambiarsi i cervelli: lo
studente riceverà un cervello pieno di sapienza e dottrina, il professore avrà
un corpo nuovo e prestante. Già: ma chi rimane con il cervello vuoto e il corpo
cadente? La risposta dipende da come concepite l’identità personale: se per voi
siamo il nostro corpo, ci guadagna lo studente, se per voi siamo il nostro
cervello, ci guadagna il professore.
Per fortuna, i trapianti di
cervello sono eventualità ancora lontane. Ma il problema di fondo rimane
aperto: chi siamo, in definitiva, se davvero siamo qualcosa? E posto che quel
che siamo sia distinto dal nostro corpo, come vuole il «dualismo cartesiano»,
dove si colloca, esattamente, la mente, o l’anima, o la coscienza? La questione
interessa in modo primario la religione, e particolarmente la religione
cristiana, da sempre alle prese con un’antropologia complicata e discussa, che
prevede strane mescolanze di corpo e spirito, e anime che si addormentano per
risvegliarsi nella resurrezione.
In questo quadro è davvero
sorprendente la posizione di Nancey Murphy, teologa cristiana, professore al
Fuller Theological Seminar di Pasadena, oggi a Torino per l’importante convegno
su «Materia, vita spirito» organizzato dal Centro Luigi Pareyson e dal Centro
di Cultura Evangelica Arturo Pascal.
Murphy sostiene recisamente: «I
cristiani non hanno alcun bisogno dell’anima». Anzi, il cristianesimo è-può
essere una religione decisamente fisicalista : può ammettere che siamo
anzitutto corpi. Scrive Murphy in Bodies and Souls, or Spirited Bodies ?
(2006): «Non c’è bisogno di postulare alcun elemento metafisico addizionale,
come fosse un’anima, o uno spirito, o una mente», e aggiunge: «Ciò non toglie
che siamo esseri intelligenti, morali, e spirituali. Siamo complessi organismi
fisici, per di più formati da migliaia di anni di cultura. Siamo, molto
semplicemente: corpi spiritati ( spirited bodies )». Di qui ha inizio il
particolare «fisicalismo non riduzionista» di Murphy, una prospettiva in cui la
religione non «dialoga» con la scienza, ma anzi si fonda sulla scienza.
In un ambiente come quello
italiano, ancora afflitto da inutili guerre culturali, tra scienza e humanities
, scienza e religione, il pensiero di Nancey Murphy è una ventata d’aria
fresca, non perché la sua posizione sia cauta ed ecumenica, ma al contrario:
perché è estrema e radicale, nella sua illuminante originalità.
Naturalmente, Murphy è
consapevole delle complesse implicazioni storico-dottrinali che la sua
posizione comporta. E tutto il suo lavoro consiste nella paziente elaborazione
delle ragioni che possono portare il cristiano a pensare se stesso e il mondo
in modo coerente con la scienza e la filosofia contemporanee, e con il comune
buon senso. In Did My Neurons Make Me Do It? (2007 con W. S. Brown) Murphy
affronta la questione del libero arbitrio nella prospettiva della neurobiologia.
Ci sono sempre elementi neuronali alla base delle nostre azioni, ma ciò non
significa che siano causa delle nostre azioni. Benché spesso le ragioni dei
gesti più estremi degli esseri umani siano disguidi neuronali, spiega Murphy,
«non è quasi mai appropriato dire “è colpa dei miei neuroni”».
Ma allora, se è tutto così
semplice, perché abbiamo tanta difficoltà a capire come dal nostro essere
fisico emergano responsabilità e intenzionalità? Il problema, dice Murphy, è
che «nonostante i cambiamenti nella fisica, e della neurobiologia, una larga
parte della nostra cultura sta ancora funzionando in base a concezioni arcaiche
(newtoniane, cartesiane) della causalità e della coscienza». Ma basta
riconoscere che la realtà di cui ci parla la scienza è stratificata e complessa
e dalle microparticelle alle società umaneci sono diversi tipi di causazione e
agenti causali, per capire che intenzionalità e libero arbitrio non sono
affatto incompatibili con il nostro essere fisico.
Bisognerebbe, in altre parole,
«chiudere il teatro quando l’attore [l’io] se ne è andato». Molte discussioni
filosofiche oggi sembrano in effetti così: strani teatri in cui il pubblico
discute, animatamente, di uno spettacolo inesistente, di fronte a un
palcoscenico vuoto.
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