EDUCAZIONE/ Istruzioni per lasciarsi "sorprendere" dai propri
figli di Luigi Ballerini, giovedì 17 maggio 2012, http://www.ilsussidiario.net
Gli appassionati di numerologia
attribuiscono grande valore al ventitré. La Terra ruota su un asse spostato di
ventitré gradi, ne “i Ching” il ventitré rappresenta l’esagramma della
Spaccatura, Mozart ha scritto ventitré Concerti per pianoforte e ventitré
Quartetti e pure il collega Paganini di Capricci ne ha scritti proprio
ventitré. E poi Adamo non aveva ventitré costole? Eppure non è a niente di
tutto ciò cui si riferisce il sito: www.23andme.com.
Il ventitré così in relazione con
“me” è quello delle paia dei nostri cromosomi. Il popolare sito americano è
infatti in grado di inviare nelle case di pressoché tutto il mondo dei kit per
la diagnosi genetica da fare comodamente sul divano. Il kit “plan for the
future”, ad esempio, promette di identificare se il futuro genitore è portatore
sano di almeno quaranta malattie ereditarie. Prendiamo ad esempio la fibrosi
cistica: dal sito apprendiamo che un caucasico ogni ventinove è portatore di
una mutazione che può causare tale patologia. Se entrambi i genitori sono
portatori esiste il 25% di possibilità che il bambino nasca effettivamente
colpito dalla malattia. Allora, per saperlo basta pochissimo: si riceve il kit,
si inserisce un campione di saliva dentro l’apposito tubetto, lo si rispedisce
al laboratorio e tempo due settimane siamo in grado di controllare online il
nostro profilo genetico, comodamente da casa. Facile, no?
Siti di questo tipo fanno parte
di quell’onda biotecnologica che sta per investirci permettendoci di fare
autodiagnosi e previsioni, promettendoci di farci sentire più sicuri, più
pronti ad essere genitori migliori in quanto più consapevoli.
Singolare come questa stessa
America, però, che appare così affamata di garanzie sul futuro, si confronterà
a fine mese con un libro che, stando almeno alle recensioni apparse sui
quotidiani, sta già suscitando interesse e molte controversie: Bloom (Bocciolo,
ndr) di Kelle Hampton. Durante la sua gravidanza l’autrice riferisce di essersi
sottoposta ai test prenatali e di aver ricevuto quella tranquillità che
cercava. Eppure, al parto dovette scoprire che la sua bambina era affetta da
trisomia ventuno, altrimenti nota come Sindrome di Down.
Di questo libro – di cui molti
critici e genitori passati per la stessa esperienza stigmatizzano la
spettacolarizzazione della vicenda secondo pure logiche di marketing – possiamo
salvare almeno il sottotitolo, comunque notevole in questa era di
predicizzazione estrema: “finding beauty in the unexpected”. Trovare la
bellezza nell’imprevisto. Innanzitutto, come non ritrovarci un’eco della poesia
di Montale?
Prima del viaggio si scrutano gli
orari,
Le coincidenze, le soste, le
pernottazioni
E le prenotazioni (di camere con
bagno
O doccia, a un letto o due o
addirittura un flat);
Si consultano Le guide di
Hachette e quelle dei musei,
Si cambiano valute, si dividono
Franchi da escudos, rubli da
copechi;
Prima del viaggio s’informa
Qualche amico o parente, si
controllano
Valige e passaporti, si completa
Il corredo, si acquista un
supplemento
Di lamette da barba,
eventualmente
Si da un’occhiata al testamento,
pura
Scaramanzia perché i disastri
aerei
In percentuale sono nulla;
Prima del viaggio si è tranquilli
ma si sospetta che
Il saggio non si muova e che il
piacere
Di ritornare costi uno
sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. E
tutto
È per il meglio e inutile.
E ora che ne sarà
Del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho
studiato
Senza saperne nulla. Un
imprevisto
È la sola speranza. Ma mi dicono
Ch’è una stoltezza dirselo.
Con i figli in fondo è così, si
tratta sempre di “beauty of the unexpected”. Per carità, non si tratta certo di
rifiutare anacronisticamente e aprioristicamente le opportunità offerte dalle
biotecnologie. Ciascuno faccia i suoi conti con il senso di un certo approccio,
senso proprio inteso come direzione, come strada che apre, e se ritiene
vantaggioso percorrerla oppure no. L’ignoranza non è mai preferibile alla
conoscenza, si tratta piuttosto di cosa ce ne facciamo di ciò che sappiamo.
Semplicemente si tratta di tenere presente che il figlio è in ogni caso un
altro soggetto, mai pre-dicibile, sempre da scoprire piuttosto. Quand’anche mappassimo
tutto il suo genoma, identificassimo ogni singola mutazione di ciascun gene,
arrivassimo a conoscere ogni coppia di nucleotidi ci troveremmo davanti
comunque l’imprevisto della sua libertà, del suo pensiero capace di orientarne
il moto per il bene o per il male. Perché, a discapito dei nuovi profeti delle
neuroscienze estreme, il soggetto non è mai pre-determinato. Né da natura né da
cultura.
Anche nella nostra vita, ciò che
si configura come patologia è sempre scabrosamente prevedibile, pensiamo alle
paure o alle compulsioni delle nostre personali nevrosi: sempre le stesse,
banalmente scontate, immutate da anni, anzi da secoli per il fatto di essere
state le stesse anche in chi ci ha preceduti. Il massimo di originalità nella
patologia tocca imbarazzanti vette di scontatezza. Se esiste invece una cifra
della normalità, anche psichica, sta tutta nella varietà, nella possibilità di
sorprenderci. In fondo libertà, varietà e pensiero (orientante) potrebbero
suonare come sinonimi.
Per questo non tifo affatto per
www.23andme.com, anche e forse soprattutto dal punto di vista grammaticale.
Semmai proporrei di registrare un nuovo dominio: www.23andI.com. Passare da
“me” complemento, ad “io” soggetto potrebbe rappresentare il passo che segna la
svolta per noi e i nostri minori. Perché ventitré coppie di cromosomi ci sono e
sicuramente hanno i loro potenti effetti, ma il primato resta al soggetto, non
solo non predicibile, ma sempre irriducibile alla pura natura biologica.
Lasciamoci sorprendere dai nostri
figli.
© Riproduzione riservata.
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