Sgambetti a chi si sposa e fa figli - Priorità a rovescio di Francesco
Ognibene, 16 maggio 2012, http://www.avvenire.it
Diciamolo chiaro: metter su
famiglia in Italia l’hanno fatto diventare un atto di eroismo. E chi te lo fa
fare di impegnarti (davanti a Dio, allo Stato, o a entrambi) a tener fede a una
promessa di fedeltà e di aiuto reciproco con un’altra persona, senza un limite
di tempo, mentre intorno a te il vento soffia in senso esattamente contrario? I
media e la cultura, gli opinionisti e il Parlamento, persino i ministri che
avrebbero altre urgenze cui provvedere, tutti ti dicono che è meglio lasciar
perdere, ridurre le pretese, accontentarti di progetti a bassa intensità, non
si sa mai, mentre fino a un’ora prima hanno parlato di sacrifici, impegni,
stabilità, coesione.
A una coppia di fatto – non
importa come assortita – si vorrebbero attribuire esattamente gli stessi
diritti di chi si è preso il disturbo di credere che il patto coniugale sia una
cosa socialmente rilevante, che pareva stare a cuore allo Stato. E ti vai a
leggere la Costituzione per essere certo che almeno lì si parli ancora di
«società naturale», ovvero costruita da una donna e un uomo (sennò, di che
natura parliamo?). E perché mai dovresti sposarti, se poi una legge di quello
stesso Stato che ti chiede rispetto integrale di tante altre regole potrebbe
presto ridimensionare la portata e il rilievo della famiglia che nasce senza
data di scadenza introducendo una robusta scorciatoia per divorziare? Se questo
è il confuso messaggio che arriva dalla politica – una brusca disillusione
rispetto alla fiducia nella permanenza di una comunità di vita che costituisce
pur sempre la trave portante della società – si capisce com’è possibile che chi
aggiunge all’avventura del matrimonio la scelta di mettere al mondo uno o più
figli non fa che esporre se stesso e la prole all’insidia crescente della
povertà.
Non siamo più quasi solo noi di
Avvenire a scriverlo: ora lo denuncia pure il dossier di «Save the Children»,
laica organizzazione che, guardando il mondo dalla parte dei bambini, prende
atto dell’ambiente sempre più ostile col quale i più piccoli e chi li ha messi
al mondo devono fare i conti. La povertà è un fatto reale per il 22,6% dei
bimbi italiani, e per la metà dei figli di coppie giovani. I bambini e gli sposi:
una vulnerabilità sommata all’altra, un fattore di rischio che va
moltiplicandosi quanti più figli si sceglie di generare, trasformando quella
che dovrebbe essere una ricchezza per l’intera comunità (specie in tempi grami
per lo stato sociale) in una zavorra, in una punizione, quasi in una colpa da
espiare con la penitenza della miseria. Ma che Paese è quello che rovescia la
scelta di dare un futuro a tutti da gioia, risorsa e dono a penalità?
Eppure, tenacemente, contro ogni
messaggio esplicito o insinuante, ci si sposa, si generano figli, si costruisce
stabilità sociale. Scegliendo il matrimonio e dando la vita a uno o più
bambini, la coppia giovane sceglie di andare contromano rispetto a una società
nella quale tutto si fa precario, provvisorio, a termine, purtroppo anche col
bollo dello Stato. Sposarsi? E perché mai? Figuriamoci poi procreare...
Per questo pare ancor più
sbalorditivo che un importante ministro di un governo che si definisce ed è
tecnico smetta i panni per i quali ha ricevuto la fiducia del Parlamento e,
idealmente, di buona parte del Paese e, nel pieno della Giornata della
famiglia, alla famiglia prenoti il funerale, improvvisandosi sociologa di
«nuovi diritti», preconizzando il superamento della "famiglia
tradizionale" che diventerebbe «un’eccezione, non più la regola». Al
ministro Fornero va riconosciuta competenza e capacità di autocorrezione (vedi
il caso degli «esodati») nel maneggiare i numeri, ma per qualche ignoto motivo
perde e non ritrova il conto quando parla di famiglie, addirittura giudicando
il centro della società italiana, quel che tiene in piedi tutto il Paese
(educazione, assistenza, controllo sociale, risparmio, impresa, investimenti, e
poi progetti, compattezza, valori, speranze, futuro) come «un’eccezione». Le
cifre dicono clamorosamente il contrario, ma che importa, se l’intento non è
affermare un dato di fatto ma prospettare un nuovo orizzonte?
Inevitabile che, data questa
premessa, venga srotolato il tappeto rosso all’equiparazione di ogni sorta di
realtà rispetto alla famiglia e al matrimonio secondo Costituzione, nel nome –
s’intende – delle "pari opportunità", inviando al Paese, e ai giovani
in primis, il messaggio di una sostanziale equivalenza di ciò che è stabile e
generativo e di ciò che non lo è. «Oggi le famiglie si fanno e si disfano»
aggiunge il ministro: ma allo Stato non dovrebbe importare di stabilire cosa
merita di essere "fatto" e non "disfatto", evitando di
considerare uguale quel che è evidentemente diverso? In questo clima nebuloso,
che rovescia le priorità ed equipara le scelte di indiscusso e riconosciuto
valore sociale a qualsiasi opzione spuntata come desiderio e teorizzata come
diritto "di nuova generazione", sposarsi diventa una scelta
singolare, e procreare un azzardo. È troppo chiedere che chi ci governa – anche
col "camice bianco" del tecnico – mostri di adoperarsi per tenere
insieme e dare un futuro al Paese, e non per incoraggiarlo a precarizzarsi e
disgregarsi?
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