FESTIVAL DI MANTOVA - Schmitt, 400 milioni di assenti al banchetto
della vita, 3 settembre 2012, http://www.avvenire.it/
Eric-Emmanuel Schmitt non smette
di stupire. Lo scrittore e drammaturgo francese, Premio Moliére per la sua
opera drammaturgica, già autore dell’indimenticabile Il Vangelo secondo Pilato
(San Paolo), capace di tratteggiare un Ciclo dell’invisibile che con diversi
racconti brevi affronta varie tradizioni religiose – Oscar e la dama in rosa
(Rizzoli) e Ibrahim e i fiori del Corano (Edizioni e/o) i titoli più noti – ora
approda in Cina con il suo nuovo lavoro (in libreria da mercoledì): I dieci
figli che la signora Ming non ha mai avuto (Edizioni e/o, pp. 144, euro 12) è
un apologo che affronta il tema della politica del figlio unico e dell’aborto
in generale con una prospettiva decisamente pro-life. Il protagonista del
racconto infatti, dopo un iniziale rifiuto, accoglie il figlio della sua
compagna dopo aver conosciuto in Cina la signora Ming, vittima delle scelte
anti-vita di Pechino perché impedita nel suo desiderio di maternità. Schmitt
sarà ospite di un doppio appuntamento al Festival della letteratura di Mantova
sabato 8 settembre: alle 10.30 a Casa del Mantegna parlerà su «A cosa serve la
letteratura?»; alle 17.45 a Palazzo San Sebastiano presenta il suo nuovo
racconto.
Dunque, per lei a cosa «serve» la
letteratura?
«Vaste programme, questa domanda.
Penso che ci siano tante risposte quante sono gli scrittori e i lettori. Per me
la letteratura rappresenta la scoperta della molteplicità dei punti di vista e
l’esplorazione del labirinto della condizione umana. Se la filosofia cerca di
semplificare, la letteratura tende alla complicazione. Sono sempre rimasto
colpito dalla nascita della filosofia e della poesia nel V secolo a.C. in
Grecia: se da un lato la filosofia cercava l’unità, la singolarità e la verità
con una formula matematica, la poesia e il teatro – ad esempio l’Antigone –
mostrano e creano situazioni che presentano diversi punti di vista. In tal modo
la letteratura dimostra che ciascuno ha ragione dal suo punto di vista e torto
dalla prospettiva degli altri. La letteratura ci chiede di fare attenzione a
proclamare una verità e ci suggerisce che ve ne esistono molte. Se la filosofia
sembra quasi voler abbattere il labirinto della condizione umana, la
letteratura lo vuole percorrere per intero. Per me poi la scrittura è una
scuola di tolleranza contro il fanatismo e un modo per coltivare il mistero:
essa è un’apertura costante all’altro e all’alterità».
Il filosofo Theodor Adorno diceva
che «dopo Auschwitz, non è più possibile fare poesia». Tanti critici pensano
che nella nostra epoca post-moderna il romanzo sia ormai morto. Lei continua a
scrivere, però …
«Infatti la frase di Adorno è
un’idea semplice e direi ideologica, che vuole semplificare la realtà. Il
romanzo ha diverse armi rispetto alla filosofia per comprendere ciò che ci sta
intorno: la compassione, la simpatia, l’immedesimazione…».
Il suo scritto più recente, «I
dieci figli che la signora Ming non ha mai avuto», è un singolare testo in cui
lei affronta la questione della politica anti-natalista del figlio unico.
«Grazie alla legge 400 milioni di cinesi avevano evitato di nascere. Com’era
possibile felicitarsi per quattrocento milioni di fantasmi? O meglio, di
assenti… Che senso aveva investire sul nulla anziché sull’essere». Perché ha
scelto questo tema?
«Le politiche demografiche della
Cina si basano su una razionalità matematica: si limitano le nascite perché, si
dice, altrimenti non ci sarebbero i mezzi per mantenere i nuovi nati. Ma tale
razionalità è triste: vedere che non sono nati 400 milioni di bambini è una
cosa di cui rattristarsi, una tragedia. In questa prassi politica c’è una
visione anti-vita e anti-natalista che non approvo. Ricordiamoci che la
razionalità non è sempre morale: per me il valore più alto è la vita e la
libertà, in questo caso la libertà di scegliere di diventare genitori».
Fra pochi giorni debutta a Parigi
la sua trasposizione teatrale del «Diario» di Anna Frank. Come è arrivato a
questo lavoro?
«È stata un’avventura strana. Tre
anni fa alcuni produttori olandesi hanno fatto delle proposte di casting a
diversi drammaturghi in tutto il mondo per una trasposizione teatrale del
Diario. Sono venuti a trovarmi a Bruxelles, dove abito, e mi hanno chiesto come
avrei fatto un’opera simile. In seguito sono stato scelto e ho lavorato insieme
ad alcuni storici e membri della Fondazione Anna Frank di Amsterdam. Il mio
testo teatrale presenta il punto di vista del padre della ragazza, Otto,
l’unico ad essere sopravvissuto al lager nazista. Questo papà, che ogni giorno
va alla stazione ferroviaria per vedere se la moglie e le due figlie stanno
tornando, rinviene il Diariodella figlia e ne scopre il carattere di
scrittrice, a lui ignoto».
Speriamo di vedere presto questa
piéce anche in Italia…
«Sì, certamente, ci sono già
state richieste al riguardo».
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