LETTURE/ Cinque domande per andare oltre Darwin - INT. Fiorenzo
Facchini - venerdì 7 settembre 2012 - http://www.ilsussidiario.net
«Alla luce delle attuali
conoscenze il processo evolutivo nel suo insieme appare assai complesso. Le
modalità e i meccanismi evolutivi appaiono sempre meno esauribili in un unico
modello, come quello darwiniano, che è funzionante e verificabile nella genetica
di popolazioni per la biodiversità. La ricerca sulle modalità e sui meccanismi
evolutivi è tutt’altro che chiusa e sembra dischiudere nuovi orizzonti». È a
partire da questa considerazione che Fiorenzo Facchini, uno dei più noti
antropologi viventi, porta a galla cinque interrogativi cruciali attorno ai
quali si dovrà snodare la ricerca non solo in campo paleontologico e biologico
ma anche in tutte le discipline che inevitabilmente intersecano il grande tema
dell’evoluzione. Nel suo ultimo libro, Evoluzione – Cinque questioni nel
dibattito attuale (Jaca Book), Facchini traccia una rassegna dei punti chiave
della ricerca nel campo della paleontologia e della biologia senza trascurare
le grandi domande che i temi delle origini sollevano. Su questi stessi temi ha
risposto alle domande de ilsussidiario.net.
Creazione ed evoluzione: davvero
la seconda rende superflue la prima?
Tutt’altro. Bisogna anzitutto
chiarire sempre che si tratta di due piani distinti: detto in termini semplici,
evoluzione e Creazione rispondono a domande diverse e quindi la diversità delle
risposte non pone alcun problema, non genera alcun conflitto. Sono due strade
di conoscenza diverse e complementari. Non solo. Vorrei aggiungere che non c’è
solo complementarietà. Mi piace pensare anche al concetto di armonia:
l’evoluzione può essere vista come una modalità della Creazione nel tempo, cioè
un modo con cui la Creazione si compie nel tempo. D’altra parte è ormai
ampiamente spiegato dalla riflessione filosofica e teologica che il concetto di
Creazione non riguarda soltanto gli inizi lontani delle cose, quasi che poi,
una volta create, le cose possano essere abbandonate a se stesse. Il concetto
di Creazione implica un rapporto diretto di Dio con la realtà creata e che
cambia nel tempo. In questo senso si parla di creazione continua, attraverso la
quale Dio mantiene la natura nell’esistenza e che in qualche modo si manifesta
attraverso l’evoluzione. Una natura che cambia e cambiando rivela la sua
sorprendente capacità innovativa, che è il corrispondente dell’idea di
creazione: cioè di qualcosa che è sempre nuovo e si compie nel tempo.
Circa l’evoluzione e la modalità
con la quale si svolge, si può dire che può essere spiegata dal caso,
eventualmente corretto dalla selezione naturale?
Vi sono nel corso dell’evoluzione
delle restrizioni e delle canalizzazioni a livello genetico che non hanno
niente a che vedere con la selezione naturale, o per lo meno sono già presenti
prima che intervenga la selezione; quindi bisogna capire come può essere avvenuto
tutto questo. Il problema è vedere come si combinano fenomeni puramente casuali
con le finalità che si manifestano nella natura. Ma qui è facile essere indotti
a pensare a una finalità di ordine più generale, che riguarda tutto il sistema
della natura: è il discorso del finalismo, che però è questione più filosofica
che scientifica, non risolubile su base puramente empirica.
C’è la tendenza, tra alcuni
studiosi, a ritenere che siano esistite più specie umane nella stessa epoca e
nello stesso territorio: lei cosa ne pensa?
Mi sembra che ciò derivi da una
visione riduzionista e da un atteggiamento ideologico che tende ad accentuare
le diversità per attenuare la specificità dell’uomo, non riconoscendolo in
tutte le sue dimensioni, fisiche e spirituali, e riducendolo alla pura
dimensione biologica. Certo non è facile individuare le specie sulla base della
documentazione disponibile, sia essa paleontologica che biomolecolare. Però, se
ci si basa sul concetto biologico di specie come viene inteso oggi, e cioè
caratterizzato dall’interfecondità tra gruppi, allora l’idea della molteplicità
di specie appare ben poco verosimile.
C’è continuità biologica nel
processo di ominizzazione ma ci sono anche delle discontinuità: nel suo libro
lei descrive una discontinuità culturale, ecologica e ontologica. A cosa
guardare per cogliere i tratti dell’identità umana?
Il vero problema è proprio quello
dell’identità dell’uomo, che lo distingue dagli altri esseri animali. Ci sono
ancora punti problematici oggi anche a livello biologico, ci si interroga
ancora su come possa essere spiegato il fatto della cerebralizzazione, cioè
l’aumento notevole del cervello umano che non ha confronto con quello delle
altre specie di Primati. L’aspetto essenziale tuttavia è che l’uomo è tale quando
pensa, la sua identità è legata alla sua capacità di pensare e agire
liberamente. Di fronte a questo, il livello morfologico o l’appartenenza a una
particolare specie hanno molto meno importanza.
Cosa ha caratterizzato l’avvento
di un essere identificabile come “uomo”?
A prescindere dal livello
strutturale biologico, si può dire che la comparsa dell’uomo è avvenuta quando
l’ominide è diventato capace di pensare, di intelligenza astrattiva, di porsi
domande. E fra queste certamente una domanda che deve essersi posto è quella
sulla realtà, su tutto quello che lo circondava e su quello che lo sovrastava.
Il senso dell’infinito e del sacro è oggi riconosciuto come elemento
caratterizzante dell’uomo, a partire da quando è “uomo”.
(a cura di Mario Gargantini)
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