Antibiotici: smentita definitivamente l’evoluzione dei batteri, di Enzo Pennetta*, *biologo (www.enzopennetta.it), 28 settembre, 2011,
http://www.uccronline.it
Con questo articolo diamo avvio
alla collaborazione con Enzo Pennetta, biologo e insegnante di scienze
naturali, laureatosi nel 1984 in Scienze biologiche presso l’Università “La
Sapienza” e nel 1989 in Farmacia sempre presso la stessa università. E’ autore
del libro “Inchiesta sul darwinismo: come si costruisce una teoria” (Cantagalli
2011), ricostruzione storica del progressivo inserimento della teoria di Darwin
all’interno del dibattito scientifico e della realtà sociale, dando origine al
complesso fenomeno del “darwinismo”.
Quante volte abbiamo sentito dire
che l’evoluzione dei batteri è dimostrata dalla loro capacità di sviluppare la
resistenza agli antibiotici? Effettivamente si tratta di un “mito” che,
nonostante le smentite, ha attraversato inalterato i decenni, così come i
grafici con l’evoluzione del cavallo e i disegni taroccati di Haeckel con la
falsa somiglianza tra gli embrioni.
Come già anticipato, l’idea che i
batteri potessero “evolvere” acquisendo un nuovo carattere per la resistenza
agli antibiotici, venne già smentita negli anni ’50, quando i genetisti
americani Joshua ed Esther Lederberg, fecero degli esperimenti utilizzando la
tecnica del replica plating, consistente nel preparare due colonie batteriche
identiche e sottoporne solo una all’azione degli antibiotici. La colonia mostrò
che alcuni batteri avevano sviluppato la resistenza all’antibiotico e che tutte
le generazioni successive la mantennero dimostrando che si trattava di una
caratteristica genetica. Andando però a confrontare la posizione delle popolazioni
resistenti con la piastra messa da parte (identica a quella utilizzata)
scoprirono che i batteri resistenti agli antibiotici erano già presenti anche
in quella, e nelle stesse posizioni in cui erano “comparsi” i batteri “evoluti”
in quella utilizzata per l’esperimento. La conclusione dello studio di Joshua
ed Esther Lederberg fu che la capacità di resistere agli antibiotici non è una
nuova caratteristica, e che quindi non dimostra che si sia in presenza di un
caso di evoluzione.
Ma, sempre in tema di resistenza
agli antibiotici, è di questi ultimi tempi la notizia che il microbiologo
Martin J. Blaser, della New York University, analizzando dei batteri ritrovati
nel permafrost dello Yukon, e risalenti a 30.000 anni fa, ha scoperto che essi
contengono i geni per la resistenza a numerosi antibiotici. Ne dà notizia il
New York Times del 31 agosto 2011 in un articolo intitolato: “Researchers Find
Antibiotic Resistance in Ancient DNA“. Va inoltre tenuto conto del fatto che i
batteri possono trasmettere facilmente la capacità di sopravvivere agli
antibiotici, infatti possono scambiarsi il gene per la resistenza come “si
condividono le figurine”: «I batteri condividono questi geni l’uno con l’altro
come le figurine di baseball», ha commentato infatti al riguardo il
microbiologo Stuart Levy della Tufts University.
In definitiva si potrebbe dire
che si tratta di una specie di esperimento di replica plating condotto su scala
planetaria, e in più con una coltura “messa da parte” 30.000 anni fa. Ma se la
resistenza agli antibiotici era presente circa 30.000 anni prima del loro
utilizzo in terapia, come sarebbe possibile dire che i ceppi oggi resistenti
siano un esempio di evoluzione della specie provocato dai farmaci? Questo
dovrebbe implicare che la resistenza sviluppata dai batteri verso gli
antibiotici non potrà più essere proposta come una dimostrazione
dell’evoluzione secondo i meccanismi neo-darwiniani.
In teoria sì, ma si accettano
scommesse sul contrario.
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