Lutero: rivoluzione, non riforma di Francesco Agnoli, 23-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Quando si parla di Lutero,
nell’immaginario collettivo creato ad arte da propagandisti interessati, il
pensiero corre subito alla corruzione della Chiesa cattolica del Cinquecento.
Molti libri della scuola dell’obbligo, allora, si soffermano nel descrivere le
oscenità dei vescovi e dei papi di quel periodo, la cosiddetta vendita delle
indulgenze e quant’altro, per poi estrarre dal cilindro il vendicatore, l’eroe
buono, il ribelle animato da senso di giustizia: Martin Lutero, appunto.
Ebbene si tratta di una
caricatura. Non perché la Chiesa dell’epoca non fosse corrotta. Lo era
sicuramente. Del resto è la storia che ce lo insegna: quando scarseggiano i
sacerdoti santi, nascono le diaspore, la gente perde la fede…La Chiesa
dell’epoca, dunque, versava in pessime condizioni. Non stupisca: ha anch’essa,
nella sua componente umana, i suoi giorni e le sue notti.
La crisi era dovuta a motivi
interni, rilassatezza dei costumi, ai vescovi che pensavano a viaggiare e alla
bella vita, all’incuria di molti sacerdoti, alla mentalità rinascimentale e
cortigiana penetrata nel tempio di Dio…, e a motivi esterni: in molti paesi
d’Europa, in quegli anni, vescovi ed abati non erano scelti dal papa di Roma,
ma dai sovrani. Erano quindi più che uomini di Chiesa, uomini di potere. A ciò
si aggiunga il rischio sempre in agguato: il clericalismo….
Ci sarebbe dunque voluto,
sicuramente, un riformatore. Come lo era stato Francesco d’Assisi, per esempio,
o come sant’Ignazio di Loyola.
Riformatore è colui che riconosce
il male che vive nella Chiesa, e si adopera non contro di Essa, ma perché Essa
sia più fedele al suo compito, alla sua costituzione divina. Il riformatore
cattolico non inventa una nuova dottrina, non propone una ricetta sua, ma
lucida e rispolvera il senso profondo del Vangelo e della Tradizione, nella
fedeltà alla Chiesa di sempre. Con umiltà.
Lutero, invece, fece tutt’altro:
non fu un riformatore, ma un rivoluzionario. Non cercò di eliminare i guasti,
le aberrazioni, gli errori, ma propose una religione nuova, una nuova teologia
ed una nuova antropologia. Indicò non Cristo, ma le sue personali opinioni.
Ricordiamolo, perché non lo si
dice spesso: la sua stessa vocazione era stata incerta, poco spontanea, e la
vita religiosa, abbracciata senza adeguata consapevolezza, si rivelò, per lui,
insopportabile. Lutero era uomo passionale, irascibile, impetuoso: cercò,
certamente, di cambiarsi, di farsi violenza, con penitenze e preghiera; forse
con troppe penitenze e preghiere, ma con pochi risultati. Lutero infatti, non
riusciva ad accettare la sua limitatezza, la sua miseria, tipica della
condizione umana. Ha scritto di lui J. Maritain: “Si appoggiava, per giungere
alla virtù, alle sue sole forze, fidandosi dei propri sforzi, delle sue
penitenze, delle opere della sua volontà, molto più che della grazia. Praticava
così quel pelagianesimo di cui accuserà i cattolici, e da cui in realtà lui
stesso non riuscirà ad affrancarsi. Praticamente egli era, nella vita
spirituale un fariseo che conta nelle sue opere, come fa fede il suo
raggrinzimento di scrupoloso. Si rimproverava come peccato ogni involontaria
impressione della sensibilità, e si studiava di acquistare una santità da cui
fosse esclusa la minima traccia della debolezza umana” (I tre riformatori).
L’insuccesso, dunque, vissuto con
orgoglio, scatenò la sua ribellione e generò la sua nuova antropologia: io non
riesco a fare il bene, l’uomo non riesce a fare il bene, ogni uomo è solo
cattivo. Questo è il caposaldo del pensiero luterano: il pessimismo
antropologico. Lo stesso concetto sostenuto, nello stesso periodo, da Niccolò
Machiavelli.
Ma se l’uomo non è capace di
opere di bene, allora, come può salvarsi?
Se le opere buone non contano
nulla, concluse Lutero, l’unica cosa che
ci può salvare è la Fede, la misericordia di Dio (la sola Fides, in
contrapposizione con il pensiero di san Giacomo fides sine operibus morta est).
Di qui la sua celebre
proposizione luterana: “Pecca fortiter sed crede fermius”, cioè “pecca pure
fortemente, ma credi più fermamente”. Di qui la sua critica alle indulgenze:
non solo alla corruzione, ma alla possibilità stessa che ad una azione buona
(ad esempio un'elemosina per costruire una chiesa o un ospedale, come spesso si
faceva) corrispondesse un perdono dei peccati. Di qui la seconda parte della
sua vita: non più rigore e penitenza eccessivi, ma, come ammetteva lui stesso,
e come testimoniano disegni e ritratti dell’epoca, gozzoviglie, dissolutezza,
vino…
Ridotto l’uomo a peccatore senza
possibilità alcuna di bene, appeso solo al filo della fede, Lutero si rese ben
conto di aver così ucciso la libertà. E lo scrisse apertamente nel suo “De
servo arbitrio”: “Quanto a me, io lo confesso: se la cosa fosse possibile, non
vorrei che mi fosse dato il libero arbitrio o che a mia disposizione fosse
lasciato alcunché, con cui poter tendere alla salvezza, non solo perché non
avrei la capacità di resistere e conservarlo fra tante avversità e pericoli e
fra tanti assalti diabolici, poiché, essendo un solo demonio piú forte di tutti
gli uomini, nessuno degli uomini si salverebbe, ma perché, anche se non ci
fossero pericoli, avversità, demoni, io sarei costretto a travagliarmi
continuamente nell'incertezza e a dare pugni nell'aria: infatti la mia
coscienza, anche se vivessi e operassi eternamente, mai potrebbe conseguire una
tranquilla certezza di quanto dovesse fare per soddisfare Dio. E, qualunque
opera avessi compiuto, sussisterebbe sempre lo scrupolo se ciò piacesse a Dio,
o se Egli richiedesse qualcosa di piú, cosí come prova l'esperienza di tutti
coloro che si sono dati alle opere e come io ho dovuto apprendere in tanti anni
con grave mia sofferenza. Ma ora, poiché Dio ha avocato a sé la mia salvazione,
escludendola dal mio arbitrio, e ha promesso di salvarmi non a motivo delle mie
opere e del corso della mia vita, ma per la sua grazia e misericordia, io sono
tranquillo e sicuro che Egli mi sarà fedele e non mi mentirà, e inoltre cosí
possente e grande, che nessun demonio, nessuna avversità potranno piegarlo o
strapparmi a Lui” (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol.
VIII, pagg. 1145-1146).
Da questa concezione, ne derivava
un’altra, sebbene non ancora così esplicita come sarebbe accaduto con Calvino:
non contando nulla le buone opere, o meglio non essendo possibile che un uomo
faccia qualcosa di buono, ne consegue che l’uomo è predestinato, alla salvezza
o alla dannazione, indipendentemente dalla sua stessa vita, per giudizio
insindacabile di Dio.
Un altro concetto fondamentale
introdotto da Lutero per abbattere la necessità della Chiesa, fu la riduzione
dei sacramenti a due, e la proclamazione del libero esame: ogni uomo può
leggere e interpretare liberamente la Bibbia, senza mediazione alcuna. Un tale
principio si rivelò, però, devastante: se ogni uomo può leggere come vuole le
Sacre Scritture, infatti, è giocoforza che nascano infinite interpretazioni ed
infinite sette. Così nel tempo sorsero calvinisti, socianiani, evangelici,
battisti, anabattisti, episcopaliani… mormoni, avventisti, testimoni di
Geova…Ovunque sedicenti profeti si alzarono per dire di aver compreso il vero
senso della Bibbia (nascosto sino ad allora, sino ad almeno 15 secoli dopo la
venuta di Cristo), ed iniziarono, in base al libero esame, a proporre la data
per la fine del mondo, a distruggere dogmi e a crearne altri…
A tutto ciò si aggiunga il
carattere durissimo di Lutero: per lui il papa era l’Anticristo e i cattolici i
suoi “servi”; i contadini ribelli andavano trattati con ferocia: “Verso i contadini testardi, caparbi, e
accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione,
ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...” (Scritti
politici, Utet, Torino 1978, p. 515); quanto agli ebrei: “In primo luogo
bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare
deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più
vederne un sasso o un resto”; inoltre occorre “allo stesso modo distruggere e
smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che
fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla,
come gli zingari” (Degli ebrei e delle loro menzogne, Torino 2000, pp.
188-190).
Perché allora Lutero ebbe tanto
successo? Sicuramente perché seppe utilizzare il pretesto della corruzione
della Chiesa, per la sua rivoluzione, ma soprattutto perché seppe arruolare i
principi tedeschi prima e altri sovrani poi. Alcuni signori tedeschi prima,
infatti, poi i re di Svezia, Danimarca, Inghilterra… furono coloro che
permisero al protestantesimo di decollare, schierandosi dalla sua parte, con
uno scopo ben preciso: diventare protestanti significava abolire la Chiesa
cattolica dalle proprie terre, incamerarne i beni, sommare nella propria figura
il potere temporale e quello spirituale! Se dunque nel campo religioso Lutero
portò l’anarchia e l’individualismo, in campo politico generò le Chiese di
Stato e le chiese nazionali. Fuori dalle chiese, in Inghilterra, vi è ancora
oggi una scritta: “Church of England”.
Inconcepibile per il pensiero cattolico… Fu la divisione dell’Europa, la fine
del sogno imperiale, di unire popoli diversi per lingua, cultura e tradizioni,
ma fondati sulla stessa fede.
Si potrebbe dire molto altro, ma
manca lo spazio. Urge dunque una conclusione. Il protestantesimo oggi è in
crisi totale. In buona parte vive, come è spesso successo, per opposizione al
cattolicesimo. In molte nazioni, pur di non scomparire, ha aperto al sacerdozio
femminile, ai gay ecc., senza successo alcuno, anzi…Ma il protestantesimo, come
si è visto, è basato sul libero esame, e se è vero che sovente questo ha
portato a tante aberrazioni, è anche giusto ricordare che vi sono sempre stati
e vi sono anche oggi protestanti più o meno vicini alla vera tradizione
cristiana. Vi sono, per fare un solo esempio, protestanti che lottano con
grande coraggio, con determinazione anche molto superiore a quella dei
cattolici, in difesa della vita e dei principi non negoziabili. Vi sono
protestanti che rinnegano buona parte delle idee di Lutero, dalla svalutazione
delle opere buone, alla negazione del libero arbitrio. Con questi protestanti,
come con tutti gli uomini di buona volontà, si deve ed occorre collaborare,
consapevoli che la vera fede è per noi non un motivo di superbia, ma una
responsabilità. Senza però che questo comporti una confusione sul piano
dottrinale. Senza che ecumenismo diventi sinonimo di indifferentismo. Ci
separano teologia, antropologia, ecclesiologia, storia… Ma la speranza è che si
ritorni ad un “solo ovile” sotto un “solo pastore”, che si ripeta dovunque
quello che è accaduto in Inghilterra ed in altre parti del mondo: un ritorno
alla Chiesa “una, santa, cattolica ed apostolica”.
Nessun commento:
Posta un commento