Avvenire.it, 28 settembre 2011 - GRAN BRETAGNA - Londra, eutanasia
negata a donna in stato di coscienza minima
Anche nella vita di una donna
ridotta da una grave malattia a uno stato di coscienza minimale permangono
"elementi positivi" e per questo non può essere consentita alcuna
forma di eutanasia. Lo ha stabilito un giudice della Court of Protection
inglese, con una sentenza che segna un importante precedente nei casi in cui
viene richiesta la sospensione anticipata del trattamento sanitario per quei
pazienti cronici mantenuti in vita dal trattamento stesso. Lo riferisce il
quotidiano britannico Guardian, sottolineando che per la prima volta un giudice
ha emesso una sentenza nella quale viene riconosciuto al paziente un grado
minimale di coscienza, in
opposizione a uno stato vegetativo permanente.
La donna, ora 52enne, che i
familiari hanno voluto fosse identificata solamente con l'iniziale
"M", si ammalò nel 2003 di encefalite virale. La malattia le provocò
gravi e irreparabili danni cerebrali, costringendola da allora ad essere
alimentata artificialmente. La famiglia della donna nel 2007 chiese la
sospensione del trattamento, ritenendo di interpretare la volontà della loro
congiunta, alla quale, dissero, non sarebbe piaciuta una vita "dipendente
dagli altri".
L'avvocato nominato dal tribunale
per rappresentare la donna si è opposto alla sospensione dell'alimentazione
artificiale, sostenendo che le condizioni di "M", al di là
dell'impossibilità ad alimentarsi autonomamente, erano "clinicamente
stabili". Il giudice Baker ha accolto la sua tesi, stabilendo che
l'esistenza di "M" ha sicuramente "aspetti negativi, ma anche
elementi positivi".
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