Quando la scienza diventa un paradosso: uno scimpanzè vale quanto
Shakespeare di Luigi Mascheroni, mercoledì 28 settembre 2011, ilGiornale
Secondo la scienza, un numero
infinito di scimpanzè che prema a caso i tasti di un computer per un tempo
infinito è certo che riuscirà a comporre qualsiasi testo prefissato, persino la
Divina Commedia o l'opera omnia di Shakespeare. Ma è solo un altro paradosso
Secondo la scienza, in nome del
cosiddetto «paradosso della scimmia di Borel», un numero infinito di scimpanzè
che prema a caso i tasti di un computer per un tempo infinito - dove gli
«scimpanzè» che battono sul pc rappresentano un meccanismo per produrre una
sequenza infinita di caratteri casuali - è certo che riuscirà a comporre
qualsiasi testo prefissato. Insomma, se le scimmie possono battere infinite
volte, prima o poi scriveranno anche la Divina Commedia. O l’opera omnia di
Shakespeare. Ma si tratta, appunto, e per fortuna, di un paradosso.
E la letteratura, al contrario
della scienza, grazie a Dio e al concetto di infinito, non si fa coi paradossi.
Motivo per cui, con tutto il comprensibile dispiacere degli animalisti e dei
darwinisti, le scimmie vivono nelle gabbie a spulciarsi e l’uomo in comode case
a leggere sul divano. Una sola coppia di cromosomi in più, fa un’enorme
differenza. Comunque, ieri il sito della Bbc riferiva che il programmatore
americano Jesse Anderson ha messo alla prova la tesi della «scimmia
instancabile» con alcuni milioni di «scimmie virtuali», ovvero dei generatori
di stringhe random di nove caratteri: se queste risultano presenti nelle opere
di Shakespeare vengono conservate, altrimenti sono scartate.
Per facilitare ulteriormente le
cose - cioè barando - le stringhe sono state previste senza spazi né segni di
punteggiatura: in questo modo la prima opera a essere «completata» è stato il
sonetto A lover’s complaint. Tuttavia, come è stato notato, il procedere per
gradi conservando le stringhe «giuste» costituisce una scorciatoia: se si
volesse ottenere un libro tutto di seguito occorrerebbe un tempo molto lungo.
Più dell’età dell’universo. «Vi sarebbero innumerevoli tentativi falliti per un
solo carattere, poi per due caratteri e così via; tutti i libri più corti di
quello in esame poi apparirebbero prima, innumerevoli volte», ha spiegato il
matematico Ian Stewart.
Bisogna poi aggiungere che in un
altro tentativo virtuale di qualche anno fa, alcuni miliardi di anni di
«tempo-scimmia» erano riusciti a produrre solamente parte di un verso
dell’Enrico... Quanto all’unico tentativo di mettere fisicamente un computer in
una gabbia di macachi, si è concluso dopo un mese. Risultato: cinque pagine con
la lettera «S», e una tastiera rotta. Comunque, pur col comprensibile disappunto
di Piergiorgio Odifreddi, l’idea che la scienza possa spiegare, giustificare e
riprodurre in laboratorio ogni cosa, la Vita, Dio e persino la Letteratura, è
oltremodo stucchevole.
La storia della scimmia che
battendo sui tasti prima o poi riesce a scrivere Shakespeare è peggio di quella
che vuole negare Dio sostenendo l’ipotesi che se metto i diversi meccanismi di
un orologio in una cassa e mi metto a scuoterla all’infinito, prima o poi tutti
i pezzi si comporranno in maniera corretta e l’orologio prenderà a funzionare.
La vera domanda a questo punto è: ammesso che ciò sia possibile, chi scuote la
cassa? E poi, alla fine, più che il genio ciò che manca alle scimmie, come del
resto ai matematici, è l’ironia. Principio sul quale si regge buona parte della
Letteratura. Odifreddi, e uno scimpanzè, non avrebbero mai potuto, ad esempio,
commentare la notizia della Bbc con una battuta tipo: «Un esercito di scimmie
virtuali sta scrivendo Shakespeare. C’è qualcosa di McIntosh in Danimarca».
© IL GIORNALE ON LINE S.R.L
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