Onnipotenza di Dio, libertà dell'uomo di Giacomo Samek Lodovici, 27-09-2011,
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Durante l’omelia pronunciata
domenica mattina (durante la messa celebrata a Friburgo, nell’ultimo giorno del
suo viaggio in Germania) Benedetto XVI ha toccato, sia pur brevemente, il
problema terribilmente inquietante del male e del suo rapporto con Dio. Se Dio
c’è, perché esiste il male? Soprattutto, perché esiste la sofferenza
dell’innocente? È una domanda drammatica che da sempre travaglia la coscienza
umana, tanto che il male è la più grande e frequente contestazione
all’esistenza di Dio.
Il Papa non ha toccato in questa
occasione la questione della sofferenza dell’innocente cagionata da malattie, o
da calamità naturali, o dalla morte (non ha cioè toccato la questione dal punto
di vista ontologico, anche perchè il tema richiederebbe lo spazio di una monografia
e non basta certo quello di una omelia; ciò sia detto per Umberto Eco e per
tutti quei critici di Benedetto XVI che giudicano frettolose le sue disamine:
un’omelia o un angelus non sono e non devono essere dei trattati di filosofia).
Piuttosto, il Papa ha accennato
al tema del male morale, cioè alla questione della sofferenza umana causata
dagli uomini. Come ha detto il Papa, «Ci sono teologi che, di fronte a tutte le
cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non può essere onnipotente».
In effetti, molti si sono chiesti: «dov’era Dio ad Auschwitz o negli altri
lager nazisti, o nei gulag comunisti, o nei vari campi di concentramento della
storia?». In effetti, se Dio è onnipotente, perché non impedisce il male
morale, cioè la malvagità degli uomini?
Il Papa ha risposto che
certamente Dio è onnipotente, ma «esercita il suo potere in maniera diversa da
come gli uomini sogliono fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere,
riconoscendo la libertà delle sue creature».
In effetti, Dio non è l’autore
degli atti malvagi umani, però potrebbe evitarli, dunque perché li tollera? La
risposta è piuttosto articolata, perché i motivi sono almeno quattro.
1) Dio tollera gli atti malvagi
perché da essi ricava un bene maggiore o evita un male peggiore (è un discorso
che non possiamo approfondire in questa sede).
2) Se Dio impedisse il male
morale, toglierebbe la sua sorgente che è la libertà. Ora, Dio potrebbe
togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella stupenda prerogativa
che lo innalza al di sopra degli altri esseri, che lo eleva al di sopra
dell’universo.
Come ha scritto Cornelio Fabro,
«la imago Dei è soprattutto la libertà!». Infatti, prima di agire l’uomo
esamina delle alternative tra cui scegliere, delle possibilità, degli esiti
delle sue possibili scelte, e mediante la libertà fa essere ciò che fino al
momento della sua scelta non esiste, ciò che prima era solo una possibilità,
quindi l’esercizio della libertà «si apparenta e si accosta alla creazione», che
fa essere ciò che prima non esiste per nulla. Infatti, qualsiasi evento fisico
«si trova contenuto nelle sue cause (non solo le eclissi, i terremoti, le
sciagure, ma anche il prodursi delle stagioni, il riprodursi degli animali e
tutto il susseguirsi della vita nel mondo)», mentre ciò che scaturisce
dall’azione libera dell’uomo «non è contenuto nella serie o catena delle
cause». L’azione umana non è come il movimento della tessera di un domino, che
è la continuazione e la ritrasmissione alla tessera successiva di un impulso
ricevuto dalla tessera precedente. Lo ha scritto stupendamente Hannah Arendt :
«Agire […] significa prendere un’iniziativa, incominciare» e «perché ci fosse
un inizio fu creato l’uomo [...]. Questo
inizio non è come l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di
qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il
principio del cominciamento entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è
solo un altro modo di dire che il principio della libertà fu creato quando fu
creato l’uomo [...]. Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da
lui ci si può aspettare l’inaspettato».
3) Se l’uomo non potesse compiere
il male, se Dio impedisse la sua malvagità e se quindi l’uomo non fosse libero,
con ciò stesso non potrebbe nemmeno compiere il bene: se io non sono libero non
posso scegliere di odiare, né di assassinare, ma nemmeno di amare, di donarmi,
di sacrificare la mia vita per gli altri, ecc. La malvagità è il volto
tenebroso di quel Giano bifronte che è la libertà: se non ci fosse la malvagità non potrebbe nemmeno esserci il
bene morale.
4) Come spiega Kierkegaard, Dio
si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama,
chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È
incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa
dire quasi come un pretendente [...]: Mi vuoi tu, sì o no?». Proprio per questo
lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare
alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo
costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?». Se
l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che è la totale
comunione d’amore con Dio.
Con stupore e con (giusto)
orgoglio Fabro rileva – con espressioni simili a quella di Bendetto XVI in
Germania – infatti che Dio può annientare l’uomo, ma «non può sostituire il sì
o il no della mia volontà», perché una libertà invasa dall’esterno, «colonizzata»
e coartata, non è (più) libertà.
Per questo motivo, aggiunge il
pensatore friulano, «Dio stesso, all’annunzio fatto a Maria, stava in ascolto»,
e perciò «San Bernardo è impaziente e scrive: “affrettati, su, rispondi presto
Maria!”. Ma Maria attese a rispondere come si doveva: con la libertà che
conviene al bene, per gettarsi [infine] in braccio all’Infinito». E la risposta
libera che Dio attendeva da Maria è analoga (mutatis mutandis) a quella
(poc’anzi menzionata) che Dio, come un innamorato, attende da ogni uomo.
Così, dice Fabro, «se c’è una
cosa [...] che alle volte dà i brividi e la suprema gioia di essere uomini,
questa è la libertà». La grandezza della volontà-libertà è tale che Fabro
afferma: «dopo l’Assoluto non c’è niente di più grande al mondo» della libertà
e «la storia [del mondo] ha quindi senso [...] in funzione della libertà».
Ha senso in funzione della scelta
di cor-rispondere o rifiutare la proposta d’amore di Dio, riguardo alla quale
lasciamo di nuovo parlare Kierkegaard: «Si vive una volta sola. [...] E mentre
tu vivi questa sola volta e la durata di questa vita si accorcia ad ogni minuto
che passa, sta il Dio dell’Amore nei cieli, pieno d’amore, anche verso te. Sì,
verso di te, Egli vorrebbe che tu volessi ciò ch’Egli vuol volere con te per
l’eternità [...]. Il Dio dell’amore non vuole costringerti. Come potrebbe
l’amore pensare di costringere ad amare?».
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