Il filosofo Benedetto Ippolito e l’inconsistenza della morale laica, 29
settembre, 2011, http://www.uccronline.it
Sottolineiamo un commento molto
interessante di Benedetto Ippolito, ricercatore universitario presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi “Roma Tre”, professore
incaricato e responsabile del settore scientifico disciplinare di Storia della
Filosofia Medievale e membro di Ruolo del Dipartimento e del Collegio Didattico
di Filosofia, sull’ormai celebre discorso di Benedetto XVI al Bundestag, il Parlamento
federale tedesco, nell’ambito del suo recente viaggio in Germania.
Nel cuore dell’Europa, ha detto
il filosofo, «il Papa ha voluto sollecitare la coscienza tedesca sulle radici
giuridiche dell’Occidente, che sono state assicurate stabilmente nel tempo
dall’incontro felice tra la religione cristiana, la filosofica greca e la
giurisprudenza romana». Il Papa ha osservato come «la visione positivista –
cioè puramente formale – del mondo sia una parte grandiosa della conoscenza
umana, alla quale non dobbiamo rinunciare. Ma essa non è una lettura che
corrisponda e sia sufficiente per essere uomini in tutta l’ampiezza». L’unico
modo per poter essere tali, è avere consapevolezza che «l’uomo non crea se
stesso», perché la sua «natura personale non è esaurita dalla libertà».
Ippolito rileva l’apertura di un confronto esplicito con il padre del pensiero
giuridico tedesco, Hans Kelsen, ricordando come questi, dopo aver cercato
invano di costruire un sistema esclusivamente basato sulla legge scritta, sia
dovuto incorrere alla fine in insormontabili e sfibranti contraddizioni a causa
della rinuncia totale alla sola idea risolutiva che dà fondamento logico al
diritto, ossia il riferimento trascendente a Dio.
Il filosofo non usa mezzi
termini: «Come sanno i teologi, infatti, l’unico pilastro con cui è possibile
salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura
circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di
concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi
esistenti». E ancora: «La responsabilità dell’uomo davanti a Dio genera,
infatti, una base sicura alla politica e al diritto, che accosta pienamente la
democrazia delle istituzioni ad alcuni valori universali insindacabili, cioè
indipendenti dal dispotismo del potere».
Il grande “papa” laico, Norberto
Bobbio, lo aveva capito sapeva perfettamente quando diceva: «La morale
razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in raltà è
irragionevole». Perfino Hans Küng, molto amato dall’area laicista per essere il
più famoso teologo dissidente, lo riconosce: «L’umano è salvaguardato solo se
viene fondato sul divino. Solo l’Assoluto può vincolare in maniera assoluta».
L’irrazionalità della “morale senza Dio” è ben spiegata da Vittorio Messori:
«la cosiddetta “morale razionale” non ha nulla di ragionevole. Non è (e non
sarà mai) in grado di rispondere in modo logico alla semplice domanda di buon
senso: “perché, messo alla scelta, dovrei fare il bene piuttosto che il male,
anche quando dallo scegliere il bene non me ne viene alcun vantaggio ma, anzi,
ne ricavo uno svantaggio?”» (V. Messori e M. Brambilla, “Qualche ragione per
credere”, Edizioni Ares 2008, pag. 68)
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