lunedì 26 settembre 2011


Il futuro dell'uomo non sta nell'eco-scienza di Fabio Spina, 24-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Una volta era tutto semplice: la civiltà e la cultura erano nella città, la civitas; al di là delle mura, nella foresta, regnava la barbarie e le popolazioni selvagge, la dura legge della natura. Nel tempo continuò l’aumento della popolazione nelle città ed in esse continuò a voler vivere l’elite culturale, economica e politica, ma con il trascorrere degli anni e l’aumentare del benessere la prospettiva iniziò a cambiare: per molti filosofi, scrittori e gli stessi cittadini, la città divenne il posto degli intrighi, dell’inquinamento e dell’immoralità mentre si diffuse il mito del “buon selvaggio”. La contrapposizione tra “natura” e cultura cambiò i pesi dei due “attori”.
 
A tal proposito Jean-Jacques Rousseau (1727-1778) nel 1762, nel libro “Emilio o dell’educazione”, scrisse: “Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera nelle mani dell’uomo. Egli sforza i terreni a nutrire i prodotti propri d’un altro, un albero a portare i frutti d’un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come ha fatto la natura, neppure l’uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero da giardino”.

Una delle caratteristiche del “buon selvaggio” era il saper vivere in armonia con la natura adeguandosi ai suoi ritmi e le sue produzioni.

Se Rosseau osservava quanto sopra quasi tre secoli fa, non può sorprendere quando il famoso sociologo Zygmunt Bauman lancia l'ennesimo allarme ecologico dalla prima pagina del quotidiano “La Repubblica”,  il 17 settembre 2011, scrivendo un articolo dal titolo “Il progresso è finito, al futuro serve l’eco-scienza”.

Nell’articolo è possibile leggere: ”Più o meno una dozzina di anni fa due chimici di spicco dell´atmosfera, Paul Crutzen e Eugene Stoermer, si sono resi conto che l´epoca geologica nella quale si presumeva che vivessimo, quella nota con il nome di "Olocene", era in ogni caso passata e che siamo entrati viceversa in un´epoca diversa della storia, nella quale le condizioni planetarie sono plasmate dalle attività di origine culturale della specie umana più che da qualsiasi forza naturale.[…] Negli ultimi due secoli gli uomini hanno "sciolto" e rilasciato nell´atmosfera un volume di carbon fossile che la Natura aveva impiegato centinaia di milioni di anni per legare e ammassare). Crutzen e Stoermer hanno suggerito che questa nuova epoca meriti il nome di «Antropocene», ossia «la recente epoca dell´uomo»”.

Da questa nuova era nasce la domanda fino a che punto deve spingersi il dominio della “cultura” sulla “natura”: “La loro linea di separazione veniva considerata eminentemente flessibile e soggetta a spostarsi” ma “siamo ormai giunti pericolosamente vicini alla linea d´arrivo dei progressi sostenibili e plausibili”. “La presunta serie infinita di battaglie vinte contro la resistenza della Natura ci ha portati davanti alla prospettiva (alcuni dicono: l´imminenza) di perdere la guerra. Anzi forse, intossicati per aver vinto questa lunga striscia di battaglie, abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno, che in questo caso significa che la sconfitta definitiva è ormai divenuta una conclusione inevitabile e irrevocabile”.

La definizione “Antropocene” potrebbe sembrare meno originale ricordando, ad esempio, che già dal 1992, anno del Summit della Terra, si parla della nuova era dell’Ecozoico nelle integrazioni di Leonardo Boff  (1938- ), ex frate francescano ed ex presbitero, teologo e filosofo brasiliano, alla sua “Teologia della Liberazione” (in passato condannata dal Vaticano) utilizzando i temi dell’ecologia e sostenibilità, in quanto Boff ritiene che formiamo insieme alla “Terra viva” la grande comunità cosmica e vitale; secondo tale visione siamo l'espressione cosciente del processo cosmico che necessità di una nuova cosmologia.

Ma ciò che Zygmunt Barman si dimentica di scrivere, mentre lo stesso Paul J. Crutzen ne fa cenno nel suo testo “Benvenuti nell’Antropocene!”, è che già nel 1873 il famoso sacerdote geologo Antonio Stoppani (Lecco 1824 – Milano 1891), parlò di un’’era Antropozoica” e definì l’uomo “una forza tellurica”. Nell’articolo intitolato “L’uomo ed il suo impero sulla terra”, Stoppani aveva definito il genere umano “ladrone del mondo”, facendo trasparire la preoccupazione per il quesito: ”Che sarà quando tutta l’Europa sia lavorata come l’Inghilterra, e tutto il mondo come l’Europa?”. Tuttavia egli aveva finito per ribadire come la Terra fosse destinata al progresso, all’uomo ed al suo sviluppo: ”Monti disboscati; piagge nude imboschite; deserti mutati in prati; le squallide ericaie in campi biondeggianti di messi; i nudi colli in vigneti e giardini […]. Giorno verrà che la terra non sarà che un suggello della potenza dell’uomo, e l’uomo un suggello della potenza di Dio”.

Eppure quelli erano anni in cui la “teoria dell’effetto serra”, quella che prevede un riscaldamento globale a causa dell’incremento della concentrazione di anidride carbonica e preoccupa Zygmunt Barman, doveva ancora essere sviluppata da Svante August Arrhenius (Vik 1859 – Stoccolma 1927) nell’ambito della spiegazione delle ere glaciali; ciò avverrà “solo” nel 1896. “Finalmente nell’era antropozoica, ecco l’uomo, che viene a raccogliere ciò che non ha seminato, e si trova ricco ad un tratto di una immensa eredità, accumulata per tanti secoli, con tanto lavoro di animali e d’elementi. […] Così sorsero quinci, coi calcari paleozoici e triassici, le cattedrali d’Italia; quindi coi nummuliti, le piramidi d’Egitto. A gara l’arte e l’industria fanno a chi più spende del gratuito acquisto.” (tratto  dalla sesta conferenza riportata nella pubblicazione “Della purezza del mare e dell’atmosfera” del 1873). 

La differenza tra “Antropocene” e “Antropozoico” può apparire sottile, invece è sostanziale: in uno si è portati a domandarsi dove va posizionata la linea che divide l’uomo dalla natura, nell’altro tra la creatura ed il suo Creatore. In uno senza dirlo esplicitamente Dio sparisce e la Natura, sempre più spesso, prende implicitamente il suo posto, nell’altro l’ambiente ha senso solo se visto come casa dell’Uomo. In uno la natura è al sicuro solo quando “scompare” l’uomo, nell’altro caso il pianeta senza uomo è meno ricco, solo l’uomo integra la Creazione con il suo ingegno “dando vita” a prodotti “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” (Gesù sceglie sulla tavola per l’Eucarestia il pane ed il vino, non ad esempio l’acqua ed un frutto).

Lo scopo della creatura uomo è umanizzare il pianeta, questo deve guidare ogni sua attività: il pianeta migliora quando diviene più umano. Per questo l’uomo ha il dovere di preoccuparsi delle piante e degli animali (non sono loro ad avere diritti). La natura senza il lavoro responsabile dell’uomo degrada: un bosco abbandonato si ammala prima e s’incendia con maggiore facilità, il vigneto abbandonato non produce, sull’orto non lavorato prende il sopravvento l’erbaccia, i canali di scolo non puliti con il tempo creano la palude e la malaria, etc.

 “Oggi assistiamo non di rado al dispiegamento di opposte posizioni esasperate: da una parte, in nome della esauribilità e della insufficienza delle risorse ambientali, si chiede la repressione della natalità, specialmente nel confronti del popoli poveri e in via di sviluppo. Dall’altra, in nome di una concezione ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica ha l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato. Si viene cosi ad eliminare la superiore responsabilitá dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della dignità dl tutti gli esseri viventi. Ma l’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio della responsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di solidarietà. Occorre una solidarietà aperta e comprensiva verso tutti gli uomini e tutti i popoli, una solidarietà fondata sul rispetto della vita e sulla promozione di risorse sufficienti per i più poveri e per le generazioni future. L’umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno. Tutto ciò ha bisogno di saldi punti di riferimento e di ispirazione: la coscienza chiara della creazione come opera della sapienza provvida di Dio, e la coscienza della dignità e responsabilità dell’uomo nel disegno creazionale.”
(Giovanni Paolo II, discorso ai partecipanti al Convegno “Salute e Ambiente”, marzo 1997).

Il futuro non è nell’eco-scienza come riporta il titolo dell’articolo de “La Repubblica”, che significa casa-scienza. “Non esistono scienze applicate ma solo applicazioni della scienza” affermava Pasteur. La scienza è un metodo di conoscenza, non è lei da sola a determinare il futuro dell’uomo ma eventualmente i valori che guidano il suo uso: con la stessa “scienza delle costruzioni” si può costruire una casa per poveri, un magazzino per viveri, una base missilistica e la “torre di babele” per mettersi al posto di Dio.

La crisi ambientale, come quella economica attuale, colpisce l’immaginazione e la sensibilità delle persone ma sono solo gli effetti visibili di una crisi morale/etica invisibile ma reale. Tali crisi avvengono quando utilissimi strumenti come l’economia, la finanza, i soldi, il potere, non sono più mezzi per migliorare/umanizzare il mondo ma la loro accumulazione diviene il  fine ultimo delle attività umane. I mercanti invece di essere scacciati dal Tempio riescono a far divenire lo stesso mercato un tempio. Gradualmente e senza accorgersene  gran parte delle persone si preoccupano solo del “come” e non del “perché”, nell’azienda si da valore al “know how” e si dimentica il “know why”, nella scuola non serve più insegnare a pensare ma è auspicato un finalizzato addestramento.

Il tutto va avanti nell’illusione che per “migliorare” il sistema sia sufficiente affinare progressivamente solo le tecniche del “come”, finché ad un certo momento l’intera struttura entra in crisi definitiva e l’unico modo per uscirne è convincersi che non basta più agire sugli strumenti ma occorre decidere un nuovo sistema di valori. In altre parole la crisi può essere un segno dei tempi.


Sul piano ambientale in molti casi la “green economy” non è stato altro che un modo far andare avanti il sistema vendendo sul mercato “nuovi” prodotti e dando modo alla finanza di poter speculare in borsa su una “innovativa” merce di scambio che sono i “carbon credit”; troppo spesso purtroppo tutto era, ed è, solo un modo “come” far girare più soldi. In altri casi la risposta alla crisi è stata più radicale con l’affascinante proposta di un nuovo sistema di valori “ecologici” che fa riferimento alla natura “vista” quasi come una nuova divinità pagana disturbata dalla presenza umana.


La proposta cristiana per affrontare la crisi ambientale è resa visibile nel mese di settembre, ormai da anni, dedicato alle iniziative sviluppate in occasione della “Giornata per la Salvaguardia del Creato”. In tale occasione sarebbe opportuno ricordare che l’Uomo non è il problema del pianeta ma la più preziosa ed inesauribile risorsa. Risorsa che è in grado con le proprie e non limitate capacità intellettive, di cambiare gli scenari futuri passando dal consumo all’uso delle risorse naturali, riducendo lo spreco ed aumentando l’efficienza dei processi tramite le nuove tecnologie, modificando in modo avveduto e razionalmente i nostri comportamenti individuali e sociali. Il proporre la “giusta misura” nel “coltivare e custodire il Creato”, che prenda sempre l’uomo in se stesso come valore di riferimento, è quanto in ogni epoca il Cristianesimo propone con una lettura del mondo alla luce della rivelazione, lettura che porta con se un messaggio sempre nuovo di speranza e salvezza per l’Uomo, per gli ultimi del mondo ed anche per il nostro pianeta. Una visione sicuramente non dominante, ma di ciò i cristiani non si devono preoccupare più del dovuto perché sono da sempre destinati ad essere minoranza che non deve sparire nell’omologazione, fermento, seme destinato a morire per dar nuova vita.

In questo modo sarà più difficile illudersi che il futuro sia l’eco-scienza come cerca di  persuadere il titolo su “La Repubblica”. Occorre invece seguire con fede e speranza il motto del viaggio in Germania di Papa Benedetto XVI: “Dove c'è Dio, là c'è futuro". Infatti, “priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore – quando il volto di Dio non splenderà più sopra la Terra. Dove c’è Dio, là c’è futuro”.

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