Malati terminali: sì alle cure palliative, no all'accanimento, 29/9/2011,
http://www.lastampa.it
Caro Direttore, davvero non
capisco quei medici che su «Lancet Oncology» hanno proposto di non
somministrare farmaci (inutili e soprattutto costosi) ai malati terminali.
Davvero i malati terminali vengono «curati» con farmaci costosi? Non sono
invece soltanto «accompagnati verso la morte» con l’unico intento da parte dei
medici di rendere meno dirompenti, in termini di dolore fisico e psichico, sia
i sintomi sia gli effetti dovuti al sopravvento della malattia e dunque senza
fare ricorso a cure terapeutiche specifiche per il cancro?
È logico credere che una volta
che un malato entra in una fase terminale cessa il percorso terapeutico (quello
propriamente più costoso) e ha inizio quello palliativo. Chi è quel medico che
intraprenderebbe una costosa chemioterapia o una radioterapia a un malato
terminale «destinato a morire nel giro di pochi mesi», a meno di non voler
usare quel malato come «cavia inconsapevole» per provare nuovi farmaci?
Se invece, più in generale, quei
medici hanno voluto sollevare il problema dei «costi economici delle malattie»,
sono d’accordo che bisogna combattere gli sprechi ma soprattutto è necessario
impegnarsi affinché le persone si ammalino di meno. La strada da seguire è
dunque quella di una ricerca capace sia di prevenire le malattie sia di curarle
con esiti migliori di quanto già oggi non si riesca a fare.
LORIS N.
La sintesi secondo cui un gruppo
di medici e ricercatori di tutto il mondo avrebbe proposto di non somministrare
farmaci ai malati terminali di cancro non è corretta e appare forzata. Nessun
medico degno di questo nome si permetterebbe di suggerire una cosa del genere e
nessuno mette in discussione l’uso di cure palliative. Si tratta invece - come
ha spiegato correttamente sulla «Stampa» di ieri Umberto Veronesi - di frenare
il ricorso a nuovi cicli di cure specifiche e molto costose quando è chiaro che
queste non saranno risolutive o determinanti. Veronesi critica la cultura
dell’eccesso e il suo discorso è la riproposizione del vecchio discorso
sull’accanimento terapeutico, in cui entrano in gioco anche le valutazioni sulla
reale necessità di operazioni spettacolari o particolarmente invasive su
pazienti già terminali.
Non sono un medico, capisco che
questi dibattiti riemergono proprio nel momento in cui siamo in mezzo a una
crisi economica e le sanità di tutto il mondo faticano a quadrare i bilanci, ma
mi sembra che al centro vada rimesso il paziente, come persona umana, che ha
diritto ad essere rispettato fino al suo ultimo istante. Evitargli inutili
sofferenze, inutili interventi, ma anche inutili speranze è un modo di rispettarlo.
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