Avvenire.it, 28 settembre 2011, Benedetto XVI al Bundestag: oltre il
positivismo – Senza riferimento a Dio il diritto rimane privo di fondamento
Non è stato necessario attendere
neanche un giorno per rilevare l’importanza del discorso tenuto da Benedetto
XVI giovedì scorso al Bundestag, nell’ambito di un viaggio in Germania denso di
appuntamenti e di confronti. D’altra parte, la Camera Alta era il luogo
perfetto per proporre una riflessione profonda sul senso della politica e
collocare nella giusta prospettiva l’attività primaria dello Stato, quella di
fare le leggi. Nel cuore dell’Europa il Papa ha voluto sollecitare la coscienza
tedesca sulle radici giuridiche dell’Occidente, che sono state assicurate
stabilmente nel tempo dall’incontro felice tra la religione cristiana, la
filosofica greca e la giurisprudenza romana.
Di là del ragionamento stretto
sui fondamenti validi del diritto naturale, per altro già affrontato nelle
prime tre Encicliche del suo intenso pontificato, a Berlino Benedetto XVI si è
soffermato prevalentemente sull’enorme problema del significato delle leggi, la
cui forza e influenza è riscontrabile nelle moltissime applicazioni concrete
della vita di tutti i giorni. Più nello specifico, Ratzinger ha osservato come
«la visione positivista – cioè puramente formale – del mondo sia una parte
grandiosa della conoscenza umana, alla quale non dobbiamo rinunciare.
Ma essa non è una lettura che
corrisponda e sia sufficiente per essere uomini in tutta l’ampiezza». Ciò
emerge lampante nelle decisioni sbagliate che orientano le opzioni di chi
governa davanti a questioni morali difficilissime. L’esempio più immediato è lo
scarso rispetto ecologico del creato, con l’inadeguato e irresponsabile uso
spregiudicato e iniquo delle risorse presenti. Un’attenta considerazione
ambientale può nascere, in realtà, solo dalla consapevolezza essenziale che
«l’uomo non crea se stesso», perché la sua «natura personale non è esaurita
dalla libertà». Tale è, in effetti, il confine preciso che distingue una
comprensione etica del mondo da un uso strumentale e spregiudicato del
territorio.
In tal senso Benedetto XVI ha
aperto un confronto esplicito con il padre del pensiero giuridico tedesco, Hans
Kelsen, ricordando come questi, dopo aver cercato invano di costruire un
sistema esclusivamente basato sulla legge scritta, sia dovuto incorrere alla
fine in insormontabili e sfibranti contraddizioni.
Il pensiero di Kelsen si è
arenato per la rinuncia totale alla sola idea risolutiva che dà fondamento
logico al diritto, ossia il riferimento trascendente a Dio. Come sanno i
teologi, infatti, l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza,
la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio
creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore
supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti.
La responsabilità dell’uomo
davanti a Dio genera, infatti, una base sicura alla politica e al diritto, che
accosta pienamente la democrazia delle istituzioni ad alcuni valori universali
insindacabili, cioè indipendenti dal dispotismo del potere.
Una grande e imperiosa lezione
morale, quella del Papa, che esorta i parlamentari ad approfondire e accrescere
la tecnica giuridica, favorendo appunto il buon diritto, arginando e risolvendo
i limiti di un legalismo privo della razionalità sufficiente a garantire
istituzioni giuste e valide per tutti. In tal modo, non soltanto lo scontro tra
libertà e legalità diviene compatibile con una ragionevole ed equilibrata
convivenza democratica, ma i presupposti del potere giudiziario e legislativo
riescono a concorrere armonicamente nel produrre un sistema giusto, che sappia
riconoscere costantemente il valore integrale della persona umana, fine
superiore rispetto alla codificazione astratta della legge positiva. In
definitiva, secondo Benedetto XVI la giusta legalità è salva solo quando esiste
una base di verità che guidi con intelligenza le libertà individuali.
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