PAPA/ Lobkowicz: la grande alternativa di Benedetto tra Mistero e
non-senso - INT. Nikolaus Lobkowicz, il sussidiario.net, mercoledì 28 settembre
2011
«Come si riconosce ciò che è
giusto?». È questa la domanda fondamentale che sta al centro della
straordinaria riflessione sui fondamenti del diritto che Benedetto XVI ha
sviluppato nel suo discorso al Bundestag, durante l’ultimo viaggio apostolico
in Germania. Ilsussidiario.net ne ha parlato in esclusiva con il filosofo Nikolaus
Lobkowicz, già rettore dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco e presidente
dell’Università Cattolica di Eichstätt, attualmente direttore di Zimos, Zentral
Institut für Mittel- und Osteuropastudien, centro di studi dedicato all’Europa
centrorientale.
Professor Lobkowicz, il discorso
che papa Benedetto XVI ha rivolto al Parlamento federale tedesco è davvero così
importante?
Certo, non era la prima volta che
un Papa parlava di fronte a un Parlamento: pensate ai discorsi di Paolo VI e di
Giovanni Paolo II davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma è la
prima volta che un Papa, su invito del presidente del Parlamento tedesco,
teneva un discorso di fronte ad esso. La Germania è il paese d’origine di
Martin Lutero, dell’uomo cui risale la prima grande divisione della cristianità
nell’epoca moderna. La maggior parte delle divisioni ulteriori è stata una
conseguenza diretta o indiretta di questo avvenimento. Certamente Benedetto XVI
in primo luogo ha accettato l’invito del Parlamento della sua Patria, ma
secondo me il significato vero del suo discorso davanti al Parlamento federale
è che si inserisce negli sforzi del Pontefice per promuovere la
“riunificazione” dei cristiani.
Una riunificazione? Ma è una
proposta realistica?
Questa riunificazione è per un
cattolico immancabilmente una “riconduzione”, non per forza alla Chiesa romana
cattolica così come appare oggi, bensì alla comunità dei cristiani come la
voleva il Signore e della quale la Chiesa cattolica si è sempre concepita e
tuttora si concepisce come la rappresentante. Certo che Benedetto XVI è stato
invitato come capo di uno Stato, la Città del Vaticano. Tuttavia, ognuno ha
colto questo invito non come un invito di uno Stato ad un altro Stato, bensì
come l’invito a colui che è il capo della comunità cristiana di gran lunga più
numerosa, una comunità che si considera come la comunità dei cristiani dalla
quale si sono divise tutte le altre. Naturalmente, oggi la Germania non è solo
un paese di cattolici e protestanti. Molti membri del Parlamento tedesco sono
più o meno esplicitamente atei. Per questo Benedetto XVI tra le possibili
numerose varianti per la sua allocuzione ha scelto un discorso che non
sottolineasse ciò che è specificamente cattolico e neanche ciò che è cristiano,
bensì per così dire ciò che è diritto naturale. Quel che la Chiesa chiama
“diritto naturale” è si probabilmente comprensibile in modo particolare da un
punto di vista cattolico, ma è ultimamente accessibile a chiunque, che sia
cristiano oppure no. La dottrina del diritto naturale si base sull’ordine della
creazione e non specificamente sull’opera di Redenzione di Gesù Cristo.
Secondo il Papa non possiamo
scoprire e spiegare ciò che è “giusto” senza ritornare al concetto di “natura”.
Perché?
Perché per scoprire cos’è giusto
bisogna approfondire la domanda che riguarda cosa (o chi) è l’uomo. “Natura” in
questo contesto viene intesa non, o solo incidentalmente, come la realtà fuori
dall’uomo, bensì come l’essenza dell’uomo, così come Dio lo ha creato e voluto.
Quest’uomo è danneggiato dal peccato, dal “peccato originale”. Ma la sua
essenza non è distrutta da esso – come asseriscono invece i protestanti. Una
delle differenze più importanti tra la comprensione dell’uomo cattolica e
quella protestante consiste nel fatto che per Lutero nulla di ciò che l’uomo
compie senza la grazia di Dio può essere ordinato e buono, mentre la Chiesa
cattolica ha sempre sostenuto che la grazia compie la natura, perciò la
presuppone e costruisce su di essa. Paradossalmente la comprensione protestante
dell’uomo ha fatto sì che non si potesse quasi più parlare di ciò che è l’uomo
secondo la sua essenza.
Si spieghi, professore.
Siccome tutto è distrutto
attraverso il peccato fino alle sue ultime radici, alla fine l’uomo può fare
tutto ciò che gli viene in mente. Anche la più grande perversione è ultimamente
legittima o per lo meno comprensibile, perché Dio, se questi si pente di ciò
che ha commesso, in quanto Dio misericordioso lo perdona. Per così dire, deve
perdonare: dove nulla di umano è legittimo per se stesso, tutto ciò che l’uomo
è e fa deve essere perdonato. Invece la Chiesa cattolica ha sempre sostenuto
che l’uomo, nonostante il danno causato dal peccato originale, è buono secondo
la sua essenza. Deve semplicemente agire e vivere conformemente alla sua
essenza, e non contro di essa. La grazia costruisce basandosi su questa essenza
e la compie. Certo che manca qualcosa se non c’è la grazia, ad esempio se un
uomo non ha incontrato Cristo e non è stato battezzato. Ma questo non significa
che qualcosa o qualcuno cui manca qualcosa è inevitabilmente cattivo o persino
malvagio.
Lo confermano i pagani, come
diceva san Paolo?
Sì. Al pagano, anche a quello del
mondo moderno, manca qualcosa, ma per questo non è ancora automaticamente uno
scellerato che è alla fine da condannare ed è dannato. In questo senso la
dottrina cattolica è un invito a conoscere Dio e ad avvicinarsi a lui, mentre
quella protestante è ultimamente sempre il tentativo di una salvezza dalla
dannazione. Talvolta la radicalità quasi assurda di questa concezione, la
concezione protestante, ha condotto a pensare che in fondo tutto ciò che l’uomo
fa a sé e agli altri sia comprensibile e perciò anche perdonabile. Naturalmente
si deve considerare che quasi dall’inizio non è esistita la dottrina
protestante: fin dall’origine si è scomposta in un numero di varianti
costantemente in crescita. Alcune di esse si sono persino avvicinate di nuovo
alla prospettiva cattolica.
Qual è secondo lei la chiave di
volta di tutto il discorso e perché?
Siccome il Papa ha parlato a
persone di convinzioni molto diverse, ha parlato quasi come un filosofo,
naturalmente un filosofo cristiano, e non in primo luogo come teologo. Questo
gli è stato semplice: infatti Ratzinger, come Hans Urs von Balthasar o Henri de
Lubac mezzo secolo fa, è uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche
uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma. Io considererei come
pensiero centrale del suo discorso l’intuizione secondo la quale fino a un
certo punto non è necessario essere un cristiano credente per riconoscere cosa
è corretto e giusto, cosa spetta all’uomo e cosa no. Proprio per questo il suo
discorso ha colpito anche deputati che non volevano sapere nulla della fede
cristiana. Avrebbe colpito anche coloro che non volevano ascoltare il suo
discorso e che perciò se ne sono tenuti alla larga. Le maggioranze non possono
decidere cosa è vero o falso, rgiusto o ingiusto, cosa fa bene all’uomo o cosa
reca danno. Per questo è necessario la giusta comprensione dell’essenza della
realtà e soprattutto dell’uomo, una comprensione che la Chiesa cattolica ha
sempre affermato come possibile ed urgente. La fede cristiana non nega questa
comprensione, la compie.
Il Papa ha citato più volte il
“cuore docile” (letteralmente il “cuore che ascolta”, ndt) di Salomone. Questo
cuore è ragione, ma è anche definito come coscienza. Non c’è un po’ di...
confusione? Perché?
Ci sono due modi di descrivere
ciò che in tedesco si chiama “coscienza”. Da una parte la coscienza viene
descritta come una voce in fondo alla nostra autocoscienza che ammonisce e in
caso condanna; d’altra parte con questo concetto si intende una deduzione
grazie alla quale possiamo sapere quale delle nostre azioni sarebbe o era
morale o immorale, sbagliata o giusta. In quest’ultima descrizione la ragione
gioca un ruolo decisivo. Se si riflette su cosa è o sarebbe ragionevole, si
cerca il modo di agire giusto. Si deve soltanto fare attenzione che
“ragionevole” e “giusto” significano in questo caso qualcosa di totalmente
diverso da “furbo”, “ che promette successo” o cose simili. Ragionevoli in
questo senso sono tutte quelle decisioni e azioni che davvero considerano tutto
ciò di cui deve essere tenuto conto, per esempio che Dio ci ha donato insieme
alla nostra essenza anche un ordine morale, che noi dovremmo rispettare
quest’ordine e che ne dovremmo tenere conto in tutte le nostre decisioni.
È questo il “cuore che ascolta”?
Ciò a cui il Papa allude con il
riferimento al “cuore che ascolta” è proprio questo: se noi ascoltiamo la
nostra coscienza, ascoltiamo la ragione in questo senso. Questo presuppone
naturalmente che noi non prestiamo ascolto alle premesse di un’ideologia che
falsifica la realtà. In fondo ognuno di noi conosce questa situazione: sappiamo
cosa sarebbe “la cosa giusta”, però ci persuadiamo continuamente che sarebbe
giusto qualche cosa d’altro, a volte così a lungo che la nostra coscienza
“ammutolisce” e non si può più sentire la sua voce ammonitrice. Se io torturo o
uccido qualcuno, tradisco mia moglie o rubo qualcosa, in fondo so sempre,
indipendentemente dalla mia visione del mondo, che questo “non è giusto”; solo
che mi convinco che tenendo conto delle mie circostanze questo sia giusto o
persino doveroso. In quel momento so perfettamente che mi sto illudendo, ma
cerco di distrarmi, mi convinco, mento a me stesso.
Nella prima parte, il Papa dice
che “ciò che è giusto” non è più evidente. Da dove passa il cammino (o il
metodo) per ritrovare quest’evidenza? Come possiamo trovarlo, noi uomini
postmoderni?
Ciò che ho appena descritto è
diventato sempre meno chiaramente riconoscibile nella nostra cultura a causa
della scomparsa delle tradizioni cristiane. Dal Medioevo (Ratzinger ha scritto
la sua tesi di abilitazione all’Università di Monaco su Bonaventura) sono nate
sempre più spesso filosofie o modi di pensare comuni che hanno obliterato e per
così dire rinnegato le tradizioni cristiane e in questo modo anche quelle parti
del pensiero dell’antichità precristiana riprese dal cristianesimo. Ciò ha
causato una atrofia o persino un annacquamento delle convinzioni tradizionali
su cosa è “giusto”. Io in fondo ritengo una sciocchezza questa frase fatta sui
“postmoderni”. Infatti la rottura è molto più antica, soprattutto nella cultura
tedesca. Pensatori come Kant, Hegel o Nietzsche, che avevano molto di giusto da
dire ma hanno oscurato la verità su questioni essenziali, hanno segnato la
cultura tedesca in modo determinante. Anche se Hegel per esempio sarebbe
inorridito se avesse conosciuto l’ideologia dei nazionalsocialisti o dei
comunisti, eppure alcune convinzioni attuali in particolare nei paesi di lingua
tedesca si riconducono a lui e ai suoi eredi. Così la Chiesa cattolica da molti
punti di vista è diventata quasi l’unica istituzione a tenere desto ciò che di
grande ha compreso la cultura occidentale. Io ritengo perciò che sia possibile
riguadagnare le giuste convinzioni su ciò che è vero, significativo, corretto e
giusto solo se il mondo e soprattutto se i paesi di lingua tedesca ridiventano
“più cattolici”.
Cosa intende dire?
Con questo non intendo
necessariamente che tutti debbano diventare cattolici. Ma si tratta di un modo
di pensare che portano avanti solo i cattolici, e per una parte essenziale
anche i credenti ortodossi e anglicani. In effetti non vorrei escludere che ci
avviciniamo ad un tempo che nella tradizione cristiana viene descritto come
quello dell’anticristo. Proprio negli ultimi decenni per esempio è diventata di
particolare attualità la visione dell’anticristo rappresentata da Vladimir
Solov’ëv attorno al 1900. Forse la fine della storia dell’umanità, la “fine del
mondo”, è più vicina di quello che generalmente pensiamo...
È necessario chiamare in causa la
ragione creativa di Dio per riunire ragione e natura?
Sì, perché ultimamente solo
l’idea che Dio è il creatore da una parte di tutta la realtà e d’altra parte
anche della nostra ragione permette di vedere entrambe come ordinate l’una
all’altra. Se noi non siamo nient’altro che scimmie per caso altamente sviluppate,
viviamo in un mondo nel quale può essere questione solo di sopravvivenza; ma
l’uomo non sopravvivrà sempre. Solo se si ammette che Dio ha creato il mondo
per amore dell’uomo, la nostra esistenza ha un senso in questo mondo. Per
coloro che vedono in noi solo una scimmia che per caso è più altamente
sviluppata, per cui tutto è dovuto al caso di una cieca evoluzione che avrebbe
potuto finire in tutt’altro modo, non può esistere nessun senso “oggettivo”
dell’esistenza dell’uomo. Allora non siamo niente di più che un prodotto del
caso, che un giorno si spegnerà nuovamente e scomparirà. Allora nulla ha senso;
e l’uomo non è nient’altro che un Prometeo che un giorno scomparirà di nuovo. A
volte mi stupisco di come gli uomini possano anche solo sopportare una tale
idea; probabilmente possono sopportarla solo perché non l’hanno mai portata
fino alle sue estreme conclusioni. Ci sono stati uomini, proprio nel secolo
scorso, che si sono suicidati a causa di questa visione, con l’idea per così
dire che l’unica cosa nella quale possiamo ancora dare prova di noi e che ci
dimostra la nostra unicità consista nel fatto che noi siamo l’unico essere
vivente sulla terra che si può “eliminare” da sé intenzionalmente e
consapevolmente. Dostoevskij ha descritto persuasivamente questa visione delle
cose nel suo romanzo I Demoni…
Perché il Papa ha parlato del
“movimento ecologico nella politica tedesca a partire dagli anni Settanta”?
Qual è il senso di questo riferimento specifico?
Già Giovanni Paolo II aveva
parlato di un dovere del cristiano di preservare l’ambiente dalla distruzione,
invece semplicemente di sfruttarlo fino a che non rimanga più nulla. Non si
deve dimenticare che il movimento e il partito dei “verdi” in Germania prende
sì origine in parte dai marxisti, ma ha attirato anche molti cristiani che
erano preoccupati per la distruzione dell’ambiente. Conosco personalmente
alcuni “verdi” che sono cristiani convinti. Il desiderio di proteggere la
creazione è più che un mero sentimentalismo; in fondo vogliamo tutti vivere in
un mondo che non ha perso completamente la sua natura originale. Dietro a
questo c’è anche la preoccupazione per il sostentamento dell’umanità che
continua a crescere...
Perché la dottrina del diritto
naturale non è più popolare nel pensiero cattolico?
Questo è effettivamente un
problema: io lo descriverei come una preoccupante “protestantizzazione” di una
parte dei teologi cattolici e della teologia da loro insegnata. Vedere il
giusnaturalismo come una premessa importante e come un’implicazione dell’interpretazione
della fede appartiene alla grande tradizione della teologia cattolica. Secondo
me ci sono due motivi per cui la disponibilità ad occuparsi di questo tema sta
venendo meno: in primo luogo l’influsso in questo senso dei protestanti agnostici
(“conta solo la Sacra Scrittura!”), in secondo luogo alcuni moderni sviluppi
del diritto naturale i quali argomentano in modo completamente diverso rispetto
alla tradizione cristiana. A dire il vero emerge anche il fatto che non è
facile continuare a sviluppare il giusnaturalismo classico della Chiesa
cattolica: sembra che sia già stato detto tutto l’essenziale. Mi sembra che il
significato della dottrina del diritto naturale consista soprattutto nel fatto
che contraddice l’idea secondo la quale ci siano solo due alternative: la
scienza moderna, spesso completamente positivista e la fede cieca, quasi
irrazionale. Già da molto tempo, prima di diventare papa, Ratzinger ha
sottolineato il significato della terza alternativa: il giusnaturalismo come
raffigurazione di ciò che emerge dall’essenza correttamente intesa dell’uomo.
Si tratta di non dimenticare una determinata visione dell’uomo: dell’uomo come
creatura, cui la fede cristiana non si oppone, ma che la fede compie.
Il Papa ha detto durante la
celebrazione ecumenica ad Erfurt venerdì scorso: “La fede non è una cosa che
noi escogitiamo e concordiamo. È il fondamento su cui viviamo”. Cosa significa
questo per il dialogo interreligioso nell’Europa cristiana?
Prima che il Papa venisse in
Germania, c’è stata in Germania e in Austria un’accesa e vivace discussione. Da
una parte alcuni protestanti hanno sperato che il Papa per così dire
canonizzasse per lo meno in parte Lutero (e anche Calvino e Zwingli);
dall’altra c’è stato un movimento tra i teologi cattolici che voleva abolire il
celibato e persino ordinare al sacerdozio le donne. A fronte di tutto ciò,
Benedetto XVI ha sottolineato che l’unità dei cristiani e il suo ristabilimento
non può essere ultimamente opera dell’uomo, cioè che non può essere raggiunta (come
per le questioni politiche) attraverso trattative e compromessi. Solo lo
Spirito Santo, e non il negoziato tra noi poveri uomini, può indicare il
cammino. Allo stesso tempo le parole del Papa sono state un richiamo a “ quanta
strada abbiamo già fatto”. Ancora mezzo secolo fa una preghiera ecumenica in
comune come quella a Erfurt sarebbe stata impensabile. Le parole del Papa che
lei ha citato ricordano il “lungo respiro” che è sempre stato caratteristico
della Chiesa cattolica: la disponibilità del cuore aperto ad attendere fino a
che il Signore ci indichi la via.
(Federico Ferraù. Traduzione dal
tedesco a cura di Chiara Bignamini e Bernardo Laffranchini)
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