Avvenire.it, 23 settembre 2011 - Il laico contributo del cristianesimo
alla civiltà - Per la dignità dell’uomo di Francesco D’Agostino
Discorso non lungo, ma
densissimo, quello tenuto da Benedetto XVI a Berlino, davanti al Parlamento
riunito e alle principali autorità della Germania. Con la pacatezza, associata
alla fermezza, che contraddistingue sempre le sue parole, accompagnate in
questo solenne ritorno alla lingua materna da qualche sapiente pennellata
d’ironia, il Papa ha ricordato come politica e diritto non debbano mai essere
dissociati, perché la politica deve sempre essere un impegno per la giustizia
(e come esempio dei funesti effetti di questa dissociazione, egli – tedesco –
ha rammentato ai suoi ascoltatori – tedeschi anche essi – come la loro stessa
comune esperienza attesti che queste parole sono tutt’altro che espressioni
retoriche). Ha ricordato come nel processo di formazione del diritto positivo
il ricorso al principio di maggioranza non basti a tutelare la dignità
dell’uomo.
Mettendo il dito nelle piaghe del
presente ha rilevato come oggi stia divenendo estremamente difficile per un
politico, ancorché animato dalle migliori intenzioni, discernere cosa sia
veramente giusto: la crisi della dottrina del diritto naturale, una dottrina,
sottolinea amaramente il Papa, che «quasi ci si vergogna di menzionare», il
dilagare di una visione funzionale della realtà e l’adesione acritica a
paradigmi positivistici rendono arduo stabilire i necessari ponti tra l’etica e
il diritto. E infine, riprendendo un tema da lui amatissimo, Benedetto XVI è
tornato ad ammonire l’Europa a non dimenticare di avere un’identità e che tale
identità è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma. La situazione
paradossale del presente è che l’Europa, dimenticando o nascondendo le sue
radici, si pone, in un mondo contrassegnato dalla vivace rivendicazione del
valore di tutte le culture, in una condizione di «mancanza di cultura». Un
continente che non possiede una cultura o, peggio ancora, che misconosce la
propria, non può inserirsi in modo creativo e positivo nel dibattito
multiculturale che caratterizza un mondo globalizzato.
C’è però nel discorso di
Benedetto XVI un tema che sovrasta tutti gli altri, sia dal punto di vista
dottrinale che dal punto di vista pastorale. È quando il Papa osserva come
l’esigenza di radicare la politica nella giustizia spiega perché nella storia
gli ordinamenti giuridici siano quasi sempre stati motivati in modo religioso.
Il cristianesimo, però, ha continuato il Pontefice, a differenza di tutte le
altre grandi religioni mondiali non ha mai né imposto né nemmeno proposto un «diritto
positivo rivelato»: esso ha piuttosto sempre rimandato alla natura e alla
ragione quali vere fonti del diritto. Riflettiamo su questo punto. Da una parte
esso riassume in modo semplicemente perfetto perché la laicità, cioè l’
autonomia della politica e del diritto, sia un principio radicalmente
cristiano. Dall’altra spiega perché una cultura laicista secolarizzata, come
quella oggi tanto diffusa in occidente, una cultura che sta perdendo ogni
fiducia nella ragione e nella natura, non possa alla lunga che perdere se
stessa e la sua ragion d’essere, quella ragion d’essere che il Papa riassume,
ancora una volta e con semplice fermezza, nella difesa dei diritti dell’uomo.
Non esiste un «diritto rivelato».
Gli ordinamenti giuridici non si legittimano attraverso il riferimento a un Dio
che promulga codici e norme vincolanti e coercitive. La fonte del diritto sta
nella natura e nella ragione, ma sia l’una che l’altra, nella loro oggettività,
vanno percepite in armonia reciproca e presuppongono una Ragione creatrice, un
«creator Spiritus». Qui il discorso del Papa si trasforma in un ammonimento –
salutato infine dall’applauso corale dei rappresentanti del popolo tedesco –
rivolto ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà: chi è alla ricerca
della giustizia e anela alla libertà, non cessi mai di meditare sulla fragilità
del genere umano («l’uomo non crea se stesso»!) e non distolga mai il proprio
sguardo da un mondo che chiede di essere compreso nella sua profonda unitarietà
di senso e che proprio a partire da questa comprensione abbiamo il dovere di
rispettare. A tal fine abbiamo tutti bisogno, ha concluso Papa Benedetto,
citando la Bibbia, di un «cuore docile», che ci dia la capacità di distinguere
il bene dal male e di servire la giustizia.
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