IDEE/ Barcellona: così le nostre illusioni hanno "ucciso" l’Imprevisto di Pietro Barcellona – il sussidiario.net - mercoledì 24 agosto 2011
La nostra epoca è stata definita da un illustre sociologo come quella del rischio e dell’incertezza giacché ciascun individuo, donna o uomo, ragazza o ragazzo, è particolarmente esposto all’irruzione dell’imprevisto che proviene da un mondo esterno caratterizzato da permanenti innovazioni. Questa peculiare diffusione del rischio, che tende a gravare sulla scelta dell’azione adeguata alle circostanze, è tipica di una società che non riesce più a stabilizzarsi secondi modi di comportamento definiti dalla Tradizione.
La società del rischio è una società opposta alla società tradizionale giacché il suo proprium consiste nel “trattamento” dell’imprevedibilità che può provocare disorientamento e anomia per l’assenza di modelli di riferimento. Si capisce che in società di questo tipo, come quella in cui siamo immersi, la certezza appare una meta agognata da tutti come l’approdo alla terraferma di un naufrago che è stato costretto per un lungo periodo a vivere su una zattera.
Questa situazione di incertezza è ormai percepibile da ciascuno di noi solo che presti un minimo di attenzione alla volatilità dei titoli di borsa, come ci vengono presentati giorno per giorno con paurose oscillazioni fra valori positivi e valori negativi che stanno simbolicamente a rappresentare enormi spostamenti di ricchezza da un territorio all’altro, da una categoria sociale all’altra, da uno stato all’altro. Già la visione di queste enormi oscillazioni crea sentimenti diffusi di panico rispetto al futuro e sembra esigere una risposta di stabilità che restituisca un minimo di certezza sulle prospettive di vita legate all’andamento dell’economia che, come è noto, è diventato un nodo centrale della nostra esistenza.
Paura del rischio e incertezza rischiano di diventare così il punto di avvio di una dinamica sociale che richiede risposte rassicuranti e che, proprio per questo, è disponibile a chiunque prometta di uscire dalla precarietà di un’emergenza continua.
Se si guarda tuttavia con occhio un po’ più distaccato alla congiuntura presente si può forse proporre una diversa lettura di questa condizione diffusa nell’epoca contemporanea e ipotizzare, ad esempio, che l’incapacità di sopportare l’incertezza e la richiesta costante di rassicurazioni nascondano un turbamento più profondo degli esseri umani nel loro rapporto col mondo esterno. Un indice significativo di questa ricerca quasi ossessiva della certezza è sicuramente la diffusa mancanza di fiducia negli altri, nel prossimo e nelle élite politiche, che sta avvelenando persino i rapporti interpersonali.
La spasmodica ricerca della connessione informatica è segno della paura di non esistere se non si è in una costante comunicazione con gli altri, e tuttavia da questa connessione non si trae alcuna assicurazione della propria esistenza anzi, al contrario, si cerca di aumentare continuamente il contatto episodico. In definitiva, sembra che oggi, per acquisire il senso della propria esistenza, bisogna vivere in un contesto di connessioni che ti assicurano costantemente del tuo stare al mondo.
A mio parere la ricerca spasmodica di conferme esterne su cui fondare la propria esistenza è un sintomo della rimozione nell’esperienza quotidiana e nella formazione della personalità di ciascuno della inevitabile presenza dell’Ignoto e del Misterioso.
L’Ignoto e il Mistero sono stati elementi costitutivi della formazione spirituale e delle pratiche delle società che hanno preceduto l’attuale contemporaneità. L’Ignoto e il Mistero sono stati anzi i fattori decisivi della crescita delle persone, giacché, attraverso di essi è stato possibile per ciascuno sperimentare l’esistenza di limiti alla nostra volontà di potenza e di una Trascendenza che si sottrae al nostro controllo e alla nostra manipolazione. In tutte le società in cui la percezione dell’ignoto e del misterioso è stata presente, la formazione della personalità è stata in gran parte determinata dalla capacità di accettare la limitatezza delle proprie azioni e l’insufficienza della propria intelligenza a fornire spiegazioni assolute dei fenomeni del mondo esterno.
L’esperienza dell’oscurità di ciò che ci sta di fronte è stato lo stimolo tradizionale ad assumerci la responsabilità consapevole delle difficoltà con cui siamo costretti a fare i conti. L’Ignoto e il Mistero sono stati sempre la via attraverso la quale gli esseri umani si sono trovati di fronte al Sacro come “l’indisponibile ad ogni volontà umana”. Oggi, viceversa, viviamo nel tempo del traducibile e dell’utilizzabile, cosicché l’intraducibile e l’inutilizzabile sono diventati elementi negativi. Tutto ciò che è invisibile, in quanto spirito, fede e divinità, è considerato espressione di una concezione arretrata e passatista. Di fronte ai limiti che le nostre conoscenze incontrano si è formata l’illusione onnipotente di poterle annullare, e tutto ciò che appariva non raggiungibile dall’intelligenza oggi viene consegnato al progresso scientifico che prima o poi ne darà una spiegazione esauriente.
Nella contemporaneità è stata totalmente dissolta l’esperienza dell’impotenza di fronte all’universo e si è perso il senso del limite che imponeva di affidarsi agli altri e all’Altro laddove si avvertiva la mancanza delle proprie forze. La certezza è diventata una prestazione del sistema di calcolo e non già il contenuto di una relazione in cui il rapporto col mistero dell’altro restituisce a ciascuno il senso della propria misura. L’ignoto e il mistero hanno perso il ruolo di costruzione della nostra identità mortale per cui abbiamo smarrito quella sensazione di essere guardati dall’ignoto con cui gli scrittori, gli inventori e gli artisti vedono il mondo. Gli scrittori e gli inventori portano su di sé il peso doloroso dello sguardo dell’ignoto e del mistero, e cioè riescono a reggere con la propria identità l’idea che nella propria opera non tutto sia riducibile a conoscenza e volontà. L’Ignoto e il Mistero sono infatti l’Alterità che ci impone limiti e ci costringe a sopportare lo Sguardo dell’Altro nella speranza di poterlo incontrare al di là dei limiti delle conoscenze umane, istituite nei saperi specializzati.
Il modo in cui il Mistero e l’Ignoto si presentano nell’esperienza umana è quello del linguaggio simbolico giacché solo la parola simbolica consente di mettere in relazione ciò che è presente ai nostri occhi con ciò che è assente e ignoto ma di cui avvertiamo la insopprimibile esigenza. Si può dire sotto questo profilo che la Parola Simbolica ha origine nella sensazione dell’enigmaticità di ciò che ci sta di fronte e di un rinvio ad un altrove di cui non possiamo controllare compiutamente gli elementi. Quando si pronuncia una parola simbolica come Mamma, Croce, Patria, si rende presente nel discorso ciò che le parole non possono descrivere se non mediante un rinvio ad un Altro e ad un Altrove che può essere rappresentato solo mentalmente. Una madre assente viene collegata alla propria vita attraverso la parola che la evoca senza che questo rappresenti una immediatezza materiale della persona evocata con la parola. Il significato simbolico della parola è indissolubilmente legato alla limitatezza della presenza rispetto al desiderio della persona che la pronuncia.
Come ha scritto Wittgenstein noi ci troviamo continuamente a fare i conti con i limiti del linguaggio non solo perché di molte realtà spirituali non riusciamo a trovare una coerente espressione linguistica ma anche perché la parola che noi adoperiamo non coincide mai con la cosa che vogliamo rappresentare.
Tra la parola e la cosa esiste sempre uno scarto che rinvia all’esperienza concreta di un mondo dove esistono soltanto relazioni pratiche e azioni. Questo scarto è parzialmente colmato dalla capacità della parola di veicolare un significato simbolico e il simbolo, come si sa, è sempre un ponte tra ciò che posso sperimentare e ciò di cui non faccio esperienza, tra il noto e l’ignoto. Un bimbo può tranquillizzarsi ripetendo la parola “mamma” anche quando la mamma non è presente e si trova altrove. Il Valore Simbolico della parola, che è una tipica e originale connotazione del linguaggio umano, permette di distinguere la parola dal segno che, invece, istituisce la contestualità tra immagine e cosa: se mostro ad un cane una scodella, essa si associa immediatamente al cibo. Il segno è un legame assolutamente certo tra una cosa e un gesto, il simbolo è invece un atto di fede nel legame tra una parola e un affetto. La parola “mamma” ha un significato simbolico perché rende presente al bambino l’affetto della madre.
Per ciò gli uomini hanno prodotto un’immensa quantità di parole simboliche che hanno addomesticato l’incerta oscurità del mondo circostante rendendolo traducibile nel linguaggio dell’affettività. Posso non avere alcuna nozione teoretica del problema di Dio, ma posso amarlo perché tutta la presenza del mistero nel mondo delle cose è una Metafora della sua esistenza. Per questa ragione tra il mistero, la creazione simbolica e il linguaggio umano c’è un nesso strutturale profondo senza il quale la vita umana diventa un commercio di segni che addomesticano i comportamenti ma non producono più pensieri e rappresentazioni mentali.
Queste considerazioni consentono già di esprimere un giudizio critico sull’ansia di certezze assolute e di spiegazioni esaustive che oggi caratterizza il rapporto col mondo esterno, e che impedisce di avere un rapporto con la dimensione enigmatica e misteriosa della condizione umana. Paradossalmente la ricerca della certezza attraverso le conoscenze istituite rischia di negare la persistenza del Mistero della condizione umana e di precludere ogni accesso alla via della fede in un’Alterità non perfettamente controllabile dalla nostra intelligenza.
Nell’epoca dell’ansia di certezze rassicuranti, a mio parere, bisogna recuperare la percezione del Mistero e dell’Ignoto, e le parole che ci permettono di convivere con la sensazione di smarrimento che prova chiunque abbia perso ogni punto di Riferimento Trascendente.
“Gran Mistero è la Vita e nol comprende che l’ora estrema…”.
(A. Manzoni)
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