IL LIETO FINE NON C'ENTRA. IN UN FILM LA VITA DI MELAZZINI, MEDICO E
MALATO, di Vietti Piero, Foglio di giovedì 22 settembre 2011
Il lieto fine non c'entra. In un
film la vita di Melazzini, medico e malato Roma. "Non lo stupido e banale
happy end, ma la strana fiamma che brucia sempre dentro ogni difficoltà, ogni
contraddizione, ogni dolore". Se c'è un modo per raccontare la speranza
senza retorica, è quello descritto dalle parole di Emmanuel Exitu, regista
italiano che da qualche anno si è messo in testa di battere questo sentiero
alla faccia del sentimentalismo (e lo ha fatto bene, cominciando con un
documentario sul-l'Aids in Uganda, premiato da Spike Lee). Queste parole sulla
fiamma che brucia dentro sono note di regia al suo ultimo film, intitolato
"Io sono qui", appena uscito in libreria per le edizioni San Paolo. A
dire "Io sono qui" è Mario Melazzini, medico di successo che qualche
anno fa ha scoperto di essere ammalato di Sla. Dopo avere seriamente pensato al
suicidio, ha messo in piedi all'ospedale Niguarda di Milano una delle opere più
grandi al mondo per la cura di questa malattia che si scrive "sclerosi
laterale amiotrofica" e si legge "muscoli che progressivamente si
paralizzano e morte che mediamente avviene in cinque anni". Dalla Sla non
si guarisce. Ma si può curare. Exitu è andato a frugare con la telecamera nella
vita e nel lavoro di Melazzini, lo ha convinto a farsi riprendere quando,
svestito, soffre inserendo il sondino che lo nutre, lo ha guardato negli occhi
facendosi accompagnare idealmente sulle montagne che Melazzini amava, e poi
odiava quando ha saputo della malattia, e poi ha amato ancora quando ha capito
che ci sono, e che sono bellissime. Nella prima scena c'è un signore anziano
che va a farsi visitare accompagnato dalla moglie. La Sla gli sta già rubando
la parola, che fa fatica a uscire dalla bocca: "Ho letto i suoi libri -
biascica - e volevo chiederle...". Lo interrompe la moglie, che essendo
moglie crede di sapere lei che cosa vuole dire lui: "Voleva chiederle come
fa a parlare così bene". "No - dice lui - Nei suoi libri lei dice di
essere felice...". La risposta "giusta" non arriva, Melazzini
non è un guru, un eroe, né un prete, in quel caso svicola un po', ma una risposta
arriva guardandolo al lavoro, nella settimana pazzesca raccontata da questo
documentario (che esce insieme a un libro autobiografico di Melazzini): nel
rapporto con i colleghi, gli infermieri, i malati, nelle visite a casa. C'è un
episodio che dice tutto: un padre di famiglia disteso sul letto, che riesce a
parlare soltanto con gli occhi, grazie a un macchinario elettronico che traduce
in parole i movimenti delle pupille. Melazzini si informa sulle difficoltà
della famiglia (la MI non vuole cambiare il respiratore, un infermo a letto non
merita tutte queste attenzioni, dicono), poi scherza e chiacchiera con lui.
"Da quando sono malato ho sempre le stesse passioni - dice - anzi, di più.
Forza Juve!". Merito anche del modo con cui Melazzini lo tratta e lo
guarda. Quando è il momento di uscire - immobile, disteso su una carrozzina -
chiede sorridendo alla figlia di mettergli il profumo Dior e l'orologio
elegante. E non di staccargli la spina.
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