È VITA - I MALATI TERMINALI? "COSTANO TROPPO, TAGLIAMOLI" di
Del Soldato Elisabetta, Avvenire di giovedì 29 settembre 2011
I malati terminali? «Costano
troppo, tagliamoli» In un articolo sulla rivista «Lancet Oncology» la
lettera-appello firmata da 37 medici: i costi per curare il cancro in Occidente
spesso sono uno «spreco insostenibile» L'allarme di Eugenia Roccella: si vogliono
tagliare le cure col pretesto della crisi La scienza non sarebbe stata
all'altezza delle sue promesse nell'affrontare la piaga del cancro. E oggi -
sostiene un gruppo internazionale di ricercatori - ci troviamo nell'assurda
situazione di non riuscire più a pagare cure sempre più costose che non
funzionano mai al cento per cento. In un articolo pubblicato su Lancet Oncology
37 medici guidati dall'inglese Richard Sullivan hanno scritto che «i costi per
curare il cancro in Occidente stanno crescendo enormemente e sfoceranno presto
in una crisi». Il rapporto del team parla di una «cultura dell'eccesso e dello
spreco» dove «poche prove confermano la validità dei nuovi trattamenti e
tecnologie». Ci sarebbe solo una cosa da fare: tagliare i costi e ridurre le terapie
Ma per il professor Sullivan non si tratta solo di una questione di costi:
c'entra anche l'efficacia del trattamento. «A volte - afferma - le cure sono
futili, come accade nel caso di tante chemioterapie costosissime quanto
inutili». I dati a suo avviso dimostrerebbero che «una quota sostanziosa di
spese per le cure anti-cancro si concentra negli ultimi mesi di vita», ma si
tratterebbe in molti casi di cure «inutili o contrarie agli obiettivi e alle
preferenze di molti pazienti» che le rifiuterebbero «se fossero adeguatamente
informati». Per gli estensori dell'articolo in molti casi sarebbe più indicato
concentrare gli sforzi dei medici sulle cure palliative invece che dedicarsi a
nuove terapie non sperimentate Bastano questi argomenti per rendersi conto che
l'idea sottesa all'articolo - ospitato da una prestigiosa rivista scientifica -
potrebbe essere usata come pretesto per giustificare i tagli alla spesa
sanitaria resi sempre più necessari dalla crisi, o per alleggerire gli staff
sanitari degli ospedali. «Ancora più grave - è il commento di Josephine
Quintavalle dell'associazione pro-life Core - è il fatto che si finirebbe col
togliere al malato la speranza di farcela. È un dovere del medico, invece, fare
il possibile per salvare la vita del paziente Sono contro l'accanimento
terapeutico, ma non bisogna mai sminuire il valore della vita». Tagliare le
cure per il cancro, continua Quintavalle, «potrebbe anche scatenare una
reazione a catena, con altri reparti che decidono di fare lo stesso. E il dovere
di curare il malato diventerebbe una variabile relativa». La notizia della
lettera-appello dei medici che vorrebbero risparmiare sui malati terminali ha
suscitato reazioni anche in Italia. Per il sottosegretario alla Salute Eugenia
Roccella si tratta di un documento insensato: «la situazione va valutata caso
per caso - ha spiegato -. Contro l'accanimento terapeutico siamo tutti
d'accordo, temo invece che dietro simili dichiarazioni, in un momento così
complesso di crisi economica, si cerchi di aprire a possibili tagli futuri su
queste cure». Per la Roccella ci sarebbero infatti già gli strumenti per
limitare o evitare le cosiddette «cure futili» senza doversi avventurare in
distinguo su quel che è necessario o è inutilmente costoso. LI, aGran Bretagna
è stata il primo Paese al mondo a riconosere la alidità medica delle cure
palliative e, come spiega la baronessa Ilora Finlay, da sempre leader alla
Camera dei Lord della battaglia contro il suicidio assistito e 1 eutanasia, «la
nostra nazione è stata appena citata sull'Economist come la prima di 40 nazioni
Ocse per la qualità delle cure nel fine vita». Nel Regno Unito, continua, «a
differenza di altri Paesi, la medicina palliativa è riconosciuta dinicamente da
25 anni. Ci sono reparti di medicina palliativa nella maggior parte degli
ospedali: si tratta di reparti specializzati nei sintomi dei malati terminali».
Ma «le cure palliative e le cure per una malattia specifica come il cancro sono
due cose diverse. Ed entrambe hanno bisogno di fondi propri: non si sostituiscono
a vicenda, anche perchè questo diffonderebbe un messaggio sbagliato». Per i 37
medici, tuttavia, le pressioni economiche sono destinate a farsi insostenibili.
«Il costo dei trattamenti - sostengono - sarà presto di 286 miliardi di dollari
l'anno. Sono 12 milioni le persone cui ogni anno nel mondo viene diagnosticato
un tumore, dato destinato ad aumentare fino a 27 milioni entro il 2030. Le cure
oncologiche stanno diventando un grande problema economico, con l'aumento della
spesa sanitaria. In Gran Bretagna il costo delle cure per i tumori al seno è
salito del 10% ogni anno dal 2007. «Di solito gli aumenti sono spinti dalle
innovazioni - continua l'articolo apparso su Lancet -. Spendiamo di più perché
possiamo fare di più per i pazienti. Il numero delle medicine per il cancro è
salito, per esempio, da 35 negli anni '70 a quasi cento». Eppure, sostengono i
ricercatori, pochi trattamenti sono risolutivi, con «costi sostanziosi e
benefici limitati». E sufficiente ad abbandonare un paziente terminale al suo
destino? II bioeticista Spagnolo: «Valgono più i pazienti dei risparmi»
((Oncology può avere a ricerca di Lancet conclusioni condivisibili, ma è la
prospettiva che è sbagliata. Non si può infatti far girare tutto sulla
necessità di ridurre le spese sanitarie». Ne è convinto Antonio Spagnolo,
direttore dell'Istituto di bioetica dell'Università Cattolica di Roma. «Le
riflessioni sulle spese in oncologia - afferma - non vanno fatte in un'ottica
di risparmio, ma avendo sempre in mente i pazienti. E la domanda da porre è
quale beneficio per la persona». Perché non i malati «non devono pagare le
conseguenze di una sperimentazione in termini di peggioramento della qualità
della vita. Per vivere magari tre o quattro settimane in più e viverle male».
L'obiettivo, dunque, non può essere solo l'immissione di un nuovo farmaco sul
mercato e per questo: «Non si può stabilire che il principio del risparmio sia
comune per tutti. Non può essere questa la linea guida, il criterio
ispiratore». Piuttosto, è necessario valutare «caso per caso la situazione del
paziente, anche attraverso una specifica consulenza di etica dinica. Che ha un
costo, ma va a totale beneficio del paziente». II palliativista Caraceni:
«Seguiamoli, migliorerà la qualità della loro vita» ome sempre, se ci si affida
al sen(( sazionalismo della notizia o alla visione di una politica sanitaria
che raziona le risorse per risparmiare, si danno immagini distorte della
realtà». Questo è il commento alla notizia britannica di Augusto Caraceni
direttore della Struttura complessa di cure palliative dell'Istituto nazionale
dei tumori di Milano. «Dire basta alla chemioterapia e aumentare le cure
palliative non significa di certo lasciar morire le persone - aggiunge -. Non è
affatto questo il messaggio del Lancet oncology, ma che, cosa già risaputa,
sempre piu si proseguono o si offrono terapie anche molto costose che non hanno
nessuna pro-babiltà di far guarire il paziente e nemmeno prolungarne la
sopravvivenza. Gli oncologi sono ben consapevoli del problema. Ci sono anche
pazienti che se informati correttamente delle scarse probabilità delle terapie
oncologiche, potrebbere scegliere trattamenti altrenativi o palliativi.
Caraceni cita altre evidenze scientifiche: «In un articolo sul New England
Journal of medicine si è osservato che se il paziente viene seguito assieme
dall'oncologo e dallo specialista in cure palliative, la qualita della vita
migliora, si fanno meno terapie inutili, meno accessi a pronto soccorsi e
miglior uso delle risorse disponibili e senza nessuna riduzione della attesa di
vita». (F.Loz.) L'oncologo Scanni: «Mai dire "è finita" Va garantito
ogni aiuto disponibile» oqgI la fase terminale di vita del mala- io oncologico
occorre stargli vicino e dargli un'adeguata assistenza. Somministrare degli
antitumorali in fase terminale non ha senso. Occorre garantire una buona
qualità di vita e non rischiare di cadere nell'accanimento terapeutico». È
questa l'opinione di Alberto Scanni, primario oncologo emerito del
Fabenefratelli oftalmico di Milano e presidente onorario progetto oncologia
«Uman.a». Scanni ha letto la ricerca britannica che sta facendo parlare molto
in questi giorni e ritiene che il nodo di tutto il tema sia la comunicazione:
«L'obiettivo di lungo termine in questo tipo di percorso di cura - afferma - è
quello di raggiungere un rapporto di fiducia medico-paziente, che sia
continuativo e garantisca buoni consigli». Secondo il medico milanese in
quest'ottica l'eutanasia è un «falso problema: non esiste, infatti, se sto
vicino al malato e se gli garantisco una buona qualità della vita per la parte
di vita che deve vivere. Nessuno è padrone della vita di questi malati». Si
potrebbe obiettare però che chi si trova ad avere un tumore vuole avere il
diritto di sperare fino alla fine: «Certamente - ammette Scanni - io sono
contrario a dire a un malato: tu morirai, sei arrivato alla fine. Piuttosto
devo aiutarlo ad avere una speranza di una buona qualità di vita ed offrirgli
tutto quello che ho disposizione».
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