Il calvario delle liste d´attesa e per una mammografia l´appuntamento è
fra un anno - FONTE: MICHELE BOCCI - LA REPUBBLICA - 30 SETTEMBRE 2011
Cattiva organizzazione ma anche
troppi esami inutili a soffrire sono tutti gli accertamenti specialistici. Il 34%
della strumentazione ad alta tecnologia ha più di otto anni d´età e viene sotto
utilizzata. Un fenomeno che coinvolge tutte le Regioni a
Bologna 300 giorni per un test sulle allergie Inchiesta italiana. Ospedali sempre più in affanno, boom dei
privati. Perché la situazione continua a
peggiorare? Come mai i medici non collaborano tra loro? È anche colpa del
"consumismo sanitario?"
Chi ci guadagna da questo prolungamento dei tempi? Il personale è sufficiente?
E come lavorano le cliniche ?
Le cose migliorerebbero se i Cup, i centri unici di prenotazione, funzionassero
a dovere? Sono attivi anche nel Mezzogiorno?
Ci vuole pazienza oppure ci
vogliono i soldi. Chi si sente prospettare un´attesa di un anno per una
prestazione sanitaria ha solo queste due armi per ricacciare indietro rabbia e
frustrazione. Ogni giorno a migliaia di italiani capita di dover ricorrere alle
proprie risorse mentali e materiali per non crollare di fronte a quanto
prospettato dalla loro Asl.
Sei mesi per una risonanza a
Bari, quasi tre mesi per una tac al Civico di Palermo, sempre sei mesi per una
semplice ecografia a Roma ma anche a Bologna, dove ci vogliono anche 300 giorni
per una visita allergologica. Questa specialità soffre ovunque: 9 mesi a
Firenze, un po´ meno ma sempre tanto a Torino. A far segnare l´attesa record,
succede così da anni, è la mammografia, quella asintomatica, che al policlinico
di Bari fissano tra qualcosa come 400 giorni. Forse la lista più lunga
d´Italia.
Ma non sono solo i grandi numeri
a colpire. A Cagliari, per un esame banale come l´elettrocardiogramma chiedono
ai cittadini 35 giorni di pazienza, a Palermo addirittura 60. Nessun sistema
sanitario regionale (come dimostra la nostra tabella) può sentirsi escluso dal
problema delle liste di attesa. Tutti soffrono in certi settori e finiscono per
far registrare dati che si rivelano più virtuali che reali. Chi ha la
prescrizione per una visita o un esame infatti non sta certo ad aspettare mesi.
Si informa sui prezzi e finisce per rivolgersi al privato, che lo aspetta a
braccia aperte e gli assicura la prestazione in un paio di giorni. Succede
anche per la libera professione intramoenia, quella svolta dai medici
dipendenti del servizio sanitario nazionale in strutture pubbliche o
convenzionate.
Perché i tempi d´attesa nel
nostro paese invece di migliorare peggiorano? I fattori sono tanti e disegnano
una materia inestricabile da anni, malgrado i tentativi di riforma. Calo di
risorse, problemi organizzativi, sprechi e scarsa collaborazione tra medici, ma
anche consumismo sanitario sempre più accentuato.
Meno soldi e macchine poco
utilizzate o vecchie
Per avere un´idea delle unità di
misura in cui ci muoviamo, bisogna aver presente che nel nostro Paese ogni anno
si fa più di un accertamento diagnostico per ogni cittadino, in tutto circa 70
milioni, di cui almeno 30 sono radiografie tradizionali. Le visite
specialistiche sono più del doppio: 150 milioni. Numeri impressionanti che
aumentano costantemente, anche del 7% nel caso delle risonanze, circa 2 milioni
ogni dodici mesi. Come risponde il nostro sistema sanitario alla crescita della
richiesta dei cittadini? Non bene, almeno dal punto di vista di attrezzature e
personale. Secondo una ricerca della Sirm, la società italiana di radiologia
medica, nel nostro paese, il 34% della strumentazione ad alto contenuto
tecnologico ha più di 8 anni di età (il 50% nelle Marche, nel Molise e in
Calabria il 40 in Puglia e Basilicata e Liguria). Per quella di profilo
tecnologico basso il dato delle apparecchiature vecchie, questa volta con più
di 10 anni, sale al 44% (il 64% in Calabria). In più tac, risonanze ed
ecografie sono sotto utilizzate. «Secondo la nostra ricerca non lavorano al
loro massimo, cioè almeno 66 ore la settimana a macchina - spiega Franco
Vimercati, radiologo presidente della Federazione italiana società medico
scientifiche - Perché questo avvenga ci vorrebbero 600 radiologi in più
dedicati a quelle prestazioni nel pubblico». Le apparecchiature fanno così in
media il 15% del lavoro in meno.
Non sarà facile risolvere questi
problemi molto rapidamente. Il sistema sanitario è in gravi difficoltà
economiche, con una riduzione dell´incremento del fondo destinato alle Regioni
ormai continua. «Il peggio deve arrivare - dice Massimo Cozza, responsabile di
Cgil medici - Aspettiamo altri tagli. Sostituire i colleghi che vanno in
pensione sarà sempre più difficile e vedremo le liste di attesa aumentare
ancora». Ma chi ci guadagna se le attese si allungano?
Il business privato
Chi si trova davanti ad un´attesa
troppo lunga si rivolge al privato. «Siamo un´ancora di salvezza, soprattutto
oggi che la situazione nel pubblico sta peggiorando». Vittorio Cavaceppi è
presidente dell´Anisap, l´Associazione nazionale delle istituzioni sanitarie private,
che raccoglie un terzo delle 3mila aziende che fanno visite ed esami nelle
Regioni italiane. In certi casi lavorano in convenzione, e si fanno pagare
dalle Asl per ridurre le attese, in altri sono sul mercato privato, e i soldi
arrivano dai cittadini. «Ma spesso facciamo sconti per andare incontro alle
persone. Certo, la nostra attività privata cresce in periodi di difficoltà per
il pubblico come questo. Un dato dell´aumento del nostro lavoro? E´ impossibile
darlo, perché ogni Regione ha la sua storia».
Una parte dei guadagni per i
tempi di attesa troppo lunghi nel pubblico rientra nello stesso sistema
sanitario nazionale, attraverso l´intramoenia, cioè le prestazioni libero
professionali svolte nelle Asl dai dipendenti fuori orario di servizio. Il
fenomeno riguarda soprattutto le visite ma anche la diagnostica e non è
sospinto solo dalle attese. Con questo sistema infatti ci si può scegliere il
professionista, così molti lo usano perché vogliono essere visti da un
determinato medico. Certo, quando si parla di attese molto lunghe la
possibilità di fissare una visita a pagamento nel giro di due giorni appare
un´ingiustizia. Secondo una recente ricerca dell´associazione Assotutela per
fare un ecocolordoppler dei tronchi sovra-aortici al San Camillo di Roma ci
vogliono circa 270 giorni. Chi paga ne aspetta 2. Non è un´eccezione, succede
un po´ ovunque. La libera professione è in crescita costante: nel 2001 gli
italiani spendevano 700 milioni all´anno, nel 2009 quasi il doppio: 1,3
miliardi, una cifra secondo le stime che ha continuato a salire anche l´anno
dopo. Circa il 14% di quei soldi resta in tasca alle Asl il resto va ai
professionisti. Spesso il cittadino si sente proporre l´alternativa
dell´intramoenia dallo stesso addetto che gli ha appena comunicato l´attesa nel
pubblico. Eppure è vietato, i due percorsi dovrebbero essere separati.
Il Sud resta sempre indietro
Il Censis ha fatto di recente una
rilevazione senza un grande valore scientifico ma piuttosto significativa. Ha
calcolato l´attesa media sopportata dai cittadini italiani prima di ottenere la
prestazione sanitaria. Il risultato è 50 giorni, quasi due mesi. La nostra
rilevazione svela alcuni dati inaspettati, come il peggioramento del sistema
sanitario emiliano che si desume dai dati del sito di Cup 2000. Va detto che a
Bologna quando ci sono attese molto lunghe o è impossibile prenotare gli
addetti si segnano il nome dell´utente e lo richiamano quando si libera un
posto (le cosiddette agende di garanzia). Anche a Firenze, per alcune prestazioni
ci sono attese lunghissime ma in Toscana ci sono attività, come alcune visite
specialistiche, tenute ormai sotto controllo da anni. Al Sud accanto a liste di
attesa molto lunghe se ne trovano di assai contenute. Secondo Tonino D´Angelo,
segretario di Cittadinanzattiva Puglia, bisogna leggere in modo critico i dati.
«Fidiamoci di quelli alti - dice - Quelli bassi non ci rivelano un
miglioramento come trend. Il fatto è che talvolta si avviano progetti speciali,
con investimenti economici che abbassano le attese per un po´. Poi ricominciano
a crescere». Ci sono poi quelle che sembrano delle eccezioni. Secondo la Asl di
Napoli, la città sarebbe una delle migliori dal punto di vista delle attese.
Smentisce nettamente i dati la Cittadinanzattiva locale. «La nostra sanità è
malata di attese - dice Carlo Caramelli, responsabile dell´associazione in
Campania - Riceviamo tante segnalazioni per attese lunghissime. Il problema è
che le liste non sono pubbliche, non si trovano online come previste dalla
legge. Inoltre ce ne sono ancora molte di bloccate e non abbiamo un Cup. Così
sono cancellati diritti dei pazienti come l´equità. La Regione dovrebbe pagare
multe salate per non avviare questi servizi».
Centri di prenotazione incompiuti
Che quello dei tempi d´attesa sia
un problema all´ordine del giorno al ministero e nelle Regioni non c´è dubbio.
Del resto secondo una recente ricerca del Censis, per il 70% dei cittadini la
prima cosa da migliorare nel sistema sanitario pubblico sono le attese. I
risultati dell´impegno istituzionale lasciano a desiderare. Il ministro
Ferruccio Fazio ha predisposto un piano nazionale di governo delle attese che
prevede tra l´altro la fissazione dei tempi massimi entro cui devono essere
assicurate certe prestazioni, la creazione di classi di priorità, la gestione
degli accessi attraverso i Cup, i centri unici di prenotazione che permettono
di conoscere i tempi di tutte le strutture della propria zona. Sempre secondo
il Censis i Cup non sono ancora abbastanza diffusi, li usa circa il 35% di chi
prenota al Nord, il 31 al Centro e intorno al 20 nelle isole e al Sud. Negli
altri casi ci si reca agli sportelli degli ospedali o si telefona direttamente
ai reparti, e non si può sapere quale struttura nella propria zona assicuri
prima la prestazione. Cittadinanzattiva-Tribunale diritti del malato nel suo
rapporto dell´Osservatorio sul federalismo in sanità fa notare come i tetti
massimi di attesa siano previsti nelle varie Regioni su numeri diversi di
prestazioni: dalle 125 del Piemonte alle 33 della Calabria. Anche per la
trasparenza le cose non vanno bene. L´Agenas, l´agenzia nazionale per i servizi
sanitari regionali ha rilevato come poco più della metà delle aziende
sanitarie, il 57% riporti i tempi di attesa sul proprio sito web e solo 7 Regioni
hanno il 100% delle Asl con i dati online. Ma cosa succederebbe se tutti i Cup
entrassero a regime, se ci fosse più personale, le macchine fossero moderne e
funzionassero al 100% delle loro possibilità?
Domanda sempre in crescita
Il tema delle liste di attesa è
reso ancora più complesso da un aspetto particolare. Se anche il sistema
dell´offerta fosse perfetto, cosa ancora molto lontana nel nostro paese,
secondo molti i tempi potrebbero non migliorare. «L´offerta in sanità genera la
domanda – spiega Vimercati – Purtroppo in Italia c´è un forte consumismo
sanitario, cioè richiesta di visite ed esami che non servono». Giovanni
Monchiero della Fiaso, la federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere,
insiste sul tema delle domande improprie: «Molto spesso quegli esami non
servono. Basta citare un dato. I casi di contenzioso per presunto errore
clinico da ritardata diagnosi sono lo 0,01% del totale. Vuol dire che le
prestazioni inderogabili vengono fatte in tempi certi e adeguati».
Il caso della risonanza magnetica
è emblematico. Si tratta forse dell´unica prestazione che ha tempi di attesa
lunghi in tutte le Regioni. L´invecchiamento della popolazione ha fatto
aumentare il numero di richieste ma hanno lo stesso effetto le prescrizioni non
appropriate. Ha studiato il fenomeno la Regione Toscana, scoprendo che la
richiesta di questo tipo di risonanze cresce quasi del 7% all´anno. Che
succede? Molto spesso si prescrivono risonanze che non servono. Un settantenne
con il dolore al ginocchio non ha bisogno di questo esame perché il suo dottore
scopra che ha l´artrosi e decida la terapia, basta una lastra. «In quel caso la
risonanza è stata inutile a meno che l´esame non serva per programmare un
intervento già deciso - dice ancora Vimercati - Il problema riguarda soprattutto
i medici. Devono smettere di fare i passacarte mandando i cittadini a fare gli
esami senza visitarli. Finiamola di affidarci solo alle macchine». La querelle
tra specialisti e camici bianchi che stanno sul territorio è aperta da tempo.
«È vero, c´è un eccesso professionale - spiega Giacomo Milillo della Fimmg, la
Federazione dei medici di famiglia - Noi e i radiologi dovremmo riunirci e
scrivere regole comuni. Ad oggi però, visto che le attese sono lunghe, finisce
che il medico di famiglia classifica tutte le richieste come urgenti e il
sistema si ingolfa ancora di più».
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