Il Papa al Bundestag: la politica senza Dio è «una banda di briganti» di
Massimo Introvigne, 23-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Fedele allo scopo che aveva
indicato nell’intervento televisivo diffuso domenica scorsa, Papa Benedetto XVI
nella prima giornata del suo viaggio in Germania, a Berlino, ha proposto
un’analisi impietosa dei mali di una società senza Dio e ha indicato nell’apertura
alla religione e nel diritto naturale i soli possibili fondamenti di una
società veramente civile.
La diagnosi è stata ripetuta fin
dalla cerimonia di accoglienza al Castello Bellevue: «Nei confronti della
religione - ha detto il Papa - vediamo una crescente indifferenza nella società
che, nelle sue decisioni, ritiene la questione della verità piuttosto come un
ostacolo, e dà invece la priorità alle considerazioni utilitaristiche». Ma - ha
aggiunto subito Benedetto XVI - senza una base comune forte la società si
disfa: «c’è bisogno di una base vincolante per la nostra convivenza, altrimenti
ognuno vive solo seguendo il proprio individualismo. La religione è uno di
questi fondamenti per una convivenza riuscita. “Come la religione ha bisogno
della libertà, così anche la libertà ha bisogno della religione.” Queste parole
del grande vescovo e riformatore sociale Wilhelm von Ketteler [1811-1877, uno
dei maestri della dottrina sociale della Chiesa nel secolo XIX], di cui si
celebra quest’anno il secondo centenario della nascita, sono ancora attuali».
Infatti, «la libertà ha bisogno di un legame originario ad un’istanza
superiore. Il fatto che ci sono valori che non sono assolutamente manipolabili,
è la vera garanzia della nostra libertà. Chi si sente obbligato al vero e al
bene, subito sarà d’accordo con questo: la libertà si sviluppa solo nella
responsabilità di fronte a un bene maggiore».
Il riferimento a von Ketteler -
il cui pensiero ha anche contribuito alla formulazione, che il Papa ha voluto
ricordare, di quel «principio di sussidiarietà [per cui] la società deve dare
spazio sufficiente alle strutture più piccole per il loro sviluppo e, allo
stesso tempo, deve essere di supporto, in modo che esse, un giorno, possano
reggersi anche da sole» - ha introdotto la giornata di Benedetto XVI, che ha
avuto al suo centro il discorso al Parlamento federale di Berlino e dunque il
riferimento alla politica. Il fondamento della politica e del diritto è stato
il tema di questo discorso, senz’altro destinato a prendere posto fra i più
importanti del Pontificato.
Il Papa ha cominciato «con una
piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si
racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione,
Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in
questo momento importante? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione
dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo
servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia
distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto la Bibbia vuole
indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico»: «la
volontà di attuare il diritto e l’intelligenza del diritto». Se la politica non
è capace di distinguere il bene dal male, «si può aprire la strada alla
contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto
– e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha
sentenziato una volta sant’Agostino [354-430]».
Il Pontefice ha utilizzato senza
reticenze - in Germania, e a Berlino - l’esempio del nazionalsocialismo per
mostrare che una politica che rifiuta di distinguere il bene da male e di
fondarsi su un’istanza superiore della giustizia conduce alla catastrofe e
all’ignominia. «Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole
non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere
dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il
diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del
diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva
minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio».
Nel suo incontro con i
rappresentanti della comunità ebraica, Benedetto XVI - oltre a ribadire che il
cammino di dialogo fra cattolici ed ebrei, definito nel suo contesto e nei suoi
termini dal Concilio Ecumenico Vaticano II, è «irrevocabile» - ha voluto
«richiamare alla memoria il pogrom della “notte dei cristalli” dal 9 al 10
novembre 1938. Pochi percepirono tutta la portata di tale atto di umano
disprezzo come lo percepì il prevosto del Duomo di Berlino, [il beato] Bernhard
Lichtenberg [1875-1943], che, dal pulpito della cattedrale di Sant’Edvige,
gridò: “Fuori il Tempio è in fiamme - è anch’esso una casa di Dio”». «Il regime
di terrore del nazionalsocialismo - ha commentato il Papa - si fondava su un
mito razzista, di cui faceva parte il rifiuto del Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe, del Dio di Gesù Cristo e delle persone credenti in Lui.
L'"onnipotente" Adolf Hitler [1889-1945] era un idolo pagano, che
voleva porsi come sostituto del Dio biblico, Creatore e Padre di tutti gli
uomini». Le conseguenze di questa idolatria non riguardano solo Hitler, ma la
politica e la storia dell’Europa in genere. «Con il rifiuto del rispetto per
questo Dio unico si perde sempre anche il rispetto per la dignità dell’uomo. Di
che cosa sia capace l’uomo che rifiuta Dio e quale volto possa assumere un
popolo nel "no” a tale Dio, l’hanno rivelato le orribili immagini
provenienti dai campi di concentramento alla fine della guerra».
Tornando al memorabile discorso
al Parlamento Federale, il Papa ha ricordato come dopo il nazismo i tedeschi si
posero con particolare inquietudine la questione di quali leggi fossero giuste
e dovessero essere obbedite. Non basta che una legge sia scritta nei codici -
le leggi naziste lo erano - perché possa essere considerata giusta. Ma la
questione è viva ancora oggi: «Come riconosciamo che cosa è giusto? Come
possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto
solo apparente?». Si potrebbe rispondere: è giusta la legge che ha ricevuto i
voti della maggioranza dei parlamentari. Ma - non dimenticando che lo stesso
Hitler andò originariamente al potere tramite regolari elezioni – Benedetto XVI
ribadisce che il voto di una maggioranza in Parlamento non può essere il
criterio ultimo che garantisce la giustizia. «In gran parte della materia da regolare
giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma
è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco
la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel
processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve
cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento».
Che le leggi di Hitler fossero
ingiuste oggi è evidente a molti. «Ma nelle decisioni di un politico
democratico, la domanda su che cosa ora corrisponda alla legge della verità,
che cosa sia veramente giusto e possa diventare legge non è altrettanto
evidente. Ciò che in riferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia
la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente
di per sé». Un tempo, la risposta prevalente è che giusta era la legge umana
che non contraddiceva la legge di Dio. «Nella storia, gli ordinamenti giuridici
sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla base di un riferimento
alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto».
Ma attenzione: il cristianesimo
non ha mai inteso le legge divina come l’islam intende la shari’a, cioè come un
diritto rivelato che il diritto dello Stato deve semplicemente riprodurre.
Senza citare per nome l’islam - ma il riferimento implicito è evidente -, il
Papa ha ricordato che «contrariamente ad altre grandi religioni, il
cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato,
un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla
natura e alla ragione quali vere fonti del diritto», attingendo alla tradizione
filosofica greca e al diritto romano. Da questo incontro – che era già stato al
centro del famoso discorso tenuto da Benedetto XVI a Ratisbona il 12 settembre
2006 - «è nata - ha ricordato il Papa – la cultura giuridica occidentale, che è
stata ed è tuttora di un’importanza determinante per la cultura giuridica
dell’umanità». L’Occidente nasce dalla scelta del cristianesimo di non proporre
o imporre un «diritto religioso» ma di mettersi «dalla parte della filosofia,
riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella
loro correlazione».
Grazie a questa scelta, almeno
fino al secolo XX la maggioranza dei giuristi occidentali ha risposto alla
domanda su quale legge sia giusta che giusta è la legge conforme al diritto
naturale, un diritto che può essere riconosciuto dalla ragione a prescindere
dalla fede religiosa di ciascuno. Ma, ha detto il Papa, «nell’ultimo mezzo
secolo è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione. L’idea del
diritto naturale è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare,
su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così
che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine». Com’è stato
possibile questo? Il Papa ne ha attribuito la responsabilità al positivismo
giuridico di cui è stato principale teorico Hans Kelsen (1881-1973), e alla sua
«tesi secondo cui tra l’essere e il dover essere ci sarebbe un abisso
insormontabile. Dall’essere non potrebbe derivare un dovere, perché si
tratterebbe di due ambiti assolutamente diversi».
Intendiamoci, ha detto il Papa:
la nozione positivista della natura e della ragione, «che comprende la natura
in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la spiegano» e
afferma che «ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito
della ragione nel senso stretto» ha contribuito al progresso delle scienze e
delle tecniche. In questo senso il Papa ha detto, aprendo un dialogo con chi ha
una certa visione della scienza, che «il concetto positivista di natura e
ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa
della conoscenza umana e della capacità umana». Ma è una visione che ha un
problema: implica che «l’ethos e la religione devono essere assegnati
all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso
stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista
- e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica - le fonti
classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco. Questa
è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una
discussione pubblica». Per quanto abbia contribuito allo sviluppo scientifico,
quella positivista «nel suo insieme non è una cultura che corrisponda e sia
sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Dove la ragione
positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le
altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi,
minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista dell’Europa, in cui vasti
ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come
fondamento comune per la formazione del diritto, mentre tutte le altre
convinzioni e gli altri valori della nostra cultura vengono ridotti allo stato
di una sottocultura».
Ma questa ragione positivista
«assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il
clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo
vasto di Dio». Dobbiamo invece, ha spiegato il Pontefice, «tornare a spalancare
le finestre». Consapevole di avventurarsi su un terreno molto polemico in Germania,
Benedetto XVI ha affermato che «la comparsa del movimento ecologico nella
politica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non avendo forse spalancato
finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che anela all’aria fresca, un
grido che non si può ignorare né accantonare, perché vi si intravede troppa
irrazionalità». Con tutti i suoi limiti, l’ecologismo tanto popolare in
Germania è di per sé un’ammissione che – al di là del formalismo del
positivismo giuridico – esiste una realtà, una natura di cui le leggi devono
tenere conto, mostrandosi come leggi ingiuste se non lo fanno.
Ma quando si parla di ecologia
occorre subito «affrontare con forza ancora un punto che oggi come ieri viene
largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo
possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere.
L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso.
Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando
egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che
è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la
vera libertà umana». Anche l’uomo ha una natura, su cui si fonda il diritto
naturale, e anche la legge che non rispetta la natura dell’uomo è ingiusta.
Citando ancora «il grande teorico
del positivismo giuridico», il Papa ha ricordato che «Kelsen, all’età di 84
anni - nel 1965 - abbandonò il dualismo di essere e dover essere. Aveva detto
che le norme possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza, la natura
potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontà avesse messo in essa
queste norme. Ciò, d’altra parte, presupporrebbe un Dio creatore, la cui
volontà si è inserita nella natura. “Discutere sulla verità di questa fede è
una cosa assolutamente vana”, egli nota a proposito Lo è veramente? - vorrei
domandare. È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si
manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator
Spiritus?».
Un non credente potrebbe rispondere
che sì, parlare di Dio è privo di senso. Ma anche lui, ha affermato Benedetto
XVI, dovrebbe prendere in esame «il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla
base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state
sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli
uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana
in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini
per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra
memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe
un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua
interezza». «La cultura dell’Europa – ha aggiunto il Papa tornando a una sorta
di sintesi del discorso di Ratisbona del 2006 – è nata dall’incontro tra
Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la
ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice
incontro forma l’intima identità dell’Europa».
Ma che ne è dei cattolicii? Nella
Messa all’Olympiastadion di Berlino il Pontefice si è mostrato consapevole del
fatto che molti, anziché testimoniare per la Chiesa di fronte al relativismo,
la contestano o in vari modi la feriscono dall’interno. «Nella parabola della
vite – ha rilevato il Papa –, Gesù non dice: “Voi siete la vite”, ma: “Io sono
la vite, voi i tralci” (Gv 15,5)». Questa è la vera natura della Chiesa.
«Alcuni guardano la Chiesa fermandosi al suo aspetto esteriore. Allora la Chiesa
appare solo come una delle tante organizzazioni in una società democratica,
secondo le cui norme e leggi, poi, deve essere giudicata e trattata anche una
figura così difficile da comprendere come la “Chiesa”».
Se qualcuno considera la Chiesa
un’organizzazione puramente umana, una qualunque associazione, allora
«l’esperienza dolorosa che nella Chiesa ci sono pesci buoni e cattivi, grano e
zizzania» rischia d’indurre ad abbandonarla. È un tema che, con riferimento
allo scandalo dei preti pedofili, Benedetto XVI aveva anticipato ai giornalisti
nel volo aereo verso Berlino. Parlando dei tedeschi che a causa dello scandalo
hanno lasciato la Chiesa Cattolica il Papa ha detto: «Posso capire che in vista
di tali informazioni, soprattutto se sono vicini a persone proprie, uno dice:
questa non è più la mia Chiesa». Ma di questi abbandoni «generalmente le
motivazioni sono molteplici nel contesto della secolarizzazione della nostra
società. Penso che di solito queste uscite sono l’ultimo passo in una lunga
catena di allontanamento dalla Chiesa. Mi sembra importante in questo contesto
domandarsi “perché sono nella Chiesa”. Sono nella Chiesa come in una
associazione sportiva, in una associazione culturale, dove ho i miei interessi
e se non trovano più risposta esco, o essere Chiesa è una cosa più profonda? Io
direi che sarebbe più importante conoscere che essere nella Chiesa non è essere
in qualche associazione ma essere nella rete del Signore, nella quale tira
pesci buoni e cattivi, dalle acque della morte alla terra della vita. Può darsi
che in questa rete sono proprio accanto a pesci cattivi e sento questo, ma
rimane vero che non ci sono per questi o questi altri ma ci sono perché è la
rete del Signore, ed è una cosa diversa da tutte le altre associazioni umane,
una che tocca tutto il fondamento del mio essere».
È perché non si comprende questo
- ha aggiunto il Papa nell’omelia all’Olympiastadion - che, anche al di là del
caso specifico della pedofilia, «insoddisfazione e malcontento vanno
diffondendosi, se non si vedono realizzate le proprie idee superficiali ed
erronee di “Chiesa” e i propri “sogni di Chiesa”». S’insegue il tempo presente,
senza accorgersi che è un «tempo di inquietudine e di qualunquismo, in cui così
tanta gente perde l’orientamento e il sostegno; in cui la fedeltà dell’amore
nel matrimonio e nell’amicizia è diventata così fragile e di breve durata».
Ai cattolici il Papa è venuto a
ricordare che «rimanere in Cristo significa […] rimanere anche nella Chiesa».
«La Chiesa come “la pienezza e il completamento del Redentore” ([venerabile]
Pio XII [1876-1958], Mystici corporis, AAS 35 [1943] p. 230: “plenitudo et
complementum Redemptoris”) è per noi pegno della vita divina e mediatrice dei
frutti di cui parla la parabola della vite. La Chiesa è il dono più bello di
Dio. Pertanto, dice anche S. Agostino: “Ognuno possiede lo Spirito Santo nella
misura in cui ama la Chiesa di Cristo” (In Ioan. Ev. tract. 32, 8 [PL 35,
1646])». Il Papa è venuto in Germania a ricordare che «Dio non vuole ciò che è
arido, morto, artificiale, che alla fine è gettato via, ma vuole le cose
feconde e vive, la vita in abbondanza». Ma questo annuncio può essere efficace
solo se è proclamato «con la Chiesa e nella Chiesa».
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