martedì 6 settembre 2011


06/09/2011 - IL CASO - A Londra l’eutanasia è illegale, ma possibile - Il Parlamento inglese non ha voluto rendere legale il suicidio assistito. Che di fatto però non viene più perseguito - Chi aiuta a morire "per compassione" non viene più punito di MATTIA BERNANDO BAGNOLI, La Stampa
LONDRA
Non è che in Gran Bretagna l’eutanasia sia diventata d’improvviso legale ma quasi. Il che appare come un controsenso visto che il Parlamento s’era chiaramente espresso contro la «dolce morte». I britannici hanno però trovato una scappatoia molto pratica, molto british, appunto, per non chiudere del tutto gli occhi davanti a uno dei grandi temi del XXI secolo. Ovvero modificare le «linee guida» per i magistrati chiamati a indagare sui casi di suicidio assistito. Morale: su 30 episodi finiti negli ultimi 18 mesi nelle mani dei pm di Sua Maestà nemmeno uno ha dato vita a un procedimento penale. Eppure il suicidio assistito, a tutti gli effetti, resta un crimine.

I dati sono stati raccolti dal Times e hanno suscitato l’approvazione di Lord Falconer, l’ex Gran Cancelliere ora presidente della commissione d’inchiesta sul suicidio assistito. Il nuovo «manuale d’istruzioni» - diffuso 18 mesi fa dall’ufficio del Director of Public Prosecutions (DPP) - sta dunque facendo sentire i suoi effetti. «Ma è giusto ricordare ha precisato Falconer - che il cambiamento era in atto anche prima dell’introduzione delle linee guida. Che, di fatto, hanno codificato un comportamento già in atto». Chiudere un occhio, insomma. Le misure - in forma temporanea - vennero introdotte da Keir Stermer, direttore del DPP, già nel settembre 2009. Quindi divennero permanenti nel febbraio 2008. L’indicazione è esplicita: se qualcuno, «mosso da compassione», aiuta un’altra persona a morire e il «chiaro e lucido desiderio» a togliersi la vita è facilmente dimostrabile, l’avvio del procedimento penale va considerato improbabile perché «non è nel pubblico interesse».

Come nel caso di Margaret Bateman, scomparsa nella sua casa di Birstall, West Yorkshire, il 20 ottobre 2009. Il marito, Michael, l’aiutò a posizionare un sacchetto di plastica sul capo e assemblò il macchinario distributore di elio. Fu però Margaret a sigillare il sacchetto e ad azionare la valvola di apertura della bombola del gas. Nel maggio del 2010 il Crown Presecution Service (CPS) - la pubblica accusa del Regno Unito - stabilì che, nonostante vi fossero sufficienti elementi per incriminare Michael, non era il caso di procedere. «La signora soffriva da decenni di dolori cronici e ha mostrato un inequivocabile desiderio di suicidarsi», si legge nel rapporto del CPS. «I colloqui con il marito e i figli lo confermano. E’ inoltre evidente che il signor Bateman abbia agito solo e unicamente per compassione».

Nell’anno che va dall’aprile 2010 all’aprile 2011 18 episodi simili sono stati portati dalla polizia all’attenzione del CPS: due sono ancora sotto revisione, tre sono stati ritirati dalla polizia stessa e 13 non hanno portato a nessuna azione penale. Dall’ultimo aprile i casi contati sono invece sette: uno è stato ritirato e i restanti sono ancora allo studio dei magistrati. I funzionari del DPP credono ad ogni modo che i numeri siano in crescita, benché le statistiche si basino solo sui dati rintracciati a partire dal 2009. In quell’anno, quello delle linee guida temporanee, 19 casi finirono infatti in mano ai magistrati. Di nuovo, tutto si concluse con un nulla di fatto. Un portavoce del CPS ha però escluso un «ammorbidimento» da parte dei pm britannici. «La legge non è stata cambiata», ha dichiarato. «Assistere o incoraggiare al suicidio resta un reato. Le nostre politiche offrono però ai magistrati una chiara cornice interpretativa per capire quali casi debbano finire in tribunale e quali no. Questo non significa aprire le porte all’eutanasia e aggirare il volere del Parlamento».

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