Su certi
valori nessuna mediazione di Angelo Bagnasco
Il
cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha partecipato ieri
pomeriggio a Frascati alla Summerr School promossa dalla fondazione
Magna Carta e dall’associazione Italia Protagonista.
Questo è un
brano della sua lectio magistralis dedicato all'impegno politico dei
cattolici, 05-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
In quale
modo la Chiesa sta nella storia degli uomini e quindi in che modo si
rapporta con la politica? Viene in mente il Vangelo: “Voi siete il
sale della terra (…) voi siete la luce della mondo” (Mt 5,
13-14). Le parole di Gesù sono chiare e non ammettono sofismi: per
annunciare il Vangelo, è necessario che i cristiani siano dentro al
mondo senza assimilarsi al mondo (cfr Gv 17-14). Il vero, unico sale
della storia è Cristo: egli solo preserva dalla corruzione della
morte e restituisce all’universo il sapore delle origini. Per
questo la Chiesa sala la storia nella misura in cui annuncia Cristo.
L’immagine
del sale indica la via della “discesa”, del nascondimento, per
condividere con pazienza e fiducia la vita della gente. In una parola
suggerisce l’incarnazione nel mondo. I fedeli laici, le
innumerevoli Parrocchie in Italia, i sacerdoti, i religiosi e le
religiose, i diaconi permanenti, i gruppi, le associazioni e i
movimenti, che – singolarmente o organizzati - con intelligenza e
generosità sono presenti con la testimonianza e la fantasia della
carità, dell’evangelizzazione e della catechesi, le scuole
cattoliche, gli ospedali, le molteplici iniziative di incontro, di
annuncio, di preghiera, di educazione e di assistenza ai
bisognosi…non esprimono forse la realtà del sale di cui parla
Gesù? Non sono forse segni permanenti di una vicinanza capillare e
quotidiana al mondo? Non è la voglia di mondano protagonismo che
muove la Chiesa fin dalle sue origini, ma l’urgenza della sua
missione: l’amore a Cristo, all’uomo, alla terra. Cercare di
vivere secondo il Vangelo, secondo la visione della vita e del mondo
che ha ricevuto, crea una presenza che – come il sale – vive
nella storia umana, s’ intreccia con essa e la contagia elevandola
ad una pienezza altrimenti irraggiungibile.
Ma
l’immagine del sale deve essere completata da quella della luce: la
luce dona alle cose il loro volto. Nel buio tutto è indistinto,
regna la confusione, si perde la strada. La luce suggerisce dunque la
visibilità della presenza cristiana: non solo la visibilità delle
opere di Dio, ma anche la visibilità della parola di Dio e della
Chiesa. Qualcuno, oggi, vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni
sua parola viene giudicata come un’ingerenza nelle questioni
pubbliche e politiche. Vorrebbe che rimanesse in sacrestia. La
preghiera – si pensa - in fondo non fa male a nessuno e la carità
fa bene a tutti. In altri termini, si vorrebbe negare la dimensione
pubblica della fede concedendole la sfera del privato. E’ singolare
, però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di
coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla
fede che forma la loro coscienza. I Pastori, poi, si vorrebbe che
tacessero salvo che dicano cose gradite alla cultura che appare
dominante perché ha potere di parola; in caso diverso, spesso si
grida all’ingerenza. Francamente, mi sembra che si usino due pesi e
due misure.
Ma il punto
centrale non è questo – le reazioni alle parole della Chiesa –,
ma il dovere della Chiesa a dire ciò che deve perché l’umano non
scompaia dal mondo, e perché la società non diventi dei forti e dei
furbi, cioè disumana. Risuona imperioso il monito dell’Apostolo
Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16). Si
tratta dell’annuncio della fede con tutte le implicazioni
antropologiche, etiche, cosmologiche e sociali che contiene. Forse si
vorrebbe che l’annuncio di Cristo fosse un messaggio spiritualista
talmente celeste da non disturbare la terra, ma così non può
essere, perché il cristianesimo è la religione dell’Incarnazione,
di “quel grande <sì> che in Gesù Cristo Dio ha detto
all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e
alla nostra intelligenza (…) Il cristianesimo è infatti aperto a
tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle
civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra
esistenza” (Benedetto XVI, Discorso al Convegno Ecclesiale di
Verona, 19.10.2006).
Si potrebbe
pensare che nell’epoca del pluralismo culturale sia arrogante
giudicare gli eventi
della storia
con la verità del Vangelo, che sia un atteggiamento di intellettuale
fondamentalismo, specialmente in politica. Ci si chiede se la verità
morale, legata ad una scelta religiosa, possa ispirare l’ordinamento
civile valido per tutti. E’ una questione giusta e delicata. Se è
gravemente ingiusto tradurre in termini di ordinamento pubblico certe
scelte esclusivamente etico-religiose, è scorretto ridurre ogni
posizione assunta dai credenti a scelta “confessionale” e quindi
individuale e privata.
Certi valori
- come nel campo della vita e della famiglia, della concezione della
persona, della libertà e dello Stato - anche se sono illuminati
dalla fede, sono anzitutto bagaglio della buona ragione. Per questo
sono detti “non negoziabili”. Si dice che la politica è l’arte
della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si
raggiungano sempre le mediazioni migliori, ma vi sono dei principi
primi che qualunque mediazione distrugge. Cicerone scrive:
“Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione. Essa è
conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile
ed eterna; i suoi precetti chiamano ai doveri; i suoi divieti
trattengono dall’errore” (La Repubblica, 2, 22, 33).
La visione
etica connessa alla fede cristiana non è qualcosa di esclusivamente
cristiano in senso particolaristico, ma piuttosto la sintesi delle
grandi intuizioni etiche del genere umano. Essa non è un onere
pesante riservato ai cristiani, bensì la difesa dell’uomo contro
il tentativo di pervenire alla sua eliminazione. Per questo la morale
è la liberazione dell’uomo e la fede cristiana è l’avamposto
della libertà umana. Il poeta latino Giovenale scriveva in modo
insuperabile: “Considera sommo crimine preferire la propria
esistenza all’onore, e perdere per la vita le ragioni del vivere”!
Ciò significa che ci sono valori per i quali vale la pena di morire,
poiché una vita comprata a prezzo di tali valori poggia sul
tradimento delle ragioni del vivere, ed è pertanto una vita
annichilita nella sua stessa sorgente. E dove non c’è nulla per
cui valga la pena di morire, là è difficile anche vivere.
*
Arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale
Italiana
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