lunedì 5 settembre 2011


Su certi valori nessuna mediazione di Angelo Bagnasco
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha partecipato ieri pomeriggio a Frascati alla Summerr School promossa dalla fondazione Magna Carta e dall’associazione Italia Protagonista.

Questo è un brano della sua lectio magistralis dedicato all'impegno politico dei cattolici, 05-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/



In quale modo la Chiesa sta nella storia degli uomini e quindi in che modo si rapporta con la politica? Viene in mente il Vangelo: “Voi siete il sale della terra (…) voi siete la luce della mondo” (Mt 5, 13-14). Le parole di Gesù sono chiare e non ammettono sofismi: per annunciare il Vangelo, è necessario che i cristiani siano dentro al mondo senza assimilarsi al mondo (cfr Gv 17-14). Il vero, unico sale della storia è Cristo: egli solo preserva dalla corruzione della morte e restituisce all’universo il sapore delle origini. Per questo la Chiesa sala la storia nella misura in cui annuncia Cristo.

L’immagine del sale indica la via della “discesa”, del nascondimento, per condividere con pazienza e fiducia la vita della gente. In una parola suggerisce l’incarnazione nel mondo. I fedeli laici, le innumerevoli Parrocchie in Italia, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi permanenti, i gruppi, le associazioni e i movimenti, che – singolarmente o organizzati - con intelligenza e generosità sono presenti con la testimonianza e la fantasia della carità, dell’evangelizzazione e della catechesi, le scuole cattoliche, gli ospedali, le molteplici iniziative di incontro, di annuncio, di preghiera, di educazione e di assistenza ai bisognosi…non esprimono forse la realtà del sale di cui parla Gesù? Non sono forse segni permanenti di una vicinanza capillare e quotidiana al mondo? Non è la voglia di mondano protagonismo che muove la Chiesa fin dalle sue origini, ma l’urgenza della sua missione: l’amore a Cristo, all’uomo, alla terra. Cercare di vivere secondo il Vangelo, secondo la visione della vita e del mondo che ha ricevuto, crea una presenza che – come il sale – vive nella storia umana, s’ intreccia con essa e la contagia elevandola ad una pienezza altrimenti irraggiungibile.

Ma l’immagine del sale deve essere completata da quella della luce: la luce dona alle cose il loro volto. Nel buio tutto è indistinto, regna la confusione, si perde la strada. La luce suggerisce dunque la visibilità della presenza cristiana: non solo la visibilità delle opere di Dio, ma anche la visibilità della parola di Dio e della Chiesa. Qualcuno, oggi, vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni sua parola viene giudicata come un’ingerenza nelle questioni pubbliche e politiche. Vorrebbe che rimanesse in sacrestia. La preghiera – si pensa - in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. In altri termini, si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendole la sfera del privato. E’ singolare , però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza. I Pastori, poi, si vorrebbe che tacessero salvo che dicano cose gradite alla cultura che appare dominante perché ha potere di parola; in caso diverso, spesso si grida all’ingerenza. Francamente, mi sembra che si usino due pesi e due misure.

Ma il punto centrale non è questo – le reazioni alle parole della Chiesa –, ma il dovere della Chiesa a dire ciò che deve perché l’umano non scompaia dal mondo, e perché la società non diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana. Risuona imperioso il monito dell’Apostolo Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16). Si tratta dell’annuncio della fede con tutte le implicazioni antropologiche, etiche, cosmologiche e sociali che contiene. Forse si vorrebbe che l’annuncio di Cristo fosse un messaggio spiritualista talmente celeste da non disturbare la terra, ma così non può essere, perché il cristianesimo è la religione dell’Incarnazione, di “quel grande <sì> che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza (…) Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza” (Benedetto XVI, Discorso al Convegno Ecclesiale di Verona, 19.10.2006).


Si potrebbe pensare che nell’epoca del pluralismo culturale sia arrogante giudicare gli eventi

della storia con la verità del Vangelo, che sia un atteggiamento di intellettuale fondamentalismo, specialmente in politica. Ci si chiede se la verità morale, legata ad una scelta religiosa, possa ispirare l’ordinamento civile valido per tutti. E’ una questione giusta e delicata. Se è gravemente ingiusto tradurre in termini di ordinamento pubblico certe scelte esclusivamente etico-religiose, è scorretto ridurre ogni posizione assunta dai credenti a scelta “confessionale” e quindi individuale e privata.

Certi valori - come nel campo della vita e della famiglia, della concezione della persona, della libertà e dello Stato - anche se sono illuminati dalla fede, sono anzitutto bagaglio della buona ragione. Per questo sono detti “non negoziabili”. Si dice che la politica è l’arte della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si raggiungano sempre le mediazioni migliori, ma vi sono dei principi primi che qualunque mediazione distrugge. Cicerone scrive: “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione. Essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano ai doveri; i suoi divieti trattengono dall’errore” (La Repubblica, 2, 22, 33).

La visione etica connessa alla fede cristiana non è qualcosa di esclusivamente cristiano in senso particolaristico, ma piuttosto la sintesi delle grandi intuizioni etiche del genere umano. Essa non è un onere pesante riservato ai cristiani, bensì la difesa dell’uomo contro il tentativo di pervenire alla sua eliminazione. Per questo la morale è la liberazione dell’uomo e la fede cristiana è l’avamposto della libertà umana. Il poeta latino Giovenale scriveva in modo insuperabile: “Considera sommo crimine preferire la propria esistenza all’onore, e perdere per la vita le ragioni del vivere”! Ciò significa che ci sono valori per i quali vale la pena di morire, poiché una vita comprata a prezzo di tali valori poggia sul tradimento delle ragioni del vivere, ed è pertanto una vita annichilita nella sua stessa sorgente. E dove non c’è nulla per cui valga la pena di morire, là è difficile anche vivere.

* Arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana

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