Capitale familiare - Nella crisi economica la famiglia è ammortizzatore
sociale e assicurazione contro i fallimenti del mercato di Claudio Lucifora e
Dominique Meurs, http://www.europaquotidiano.it
I valori familiari e l’intensità
dei legami che tengono insieme i componenti di un nucleo familiare
rappresentano uno dei fondamenti della struttura sociale che, oltre appunto
alle numerose implicazioni di natura più strettamente “sociale”, producono
effetti rilevanti anche sulle scelte economiche degli individui. Decisioni
relative all’investimento in capitale umano (chi studia e quanto?), alla
divisione del lavoro tra i componenti (chi lavora? quale tipo di lavoro? e quali
opportunità di carriera?), alle scelte finanziarie (dall’acquisto di una casa,
alle decisioni di risparmio e investimento), fino alla creazione di valori
etici e politici (la fiducia nel prossimo, il volontariato e la partecipazione
politica) vengono prese all’interno della famiglia e dipendono fortemente dai
ruoli e dalla condivisione di valori familiari.
Negli ultimi decenni, i paesi
maggiormente industrializzati hanno sperimentato significativi cambiamenti
nella struttura sociale e nel funzionamento economico che hanno inciso anche
sulla struttura familiare “tradizionale”, tipicamente caratterizzata da una
forte divisione di genere nelle scelte lavorative e nei ruoli di cura (male
breadwinner/ female carer). Tuttavia, fenomeni come la crescente partecipazione
al mercato del lavoro delle donne e l’emancipazione (parziale) dai ruoli di
cura, il calo e lo spostamento in avanti delle scelte di fertilità, l’aumento
dei tassi di divorzio e di coabitazione tra i partner e, non ultimo, l’erosione
dei valori familiari, pur modificando profondamente la struttura funzionale
della famiglia, non hanno modificato la centralità dell’istituzione familiare
per spiegare buona parte dei comportamenti economici e sociali. Da questo punto
di vista, se da un lato esiste una consolidata tradizione di studi sociologici
e antropologici che analizza e cerca di spiegare l’organizzazione e il
comportamento familiare, lo studio sistematico delle relazioni tra valori
familiari ed esiti economici è assai più recente e meno condiviso tra gli
economisti. In particolare, la caratterizzazione dell’economia di “mercato” ha
per lungo tempo ignorato il ruolo della famiglia come istituzione economica, e
sottostimato (o non considerato affatto) il contributo della produzione
domestica (home production) alla crescita e al benessere sociale.
Va detto che l’atteggiamento
degli studiosi nei confronti del ruolo dei valori familiari nel determinare gli
esiti economici e sociali è molto dibattuto all’interno delle scienze sociali.
Un filone della letteratura individua nei legami familiari un freno allo
sviluppo economico e alla diffusione di valori civici all’interno dei membri di
una società, il cosiddetto “familismo amorale”. Un filone di studi alternativo,
da un lato, contesta l’interpretazione causale – l’assetto familiare non
sarebbe la causa, ma l’effetto dell’arretratezza economica – e, dall’altro,
sostiene una tesi diametralmente opposta, secondo la quale i legami familiari
favoriscono la formazione del “capitale sociale” su cui le società fondano i
valori civici e le istituzioni politiche. Il capitale sociale è l’opposto del
“familismo amorale”, la presenza di valori familiari condivisi e la volontà di
collaborare per la collettività costituiscono fattori che favoriscono lo
sviluppo economico.
Esistono, infine, altri studi che
mettono in luce come i legami familiari siano spesso in grado di fornire,
attraverso l’internalizzazione dei rischi sociali, una forma di assicurazione
ai fallimenti di mercato delle moderne economie. Questa modalità di assicurazione
“sociale” opera sia tra i componenti del nucleo familiare (intra), sia
attraverso una redistribuzione tra generazioni (inter). Laddove i legami
familiari sono più forti, minore è la domanda di assistenza pubblica e più
basso è l’intervento dello Stato.
Dal dibattito in corso emerge una
serie di importanti questioni economiche che, nel bene o nel male, mettono la
famiglia e la rete di relazioni sociali che a essa si riferiscono al centro del
processo decisionale. Alcuni temi di questo dibattito possono essere riassunti
nelle seguenti domande.
In che misura i legami familiari
e la condivisione dei valori influenzano le decisioni economiche? Quali sono i
meccanismi attraverso i quali la struttura familiare modella i comportamenti
economici e sociali? Gli assetti familiari su cui è basato il funzionamento
sociale sono anche efficienti per la creazione e la diffusione del benessere
economico, o piuttosto costituiscono un freno allo sviluppo? Le relazioni
familiari favoriscono la creazione di “capitale sociale”? I paesi e le culture
che promuovono la condivisione di valori familiari generano equilibri economici
diversi da quelli prevalenti in paesi caratterizzati da un tessuto sociale più
individualista? Queste domande, inoltre, impongono un ripensamento del
paradigma economico prevalente, secondo cui il funzionamento dei mercati è il
risultato di scelte effettuate da individui che agiscono isolatamente o
prevalentemente in contesti di interazioni strategiche non-cooperative.(...)
Forte senso civico
Il principale risultato del
“familismo amorale” alla Banfield è che la rete familiare, proteggendo gli
interessi dei membri del nucleo familiare a discapito degli esterni, distrugge
le relazioni di fiducia tra i componenti di un gruppo sociale e indebolisce le
norme che governano le relazioni sociali. Inoltre, l’arroccamento sugli
interessi dei componenti del nucleo familiare, che caratterizza società con
forti legami familiari, determinerebbe un declino delle virtù civili e nella
partecipazione politica. Alcuni studi recenti hanno rivisitato i presupposti
del familismo amorale studiando le relazioni esistenti tra l’intensità dei
legami parentali e dei valori familiari rispetto al grado di fiducia, alla
partecipazione politica e più in generale a una serie di comportamenti
eticamente desiderabili, come il rispetto del prossimo, l’importanza dei beni
pubblici, la solidarietà.
I risultati ottenuti da questo
filone di letteratura sono ambigui. Da un lato viene confermato che la presenza
di forti legami familiari risulta associata a una minore partecipazione
politica (soprattutto delle donne), a un minore impegno sociale (volontariato),
mentre rafforza la creazione di norme e regole per limitare la libertà di
azione, economica e sociale, degli individui. Un’ipotesi alternativa, che si
basa sulla nozione di capitale sociale, sostiene che i legami familiari possono
rendere più facile la creazione e il mantenimento di una rete di relazioni atte
a promuovere rapporti di reciprocità e di fiducia, sia tra i componenti della
famiglia, sia anche all’esterno del nucleo familiare. In questo caso, i valori
familiari risultano strettamente legati ad atteggiamenti socialmente utili e
cooperativi per facilitare la fornitura di beni pubblici e atteggiamenti
fiscalmente responsabili. In un recente studio, Was Banfield Right? Family Ties
and Civic Virtues (2011), Martin Ljunge mostra che individui caratterizzati da
forti valori familiari hanno una maggiore probabilità di disapprovare
comportamenti socialmente scorretti come l’evasione fiscale, il mercato nero,
la corruzione e il mancato rispetto degli accordi contrattuali; mentre sono più
favorevoli alla condivisione di valori come la tolleranza e il rispetto del
prossimo. Queste diverse dimensioni dei valori sociali individuano nei legami
familiari l’elemento centrale per promuovere e sostenere una società
caratterizzata da alto senso civile e rispetto del prossimo. La presenza di
forti legami familiari risulta associata a una forte condanna sociale e una
minor tolleranza nei confronti di comportamenti legati alla evasione fiscale.
I legami parentali e i valori che
si formano e vengono condivisi dai componenti del nucleo familiare aumentano o
riducono il benessere? Si può immaginare che gli esiti economici interessino
sia gli effetti sul benessere “privato” della famiglia, sia quelli “sociali”
attraverso le esternalità che la famiglia crea con il “capitale sociale”.
Questi aspetti pongono delle sfide enormi agli studiosi e rispondere è molto
difficile. Esistono tuttavia alcuni studi empirici che hanno cercato di
analizzare la relazione esistente tra legami familiari e una serie di
indicatori di benessere economico sia oggettivo, come il Pil pro-capite, sia
soggettivo, come il grado di soddisfazione degli individui. Questi indicatori,
con tutti i problemi di misurazione che presentano, costituiscono un primo
tentativo, pur incompleto e parziale, di fornire alcuni fatti stilizzati su cui
avviare il dibattito. Nei paesi più poveri, quelli in cui il Pil pro-capite è
più basso (e anche la produzione domestica è maggiore), gli individui risultano
uniti da legami parentali più forti e in generale maggiore importanza viene
attribuita alla famiglia.
In altre parole, (...) la
famiglia costituisce una risorsa di beni e servizi domestici e fornisce una rete
di protezione sociale che tutela gli individui – soprattutto quelli a basso
reddito – sia per quanto riguarda il sostegno economico, sia per contrastare
l’esclusione sociale. Alla luce di queste considerazioni sembra lecito supporre
che la rete di protezione sociale fornita dai legami familiari possa aver
giocato un ruolo importante anche nel contesto della crisi finanziaria che ha
colpito gran parte delle economie mondiali, svolgendo un ruolo di
“ammortizzatore sociale” affiancando il welfare pubblico, e anche sostituendosi
a questo nei paesi in cui la protezione sociale si è rivelata debole.
Le esperienze nazionali durante
la crisi confermano molte delle ipotesi avanzate. Per esempio in Spagna i
giovani della generazione chiamata mil euro, che grazie alla crescita economica
e alla disponibilità di posti di lavoro (a tempo determinato) avevano
sperimentato un certo, pur modesto, benessere e una certa indipendenza
(economica) dalle famiglie, dopo la crisi hanno massicciamente fatto ritorno al
nucleo familiare in cerca di sostegno economico. In modo del tutto simile, in
Italia, la crisi ha ulteriormente peggiorato le prospettive di ingresso nel
mercato del lavoro dei giovani, prolungando la loro permanenza e dipendenza
economica dal nucleo familiare di origine. In assenza di questa forma di
assicurazione sociale per i giovani, l’elevata disoccupazione giovanile – che
in alcune aree ha raggiunto il 50% – sarebbe socialmente destabilizzante. In
generale, nei paesi e nei sistemi economici caratterizzati da forti legami
familiari, gli individui trovano nella famiglia un meccanismo di assicurazione
che il mercato spesso non è in grado di offrire. Questo ruolo di ammortizzatore
familiare che riduce l’impatto dei rischi sociali sul benessere familiare e
aumenta il benessere (atteso) delle famiglie comporta però un prezzo. In
particolare, a fronte di una riduzione della varianza del ciclo economico sul
benessere familiare, c’è una perdita di efficienza dovuta alla minor
partecipazione al mercato dei giovani e delle donne, alla minore presenza delle
donne in ruoli dirigenziali e alla minore mobilità geografica e sociale.
In ultima analisi, ci si potrebbe
domandare: ma gli individui che appartengono a gruppi sociali in cui i legami
parentali sono più forti e a culture in cui i valori familiari sono tenuti in
maggior considerazione sono anche più felici? Nonostante le difficoltà insite
in un tale quesito, un recente studio di due economisti, Alberto Alesina e
Paola Giuliano, in The power of family (2010), risponde affermativamente.
L’appartenenza a una società con alti valori familiari, rispetto a una in cui i
legami sono deboli – a parità di altre condizioni – comporta un maggior livello
di soddisfazione (circa il 12% in più rispetto alla media). Dal momento che i
legami familiari sembrano più forti nei paesi a basso reddito (almeno per
quanto riguarda il reddito rilevato dai conti nazionali), questo risultato
contribuisce anche a spiegare il “paradosso” della scarsa correlazione
esistente tra ricchezza e felicità. I valori familiari, indipendentemente dal
reddito, sono una fonte di ricchezza morale per gli individui, un valore che
faremmo bene a ricordare più spesso.
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