Il bioeticista Nicholas Tonti-Filippini offre argomenti contro
l’eutanasia - Una breve recensione del suo nuovo libro - 12 maggio, 2012, http://www.uccronline.it/
Il prof. Nicholas
Tonti-Filippini, Decano Associato e Preside di Bioetica all’Istituto Giovanni
Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia di Melbourne, già eticista presso il
primo ospedale d’Australia, ha pubblicato un libro molto interessante, “Caring
for People Who are Sick or Dying“ (Connor Court Publishing 2012) in cui offre
un’ottima sintesi delle proprie esperienze professionali, ma anche come
ex-malato terminale, avendo avuto a lungo a che fare con numerose malattie
croniche.
Argomenta da subito, si legge su
Zenit.it che ne ha recensito l’opera, su un gran numero di questioni generali
riguardo alla relazione tra pazienti e sistema sanitario, rimanendo nell’ambito
della tradizione cattolica. Spiega che l’assistenza come oggi è intesa, ebbe
origine nel Medioevo ed è incentrata sull’idea che gli esseri umani sono
“infermieri” del loro corpo e di esso responsabili. Ovviamente è una visione in
contrasto a quella maggioritaria di oggi, dove la vita ha senso/dignità solo se
è utile o efficiente. Interessante il discorso fatto nell’ambito delle cure
straordinarie, dove si ribadisce che le procedure mediche eccessivamente
gravose o sproporzionate al risultato ottenuto possono (devono) essere
interrotte. Il rifiuto all’accanimento terapeutico non ha però nulla a che vedere con il suicidio, e
nemmeno contraddice la naturale inclinazione a preservare la vita. Viene
affrontato anche la casistica della rianimazione, che non dovrebbe essere
applicata sempre. E’ un’operazione molto invasiva, poco utile in caso di
malattia grave. Spesso è deleteria, in quanto in persone anziane può
frequentemente rompere le costole. Il criterio per decidere cosa fare, secondo
l’autore, è valutare lo stato mentale del paziente, l’eventualità che sia in
possesso di informazioni mediche rilevanti e poi il giudizio del medico del
paziente.
Tonti-Filippini affronta
ovviamente anche la tematica dell’eutanasia, qualcosa di diverso dalla
sospensione di un trattamento inutile. I sostenitori dicono che si dovrebbe
rispettare l’autonomia della persona (quando si parla di conservazione della
vita non esiste però nessuna autodeterminazione, si veda ad esempio
l’infortunistica stradale). Ma togliere la vita a qualcuno, significa sottrarre
ogni opportunità di autonomia nel futuro. Immanuel Kant, a questo proposito,
affermava che il suicidio era sbagliato poiché significava trattare qualcuno
come un oggetto o un mezzo, piuttosto che come un fine. Come anche il suicidio
assistito, inoltre, questa pratica contraddice il ruolo principale del medico,
cioè la conservazione della vita e della salute. Non per nulla, dichiara
Tonti-Filippini, pressoché tutte le organizzazioni mediche nazionali nei paesi
di lingua inglese hanno inequivocabilmente rigettato la pratica dell’eutanasia
e del suicidio assistito come contrari all’etica dell’assistenza medica.
Un’altra “leggenda nera” sul fine
vita, sostiene che la sacralità della vita umana sia un credo religioso, non
applicabile in una società laica. In realtà, argomenta il bioeticista
australiano, l’inviolabilità della vita umana non è soltanto una nozione
religiosa, ma è riconosciuta dai diritti umani a livello internazionale. Ad
esempio, quando si ha a che fare con persone che vivono in uno stato di
incoscienza, il rispetto per le loro vite rimane intatto, poiché esso non è
basato sulle funzioni vitali che esprimono ma su ciò che sono. L’eutanasia non
previene nemmeno forme di abuso, lo dimostrano proprio i paesi in cui è
depenalizzata dove è evidente il cosiddetto “pendio scivoloso”. In questi
Paesi, inoltre, è sensibile una certa forma di pressione su malati, anziani e
disabili, i quali inevitabilmente vengono spinti a una certa decisione per non
dover essere un peso per i propri familiari.
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