IL CASO/ Come ci ricorda Eugenio Montale, siamo molto di più del nostro
Dna di Carlo Bellieni, mercoledì 2 maggio 2012, http://www.ilsussidiario.net/
Esiste una rivista scientifica
intitolata “Epigenetics”. E’ la nuova frontiera della medicina, assieme alla
metabolomica di cui parleremo altrove. L’epigenetica è la serie di meccanismi
cellulari che coordina il modo in cui il DNA (la genetica) si esprime. Insomma,
il DNA da solo serve a poco, senza una struttura che lo fa parlare, di cui
conosciamo ancora poco e che mostra (come fa un bel documentario della BBC
intitolato “The ghost in our genes”) che il dogma che “tutto è scritto nel DNA”
è semplicemente falso. Ai fan del determinismo non sarà perciò andato giù che
Repubblica abbia dedicato un paio di importanti articoli all’epigenetica.
Perché c’è ancora chi pensa che “noi siamo quello che è scritto nei geni”,
soprattutto chi vorrebbe sostituirsi a Dio e trovare “il mistero della vita”.
Non gli sarà piaciuto perché ancora pensano che “decifrare il DNA è decifrare
la vita”, con possibili derive eugenetiche e deterministe (DNA errato = persona
errata).
Uscire da questo coro, è ancora
un fatto raro, perché in tutte le scuole si continua a magnificare la “lotta
per la sopravvivenza” come unica via di evoluzione della vita e il DNA come
unico linguaggio della vita stessa e di questa supposta lotta. Ma in biologia
la parola “unico” non esiste: aver mappato il DNA è un passo importante per la
scienza e di grande soddisfazione per tutti noi, ma è servito davvero a poco,
per quanto invece se ne attendeva; e anche aver ricostruito in laboratorio un
filamento di DNA poi inserito in un batterio al posto di quello naturale è un
bel passo avanti scientifico, ma ancora avvolto nel mistero.
Perché il DNA da sé non funziona:
serve tutta una struttura che lo “accordi” e lo faccia “suonare” e questa
struttura è dentro le nostre cellule ma non la conosciamo: per ora l’abbiamo
intravista, le abbiamo dato un nome (epigenetica, appunto) ma non ne sappiamo
nulla tranne che funziona bene e agisce tramite l’azione di gruppi metilici sul
DNA che “zittano” o “fanno parlare” i geni che al bisogno occorre che parlino o
stiano zitti. Ecco perché le nostre cellule sono tutte diverse pur avendo tutte
lo stesso DNA. Ed ecco perché continuiamo ad essere preoccupati per ogni tipo
di manipolazione genetica: non sappiamo cosa attiviamo!
Su Repubblica Giuliano Aluffi
(“Se il destino non è più scritto nel DNA”) spiega che queste attivazioni o
silenziamenti di geni sono dovuti all’interazione con l’ambiente e possono
essere ereditati. Ma come? Non ci avevano insegnato come dogma assoluto che
l’evoluzione della vita avviene solo perché chi ha il DNA più adatto sopravvive
a chi ha quello meno adatto? Invece sul DNA può agire l’ambiente inquinato e
stressogeno, (vedi l’ultimo numero della rivista Molecular Psychiatry)
cambiando non la sequenza dei geni, ma il modo in cui parlano. E allora è
possibile che i cambiamenti di altezza, di forma e di vita dei vari organismi
viventi non siano dipesi solo dalla lotta feroce in seguito a cui sopravviveva
“il migliore” o meglio “il più adatto”, ma anche da un armonica interazione con
l’ambiente che invece di dire “Ne resterà solo uno!” (cioè il migliore) dice
una parola semplice: “Adattiamoci, collaboriamo”.
Capite come l’evoluzione della
vita assuma una chiave diversa: non più lotta (che andava bene al tempo
vittoriano in cui tutto doveva giustificare la prevalenza di un popolo su un
altro), ma collaborazione. Fa riflettere questo gioco di matrioske: più si
studia più si vede che una scoperta non dà mai la risposta finale, ma apre ad
un altro mistero e ad un’altra scoperta tanto da far pensare che questo gioco sia
infinito e nella sua natura indecifrabile (come un programma di PC che volesse
decifrare come è fatto il suo programmatore). Insomma, l’epigenetica – la nuova
frontiera della biologia – ci dice che siamo davvero liberi: anche dal nostro
genoma. E ci fa piacere che arrivi nei giornali di ampio pubblico. Il mistero
della biologia e della genetica è grande e lo resterà perché - come constatiamo
nella nostra esistenza in cui tutto sembra chiaro finché non cerchiamo di
spiegarlo - “tutte le immagini portano scritto più in là” come poeticamente
riportava Eugenio Montale. La scienza, ben lungi dall’essere nemica di uno
spirito religioso, apre tutti noi a queste considerazioni.
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