Quei diritti che l'Italia non assicura, VLADIMIRO ZAGREBELSKY, 3 maggio
2012, http://www.lastampa.it
Le visite che il presidente della
Corte europea dei diritti dell'uomo periodicamente svolge in ciascuno dei 47
Paesi del Consiglio d’Europa non hanno né lo stile, né il contenuto di una
ispezione. Tuttavia non si tratta solo di tener contatti protocollari e di
cortesia. Non saranno quindi privi di interesse gli incontri che il presidente
della Corte - che è il giudice britannico Nicolas Bratza - e il giudice
italiano Guido Raimondi avranno oggi con il Presidente della Repubblica e la
ministra della Giustizia. Sarà l’occasione per fare il punto.
L’Italia ha più di un problema
quanto all’obbligo di riconoscimento e protezione dei diritti e delle libertà
assicurati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, assunto con la
ratifica nel 1955. Prima fra tutte la questione dell’inefficienza del sistema
giudiziario, nelle sue componenti di complesse norme procedurali, utilizzazione
delle risorse a disposizione, attività della magistratura, incidenza
dell’imponente avvocatura italiana. Sono ormai quasi trent’anni che la Corte
segnala il grave problema, con le condanne dell’Italia per la violazione del
diritto delle parti alla ragionevole durata dei procedimenti. Nessun decisivo
passo verso la soluzione è stato fino ad ora compiuto, mentre addirittura da
qualche tempo l’Italia si espone a nuove violazioni della Convenzione
ritardando in ogni modo il pagamento delle somme che le Corti di appello
assegnano ai ricorrenti per riparare la violazione del loro diritto. La massa
dei ricorsi alla Corte di Strasburgo è tale da avere ormai portato un
consistente intralcio al normale funzionamento della Corte e quindi del sistema
europeo di protezione dei diritti fondamentali, che sul ruolo della Corte si
fonda.
Un altro fronte si è recentemente
aperto e riguarda le condizioni dei detenuti, che per il sovraffollamento delle
carceri sono spesso tali da poter essere qualificate come trattamento inumano e
degradante. Sono ormai centinaia i ricorsi presentati alla Corte da altrettanti
detenuti italiani.
Entrambi i temi, urgenti e
ineludibili, sono ben presenti alle autorità e ai cittadini italiani. Essi
hanno anche un risvolto di responsabilità dello Stato, che incide sulla sua
credibilità internazionale.
In recente passato, il governo
precedente aveva dato luogo a vive proteste da parte del Consiglio d’Europa per
le ripetute violazioni degli obblighi derivanti dai provvedimenti della Corte.
Con comportamenti inusitati da parte di uno Stato europeo, sono state ignorate
le disposizioni della Corte di non espellere determinate persone in Tunisia ove
sarebbero state esposte a serio rischio di torture. Si trattava, è vero, di condannati
in Italia per attività di sostegno a reti terroristiche, ma il divieto di
tortura, nella cultura europea, garantisce tutti ed è inderogabile. Quelle
violazioni commesse dall’Italia e sanzionate dalla Corte europea sono passate
qui incredibilmente quasi sotto silenzio, ma a livello europeo hanno fatto
molto male alla reputazione dell’Italia.
L’occasione della visita e degli
incontri in Italia consentirà al presidente Bratza di discutere e chiarire
anche l’esito della recente conferenza di Brighton, in cui i governi dei paesi
membri del Consiglio d’Europa hanno indicato la necessità di riforma del
sistema, per permettere alla Corte di svolgere efficacemente il suo ruolo. Ora
la massa di ricorsi (oltre 50.000 all’anno) schiaccia le strutture della Corte,
ritardandone oltre misura le decisioni. La conferenza, oltre ad indicare una
serie di modifiche procedurali e a dar atto della necessità di elaborare più
profonde riforme destinate ad assicurare l’efficienza del sistema a lungo
termine, ha affrontato un tema molto delicato. Il Regno Unito, organizzatore
della conferenza, spingeva perché si inserisse nella Convenzione una
disposizione che obbligasse la Corte a riconoscere agli Stati un ampio margine
di valutazione nazionale nell’adempiere ai loro obblighi. In molte ipotesi - ma
non quando si tratta di diritti inderogabili, come quello alla libertà
personale o il divieto di tortura o trattamenti inumani o degradanti - un
margine di apprezzamento nazionale è riconosciuto dalla giurisprudenza della
Corte. Ma l’intenzione del Regno Unito era di andare ben oltre, in una misura
che avrebbe finito per vanificare il controllo europeo che la Corte svolge a
garanzia dei diritti dei singoli. Il tentativo non è andato a buon fine. Pare
che il richiamo al margine di apprezzamento nazionale troverà posto in qualche
modo nel Preambolo della Convenzione. Competerà comunque alla Corte di
elaborare la propria giurisprudenza in proposito, senza cedere agli interessi
dei governi a scapito della protezione dei singoli. L’indipendenza della Corte
e la sua natura strettamente giudiziaria sono il pilastro della costruzione
europea del sistema di difesa dei diritti individuali. Di ciò ha parlato a
Brighton il presidente della Corte, ricordando che non c'è tutela dei diritti
se non c’è la possibilità di accesso a un giudice la cui indipendenza non sia
messa in crisi o appannata dalle pressioni dei governi. C’è motivo di credere
che su questo il presidente della Corte riceverà assicurazioni da parte dei
suoi interlocutori italiani.
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