Avvenire.it, 20 settembre 2011 – INTERVISTA - «Liberta procreativa:
un'illusione che rende le donne "schiave"», Viviana Daloiso
La maternità concepita come
«condizione, attività o bene di consumo voluttuario». "Posso diventare
mamma quando voglio", pensa la donna d’oggi, illudendosi che la natura
possa piegare le sue leggi ai tempi della realizzazione personale, o
professionale. «Illudendosi che la natura possa concedere quello che non ci
concederà mai: diventare madri a 45, 48 o 50 anni». Eleonora Porcu,
responsabile del Centro di sterilità dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, non
fa del limite d’età una questione scientifica. Non può, visto che la scienza
parla chiaro: dopo i 40 anni le possibilità per una donna di avere una bambino
dalla “provetta” crollano a 50 su 100, dopo i 43 a 10, dopo ancora, a 5.
Dalla sua pratica quotidiana,
riscontra che il fenomeno delle donne sopra i 40 anni che desiderano una
gravidanza sia in aumento?
Posso dire che ci sono molte
ultraquarantenni che entrano nella nostra struttura con questo desiderio.
Come risponde?
Coi dati scientifici che mettono
d’accordo la comunità internazionale: e cioè che dopo i 43 anni le possibilità
di avere una figlio sono scarsissime. E poi evidenziando i limiti fisici legati
all’età delle pazienti, a partire dalle funzioni ovariche, sicuramente diverse
da quelle riscontrabili in una donna di trent’anni.
Questo, a livello medico, cosa
comporta?
Che una donna sopra i quarantatre
anni andrà sottoposta a cicli ormonali molto più intensi. E, lo ripeto, con
scarsissime possibilità di riuscita.
Il consiglio del medico le
scoraggia?
Dipende. Io posso spiegare loro
il mio parere, documentarlo, ma se insistono nella loro richiesta non posso che
inserirle nella lista d’attesa e accontentarle.
La legge 40, infatti, non pone un
limite d’età esplicito all’accesso alle pratiche di facondazione assistita...
Esatto, e però parla di età
fertile, non riferendosi certo a donne in menopausa, come nella quasi totalità
dei casi è una donna di 57 o 58 anni. Senza contare che molte Regioni hanno
inserito limiti “propri”, per così dire.
Perché l’hanno fatto?
Per il rapporto costo-benefici. È
evidente che se una donna ha il 5 o il 10% di possibilità di avere un figlio in
provetta, una Regione ha il 95 o il 90% di possibilità di veder sprecate le
risorse pubbliche messe a disposizione per la fecondazione assistita.
Poi ci sono casi a parte, come
quello del Veneto, che recentemente ha alzato il limite d’età a 50 anni.
Si tratta di una scelta politica,
non scientifica.
Che idea s’è fatta del fenomeno?
Per molto tempo la maternità è
stata percepita dalla donne come un valore imposto: era necessario, cioè,
diventare madri per essere accettate socialmente. L’emancipazione femminile ha
cambiato le cose: la maternità è diventata un bene di consumo voluttuario e le
donne si sono sentite affrancate da una “schiavitù”. Ma sono finite per cadere
in un’altra prigione: quella della libertà procreativa, secondo cui diventare
madri è una finestra capace di rimanere aperta all’infinito, o quasi. Una
questione culturale su cui bisognerebbe agire per evitare situazioni
spiacevoli.
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