martedì 20 settembre 2011


Eterologa: volere un figlio a tutti i costi, anzi no di Giacomo Samek Lodovici, 20-09-2011, http://labussolaquotidiana.it

Sono insufficienti per formulare un giudizio le notizie riportate dai giornali sul caso della bambina tolta poco più che neonata a due coniugi piemontesi, lei di 58 anni, lui di 70, che l’hanno ottenuta mediante la fecondazione artificiale eterologa (realizzata all’estero). Un mese dopo la nascita della piccola i giudici del tribunale di Torino l’hanno data in adozione ad un’altra famiglia, reputando per il bene della bambina di toglierla a questi coniugi e di darla a dei genitori affidatari.

La sentenza critica il «bisogno narcisistico di avere un bambino» di questa coppia, che si dimostra incurante del destino di chi «si ritroverà orfana in giovane età». In effetti, un’età piuttosto avanzata dei genitori non consente loro di avere le energie fisiche spesso necessarie per prendersi cura di un bambino, dilata molto significativamente la distanza e la differenza generazionale tra genitori e figli aumentando la difficoltà di comprensione dei secondi da parte dei primi, espone i figli al rischio concreto di rimanere dopo pochi anni privi del sostegno materiale e dell’affetto dei genitori nel caso in cui essi muoiano, o comunque al rischio di restare presto privi del sostegno dei genitori quando essi diventano troppo anziani e bisognosi di assistenza.

Ma non sono stati questi i motivi che hanno determinato la decisione del tribunale di Torino. Piuttosto, la sentenza parla di «scompensi in senso dissociativo e psicotico» del padre giuridico, descrive una madre incapace di contatto emotivo nei confronti della bambina e fonda la scelta di dare in affido la bambina soprattutto su un episodio di negligenza e noncuranza nei confronti della neonata, abbandonata piangente in macchina per molto tempo.

Se i dettagli dell’episodio non sono chiari e non ci arrischiamo a valutare la sentenza torinese, nondimeno, rispetto a quanto è emerso, questa vicenda suscita molte domande. Una è la seguente: possibile che questi signori, che hanno così fortemente voluto un figlio, abbiano poi dimostrato una noncuranza così grave da giustificare l’affido ad un’altra famiglia? Se hanno desiderato tanto la bambina, possibile che poi non se ne siano presi cura? Non sappiamo se le cose siano veramente andate così, ma di per sé è possibile, per diversi motivi.

In effetti, poiché la Corte Costituzionale si sta riunendo in queste ore per pronunciarsi sul divieto di realizzazione dell’eterologa contenuto nella legge 40 (che purtroppo consente la fecondazione omologa, ma meritoriamente vieta quella eterologa, anche se con un divieto che non è troppo difficile da aggirare) sarebbe proficuo, ma non è qui possibile, esporre le diverse ragioni per cui la fecondazione artificiale (omologa o eterologa che sia) è decisamente sbagliata dal punto di vista etico. E se già l’omologa è gravemente ingiusta, quella eterologa lo è ancora di più (al riguardo rimandiamo, per esempio, ai recenti articoli di Francesco Agnoli e di Tommaso Scandroglio).

Ma almeno un punto lo vogliamo focalizzare, ed è il seguente. L’eterologa (che è quel processo in cui l’essere umano prodotto non è figlio biologico di uno o di entrambi i genitori giuridici con cui egli vive e cresce e che lo hanno voluto produrre: l’ovocita e/o lo spermatozoo sono esterni alla coppia) non di rado (non possiamo sapere se sia stato così anche nel caso piemontese) crea nel padre e/o nella madre giuridici, soprattutto nei padri, un senso di estraneità nei riguardi dei bambini prodotti: negli Stati Uniti, dove la fecondazione eterologa è legale, sono già accaduti numerosi casi di disconoscimento di paternità, perché i padri giuridici si sono sentiti troppo diversi dal bambino, che hanno avvertito quasi come un estraneo.
Anche Carlo Flamini, uno dei padri della fecondazione artificiale in Italia, ha scritto che i nati da seme maschile esterno alla coppia non solo patiscono una «maggior frequenza di malattie psicosomatiche», ma inoltre a volte sono oggetto di crisi di rigetto da parte dei padri giuridici (C. Flamigni, La procreazione assistita, Il Mulino 2002, pp. 100-101).

Inoltre, la fecondazione artificiale è un processo di fabbricazione dell’uomo molto lungo, con un tasso di successo molto basso e, prima di riuscire ad avere un bambino in braccio, è spesso necessario fare diversi tentativi, tra l’altro costosissimi, spesso frustrati da insuccessi che producono non di rado tensioni all’interno della coppia, e che possono determinare in uno dei coniugi, già prima della nascita (prima ancora di poter avvertire la differenza col bambino), una sorta di rigetto verso il bambino che prima era stato tanto agognato.

Inoltre, come hanno scritto anche Agnoli e Scandroglio negli articoli citati, a volte accade anche che un figlio che vive con un padre giuridico ma non proviene da lui (essendo quest’ultimo - nell’eterologa - diverso da quello biologico) in un periodo di difficoltà relazionali e di discussioni venga da quest’ultimo rinnegato: «tu non sei mio figlio!». La fecondazione eterologa realizzata con un gamete esterno alla coppia lascia come tarlo significativo nel cuore e nella mente, o magari nell’inconscio, di uno dei membri della coppia la consapevolezza che il figlio giuridico appartiene più all’altro membro che non a lui.

Qualcuno obbietta che questi problemi di rigetto possono avvenire anche nel caso dell’adozione. Ma, anche qualora essi fossero altrettanto frequenti, l’adozione, che è una scelta di vita bellissima ed estremamente encomiabile, prende le mosse da un dato di fatto che essa non produce: la separazione di un figlio dai suoi genitori biologici (causata dalla loro morte, o dal loro abbandono, o da altri fattori) e cerca di alleviare le sofferenze di un bambino.  L’eterologa, invece, questa separazione, che è causa di sofferenze, la produce volutamente.

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