IL CASO/ Italiano
arrestato in Svezia dopo uno schiaffo al figlio. Meluzzi: è da stato
totalitario - INT. Alessandro Meluzzi – il sussidiario.net - mercoledì 31
agosto 2011
Giovanni Colasante, 46 anni, consigliere comunale di Canosa
di Puglia, centro vicino Andria, si trovava in vacanza a Stoccolma, Svezia,
insieme alla moglie, i due figli e i due cognati con le famiglie al seguito.
Durante un capriccio del più piccolo, sembra che Colasante abbia colpito con
uno schiaffo il ragazzino dodicenne che si ostinava a non voler entrare nel
ristorante in cui la comitiva doveva mangiare e, sotto segnalazione di due
persone di nazionalità libica che si trovavano lì vicino, l’uomo è stato
arrestato dalla polizia con l’accusa di maltrattamento. In Svezia infatti non è
tollerato usare anche forme lievi di violenza contro i figli, così il
consigliere è stato ammanettato e portato in carcere dove ha trascorso tre
giorni. L’arresto è stato poi trasformato in obbligo di firma in attesa del
giudizio, previsto per il 6 settembre prossimo. L’uomo si trova quindi ancora
in Svezia insieme alla moglie, mentre il resto della comitiva, figlio compreso,
sono tornati sbigottiti in Italia. L’avvocato di Colasante, Giovanni Patruno fa
sapere che “in Svezia vige un sistema diverso dal nostro e per questo è
preferibile che sia seguito da un professionista del posto con il quale mi sono
consultato e resto in costante contatto”. L’avvocato vuole anche precisare le
dinamiche dell’accaduto: “Dovevano andare al ristorante ma il ragazzino era
ostinato e si rifiutava di entrare, così suo padre lo ha rimproverato, certo
con veemenza, magari gesticolando, come siamo soliti fare, a voce alta, ma
Colasante non ha picchiato o preso a schiaffi il bambino. C'erano lì vicino due
persone di nazionalità libica, hanno chiamato la polizia che erano nella zona e
certo la mancanza reciproca di conoscenza della lingua ha fatto il resto”. IlSussidiario.net
ha contattato il professor Alessandro Meluzzi, che commenta la notizia: «Tutto
questo mi sembra un messaggio straordinariamente diseducativo. Non che io
ritenga che le punizioni fisiche debbano fare parte di un buon repertorio
educativo, però ritengo che lo spazio comunicativo, affettivo ed emozionale in
cui il Regno di Svezia si è incuneato in questa vicenda, finita addirittura con
un arresto in flagranza di reato, sia assolutamente devastante: intanto per
quella famiglia italiana e per il rapporto padre-figlio, e poi in generale ne
viene fuori un messaggio di tipo fortemente totalitario. Credo che lo Stato
possa vicariare l’educazione genitoriale e familiare solo di fronte a
situazioni drastiche, ed è giusto che intervenga per esempio nel caso di un
neonato abbandonato da una coppia di tossicodipendenti. Ma che la relazione tra
un padre, che non è di certo uno psicotico né un delinquente, e un figlio
adolescente debba sentire così pesante e invasivo la presenza dello Stato credo
che rappresenti la più totale negazione non soltanto della libertà ma anche di
che cosa sia l’educazione».
Una decisione, quella delle autorità svedesi, che senza
dubbio appare esagerata, ma chiediamo al professor Meluzzi cosa pensa dei
genitori che adottano ancora punizioni corporali per educare i propri figli:
«Questa di Colasante si può considerare una sorta di intemperanza e di reazione
basata sulla comunicazione fisica, certo violenta, ma la punizione corporale è
tutt’altra cosa, come le sculacciate, lo scudiscio o i colpi inferti con la
riga che davano un tempo gli insegnanti. Questa del consigliere è secondo me
una forma di comunicazione non verbale forse impropria, inadeguata, legata ad
una mancanza di controllo, ma certo non una punizione corporale, tanto che è
anche avvenuta in pubblico durante una situazione di conflitto facilmente
risolvibile e che non avrebbe avuto nessun esito, se non fosse stato per
l’intrusività totalitaria dello Stato in una faccenda del tutto privata». Il
professor Meluzzi continua poi a spiegarci che “il processo educativo è una
cosa che si costruisce giorno per giorno all’interno di ogni rapporto, di ogni
famiglia e in modo diverso con ogni figlio, perché ogni ragazzo ha una
personalità e una sensibilità diversa. Si tratta quindi di un percorso
individuale e personalizzato, è quello che Don Giussani chiamava “l’evento
educativo”: è una sfida, e come tale non può essere standardizzato neppure
all’interno della stessa famiglia, per cui figuriamoci se può essere affidato
ad una linea guida statuale”.
(a cura di Claudio Perlini)
© Riproduzione riservata.
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